Settembre 8, 2024

Quando il Decameron diventa un decalogo dell’orrore

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Il Decameron mantiene il suo fascino narrativo anche per gli innumerevoli rimaneggiamenti che ne sono stati fatti, tra questi figurano scritti di stampo orrifico come "le 120 giornante di Sodoma" e "Cavie".

Tutti quanti noi lettori conosciamo il Decameron sin dalla giovane età; anni di scuola spesi leggendo le novelle di Chichibio Cuoco e di Andreuccio da Perugia ci rimangono impresse come se avessimo analizzato quelle storie poco tempo fa.

Durante i secoli si sono succedute opere letterarie (e non solo) dello stesso stampo, basate su una serie di racconti narrati da altrettanti novellatori, con tematiche scelte, licenziose, morali o comiche.  Sappiamo tutti che il Decameron consiste, infatti, in una raccolta di 100 novelle scritte da Giovanni Boccaccio nel XIV secolo, spartite in dieci novelle (perché dieci sono i novellatori) su un arco di tempo di dieci giorni.

I primi rifacimenti si ebbero da subito, ci basta pensare a The Canterbury Tales di Goeffrey Chaucer, una raccolta di 24 racconti scritti in una sorta di inglese medievale, composti esattamente nel medesimo secolo del nostro autore. I temi, i motivi, i simboli sono più o meno gli stessi proposti da Boccaccio, con la differenza che, se l’autore fiorentino ambientava i suoi racconti in una location bucolica alle porte della Firenze attanagliata dalla peste del 1348, il racconto di Chaucer segue un pellegrinaggio alla tomba di Thomas Beckett, rendendolo così un romanzo “in movimento”, in contrasto con la staticità boccacciana.

Ma l’arte e la letteratura esistono per colpire la mentalità umana, farla dubitare di sé, uscire dai binari prescritti di un senso comune civile. E per questo, la forma narrativa dell’autore fiorentino viene ripresa nuovamente, questa volta nella Francia prerivoluzionaria, da Donatien-Alphonse-François de Sade, conosciuto nel mondo come il Marchese de Sade.

Autore eclettico, noto per le sue opere libertine basate su una commistione fra una sessualità costantemente deviata e violenze di ogni tipo, De Sade ci permette di notare, nei suoi scritti, una crudezza degna di nota ed espressioni, tante volte, fin troppo esplicite.

Proprio in uno dei suoi libri, si trova quindi un rimaneggiamento del capolavoro fiorentino, in un macabro quadro orrifico: Le 120 giornate di Sodoma, o la scuola di libertinaggio. Ricopiato da appunti precedenti nel 1785 nel celebre carcere parigino della Bastiglia, dove il Marchese si trovava imprigionato, il manoscritto era composto da una sola lunga pagina formata da fogli incollati insieme per permettere di arrotolarlo e nasconderlo adeguatamente.  La moglie avrebbe dovuto ritirare l’opera quando lui fosse uscito di prigione: fatalità del caso, ci andò il 4 luglio del 1789, un giorno particolarmente infausto per recuperare gli oggetti personali del Marchese; proprio per questo motivo la stesura non ne fu mai ultimata.

Il romanzo tratta di quattro libertini, figli della nobiltà di spada o di toga, nonché delle più alte cariche ecclesiastiche: il Duca di Blangis, un Vescovo, il presidente de Curval, Durcet, uniti da vili passioni sadiche e masochistiche e da matrimoni combinati tra membri delle proprie famiglie.

La somiglianza con la narrazione del Boccaccio risiede nel fatto che, nell’opera, vengono scelte quattro novellatrici, destinate a raccontare delle cosiddette “passioni”, perversioni la cui intensità sarà via via crescente con il progredire della vicenda. Le novellatrici, dovendo avere esperienza diretta delle vicende che raccontano, appartengono alla categoria delle prostitute d’alto bordo e delle mezzane: Duclos, Champville, Martaine e Desgranges. Ogni prostituta racconta una tematica coerente con le proprie esperienze di vita, cosa che poi viene messa in pratica dai quattro libertini su giovani di ambo i sessi, rapiti dall’alta società.

In questo modo, ogni capitolo inizia con i racconti delle “passioni”, partendo dalle cosiddette passioni semplici, dove Duclos narra esperienze personali legate a feticismi esterni al rapporto sessuale; in seguito le passioni complesse, atti estremi e stravaganti, incesti, stupri e atti sacrileghi. Il tono sale e diventa sempre più aggressivo, con le passioni criminali dove la narrazione si spinge verso pratiche al limite dell’assassinio, che si esplicano però nell’ultimo capitolo, con le passioni assassine, appunto.

De Sade voleva dimostrare come le imposizioni sociali sfociassero in atti di perversione tale, insiti nella natura dell’uomo. Pasolini rifece quest’opera in ambito cinematografico, chiamandola Salò, o le 120 giornate, rendendo contemporaneo lo scritto francese e mettendo in luce le degenerazioni del sistema statale fascista, portato al suo estremo limite.

Ma nel 2005 anche Chuck Palahniuk, autore statunitense contemporaneo, decise di proporre un’opera simile per quanto riguarda la struttura dello scritto fiorentino e in riferimento ai contenuti dell’opera del Marchese De Sade: si tratta del romanzo “Cavie”, in cui, in breve, un gruppo di scrittori decide di rispondere a un annuncio che afferma “ritiro per scrittori: abbandona la tua vita per tre mesi”, promettendo così un clima di totale immersione nel lavoro di stesura.

In realtà le vicende degli scrittori si scontreranno con una amara verità: finiranno, infatti, in una trappola tesa da un sadico anziano in sedia a rotelle che li torturerà durante il loro soggiorno. Si tratta di una serie di 23 racconti, introdotti da una breve cornice composta, di volta in volta, dalla storia personale di uno degli scrittori partecipanti: elementi comuni di tutti questi racconti sono il macabro, il fallimento, il dolore, l’angoscia e infine, la morte.

Il testo serve a denunciare quanto è disposto a fare l’uomo per raggiungere un successo effimero dettato dal bisogno di autoaffermazione, mera superficialità dell’epoca moderna.

La decisione di rifare uno scritto mantenendo la struttura dell’opera di Boccaccio e renderlo spesso disturbante dimostra la validità del mezzo narrativo dell’autore fiorentino, libero di essere rimaneggiato da chiunque ne abbia le capacità, da quasi sette secoli.

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