Settembre 8, 2024

LO YOGASUTRA DI PATANJALI – IL PERCORSO DELLO YOGA REALE PER RITROVARE SE STESSI

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Lo yoga è una disciplina millenaria che unifica corpo, mente e anima. Lo Yogasutra di Patanjali ne rappresenta l'antica opera di saggezza.

Il termine yoga deriva dalla radice linguistica del sanscrito “yuy” che significa unire, congiungere, unificare, aggiogare. Da ciò ne consegue che una delle immagini più rappresentative dell’unione proposta dall’antica disciplina vedica[1] sia quella dell’aggiogamento dei buoi la cui mite e laboriosa natura ha simboleggiato, sin dai primordi antropologici della civiltà indiana radicatasi nell’alveo fertile del fiume Gange, il rapporto sacrale tra esseri viventi ed elementi naturali.

Aggiogamento inteso, quindi, non come sottomissione, bensì come esplorazione e ricerca di armoniosa produttività attraverso la condivisione del vincolo comune.

L’unione dello yoga riguarda i tre elementi costitutivi dell’esistenza di ciascun essere: il corpo, la mente e l’anima. Yoga significa pertanto unificare attraverso il giogo della disciplina e della pratica i tre elementi vitali, stabilendo tra loro un’armonia, un equilibrio, una vicendevole compensazione.

Lo scopo – anche se in realtà lo yoga persegue uno stato e non un fine – è la percezione della natura essenziale dell’essere. Quando riconosciuta, quella natura può divenire il luogo senza tempo e senza confini in cui accomodarsi, il posto ideale nel quale rifuggire i limiti della non permanenza, della transitorietà, della propria identità anagrafica e amministrativa, della socialità relazionale e affettiva, dell’autoreferenzialità materiale e fisica. Un luogo da cui osservare e osservarsi senza giudizio.

Siamo ben lungi da ciò che la versione ginnico-sportiva dello yoga, molto diffusa oggi in Occidente, ci propone, ma ancor più lontani dal pregiudizio di chi valuti lo yoga come una disciplina esoterica dai tratti ostici e persino fuorvianti rispetto alle pragmatiche esigenze del multitasking prestazionale, della performance competitiva, della comunicazione sociale che obbliga al dinamismo, al tempismo, alla frenetica brevità dell’immagine.

Uno dei testi cardine dello yoga, imprescindibile per chi voglia accostarsi a quest’antichissima disciplina senza incorrere nei limiti conoscitivi dell’ordinaria attività fisica, ma anche senza sentirsi intimoriti dalla presunta ortodossia di un metodo alieno dalla nostra cultura, è lo Yogasutra di Patanjali, un’opera reperibile con facilità in una delle sue numerose edizioni.

Circa l’origine del manoscritto non vi è una data precisa, ma siamo nell’ordine di un paio di millenni fa, così come l’identità del suo autore risulta storicamente incerta. Si dice che Patanjali possa persino non essere esistito o che possa trattarsi di una sorta di prestanome la cui definizione sia valsa da collettore delle numerose narrazioni orali molto diffuse agli albori delle prime testimonianze scritte. Il testo raccoglie cento-novantasei proposizioni brevi (sutra) ordinate in quattro capitoli o sentieri: vi sono il primo segmento, detto della “unione”, i capitoli centrali della “pratica iniziatica” e delle “facoltà sovrumane” e, infine, il sentiero di chiusura dedicato alla “emancipazione”.

Sutra in sanscrito significa filamento, frammento o frase pronunciata a metà. Non è casuale che l’autore abbia optato per un’espressione letteraria laconica, fatta appunto di frasi scritte a metà, la cui interpretazione non è immediata.

Lo yoga è infatti una pratica semplice ma non ovvia, un percorso che va eseguito possedendo due requisiti fondamentali: la predisposizione e l’accompagnamento. La predisposizione può formarsi nel praticante come istanza inconscia o come consapevole desiderio di esplorazione di se stessi, ma in ogni caso si tratta di una condizione che impone al viaggiatore di preparare i bagagli prima di intraprendere il cammino.

Per cogliere al meglio la bellezza del percorso, è bene, inoltre, non effettuare il viaggio da soli, bensì avvalersi delle indicazioni di un buon accompagnatore, di un maestro. A riguardo può bastare un accurato commentario, sempre proposto dalle più autorevoli edizioni a integrazione del testo originario.

Il manoscritto, con la semplicità di un manuale di istruzioni, concretizza lo yoga cosiddetto “reale” o Ashtanga Yoga, la struttura onnicomprensiva dello yoga tradizionale. Ashtanga in sanscrito significa otto arti, e il termine materializza, come se fosse una rappresentazione organica composta da più parti interconnesse e non sequenziali, il percorso lungo il quale il praticante viene guidato nell’esercizio etico, fisico e mentale.

I primi due arti (Yama e Niyama) identificano la base etica di cui il praticante deve auspicabilmente dotarsi per intraprendere il cammino con gambe forti e solide. Si tratta di codici sociali e personali applicabili per mezzo di semplici esercizi quotidiani (ringraziare, riconoscersi, prendersi cura di un essere vivente, fare ordine nel proprio circostante spazio di vita ecc.). Gli arti successivi, dal terzo al quinto (Asana, Pranayama e Pratyahara), riguardano il rapporto del praticante con la dimensione psicofisica dell’organismo umano, al fine di trovare armonia nella struttura del corpo (attraverso le posizioni e i movimenti), nella gestione del respiro e della forza vitale (per mezzo di specifiche tecniche di respirazione) e nel controllo dei sensi (ricorrendo a un approccio deterministico delle percezioni sensoriali allo scopo di non limitarsi a subirne gli effetti emotivi). I tre arti conclusivi (Dharana, Dhyana e Samadhi) afferiscono alla sfera spirituale intesa non in ottica dogmatica, ma in chiave di accresciuta acquisizione di una condizione di distacco dalla materialità attraverso la concentrazione, la meditazione e la contemplazione.

Lo stato finale raggiungibile attraverso la pratica dello yoga nella sua forma estesa è quello rappresentato dall’ottavo e ultimo arto, il Samadhi: una condizione-non condizione, cioè il raggiungimento del proprio sé interiore che è essenza naturale priva di tempo e di spazio.

Il valore dello yoga sovrasta la pura fisicità, pur includendola. Si tratta di un percorso semplice, etico, fisico e mentale, senza preclusioni di età e di genere. Un cammino possibile e alla portata di tutti.


[1] Vedismo: dottrina filosofica appartenute alle popolazioni di etnia Arii che abitarono l’India nord-occidentale a partire dal 1300 a.C circa fino all’VIII secolo a.C.. Il Vedismo, con il contributo della successiva corrente sacerdotale del Brahmanesimo, rappresenta l’origine del moderno Induismo.

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