IL RAGAZZO E L’AIRONE, UN FILM DA OSCAR
5 min readDopo l’Oscar nel 2003 con “La città incantata”, Hayao Miyazaki riconferma il suo talento di regista conquistando la preziosa statuetta come miglior film di animazione per “il ragazzo e l’airone”, una delle sue opere più ambiziose, complesse ed evocative, che attinge con audacia e generosità al linguaggio universale del sogno e del mito.
Trama
Seconda guerra mondiale, bombardamenti di Tokyo. La storia racconta di un ragazzino di nome Mahito che, dopo la morte della madre a causa di un incendio, si trasferisce in una grande tenuta di campagna con il padre e la sua nuova compagna Natsuko, sorella minore della defunta moglie e incinta del suo primo figlio. Mahito fatica ad integrarsi a scuola e, complice la costante assenza del padre per via del suo impiego presso l’aeronautica militare, non riesce ad abituarsi alla nuova vita e ad accettare la donna come figura materna.
L’episodio traumatico della perdita della madre continua a tormentarlo e per distrarsi trascorre molto tempo all’aria aperta ad esplorare i dintorni della nuova casa. E’ qui che viene attirato da uno strano airone cenerino che lo porterà a curiosare all’interno di una vecchia torre costruita dal prozio scomparso in circostanze misteriose. Spinto dal senso di colpa e dal desiderio di ritrovare la matrigna Natsuko scomparsa misteriosamente, intraprende un viaggio che lo porterà a scoprire un mondo magico popolato da esseri indimenticabili in pieno stile Miyazaki.
Lutto, perdita, rito di passaggio
Il tema della perdita è molto caro a Miyazaki ed è presente in molti film del regista; in questa pellicola in particolare c’è un rimando alla sua vita, anche lui come il protagonista del “il ragazzo e l’airone”, perse la madre in giovane età. Nel film la tematica viene affrontata attraverso un percorso di elaborazione del lutto che Mahito deve compiere per accettare la perdita della madre e tutti i cambiamenti che questo evento porta nella sua vita: il secondo matrimonio del padre con la zia che aspetta già un figlio dall’uomo, un cambio casa, scuola, amici e abitudini. Mahito si sente smarrito, privo di punti di riferimento e prova una sensazione di forte insofferenza verso la sua nuova vita dove fatica a trovare il proprio posto. Il viaggio in questo mondo fantastico sarà la sua chiave di volta, il rito di passaggio verso la rinascita e l’età adulta. Il film ci invita ad accettare la sofferenza, a vivere il dolore attraversandolo senza cercare attenuanti. Solo così si ha modo di mettere un punto e ritornare a vivere con pienezza. Mahito non smetterà mai di soffrire per la morte della mamma, ma il viaggio gli farà comprendere che, nonostante il dolore, la sua vita vale ancora la pena di essere vissuta.
Simbolismi e folclore
Lo spirito guida di questo viaggio è un airone cenerino che nella tradizione del folclore giapponese è un emissario di un altro luogo, una creatura di confine, un essere a cavallo fra i due mondi, quello dentro la torre e quello fuori dalla torre, una sorta di Virgilio dantesco. L’interno della torre si rivelerà infatti essere un luogo-crocevia con porte aperte su innumerevoli altri mondi, una selva oscura che accoglie Mahito con un’iscrizione da Divina Commedia: “fecemi la divina podestate” (sono opera del Padre), frase che Dante legge sulle porte dell’Inferno. Il Virgilio/Airone lo accompagnerà attraverso questo mondo, tra parrocchetti carnivori e creature eteree e fatate come i wara-wara, incontrando persone già conosciute nel mondo di sopra sotto un’altra veste.
Le figure femminili e la maternità
Il regista è noto per la sua capacità di creare personaggi femminili complessi che sfuggono agli stereotipi tradizionali, donne indipendenti con una forte volontà che affrontano le sfide della vita con coraggio e determinazione. Nel “Il ragazzo e l’airone” Mahito si troverà a confronto con diverse figure femminili di età diverse, tutte presentate come modelli di forza, resilienza e saggezza.
La maternità è un tema importante nei film di Hayao Miyazaki e anche in questo racconto fantastico lo affronta con estrema innovazione. Mahito è alla ricerca di Natsuko che sta per partorire e quando la raggiunge nella stanza predisposta per il parto, lei è in preda a doglie dolorose. E’ il momento della nascita che è anche quello più vicino alla morte, un istante in cui il confine tra i due mondi è un velo sottilissimo.
E io come ho vissuto?
Il titolo originale del film è Kimi-tachi wa dō ikiru ka – E voi come vivrete? – e rimanda al romanzo di formazione scritto da Genzaburo Yoshino (1937), molto caro a Miyazaki tanto da sentire il desiderio di inserirlo direttamente nella pellicola, facendo trovare al protagonista una copia del romanzo con una dedica della madre scomparsa.
La storia del romanzo originale termina con una domanda da parte dell’autore che interroga il lettore su come avrebbe deciso di affrontare la propria vita da quel momento in poi. Lo stesso messaggio traspare anche nella parte finale del film al termine del viaggio di Mahito all’interno della torre: attraversata la ferita e il dolore, la vita è pronta a rinascere.
Rimandi visivi
Visivamente sbalorditivo, nel film l’abbondanza di riferimenti crea un’esperienza coinvolgente che avvolge lo spettatore, lo stimola, lo ispira, lo sorprende e lo affascina, spingendolo a porsi domande. Miyazaki ha creato un aldilà ricco di rimandi pittorici affascinanti e opere iconiche di grandi autori, tra questi possiamo riconoscere L’isola dei morti (1880 – 1886) di Arnold Böcklin e La freccia di Zenone di René Magritte (1964) ma ce ne sono molti altri, vengono citati film come 8 e 1/2 di Federico Fellini e Biancaneve e i sette nani di Walt Disney.
Questo film risulta un vero e proprio susseguirsi di capolavori di immagini in cui traspare a gran voce la meraviglia verso la natura e la visione della vita umana innegabilmente legata ad essa.
Conclusioni
Il grande dibattito che si è creato attorno a questo film riguarda la spiegazione del finale: qual è il messaggio del “Il ragazzo e l’airone”? Il fascino di questa pellicola è che pone molte domande e fornisce poche risposte, spinge ad interrogarsi, a cercare i significati nascosti. Come suggeriva Umberto Eco l’opera artistica è una “macchina per generare interpretazioni” ed è questa forse la sua vera magia.
Laurea umanistica, appassionata di cultura pop e letteratura, compro più libri di quelli che riesco a leggere.
Credo nel valore e nel potere delle storie, mi piace condividere la loro magia, ed è così che è nata l’idea di un club del libro in alta quota di cui sono la fondatrice e moderatrice. Vivo in un piccolo paese circondato dalle montagne, adoro camminare nei boschi, la natura mi rilassa e mi ricarica.