Settembre 8, 2024

COP28: Una canoa piena di buchi

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La COP28 si è conclusa Mercoledì 13 dicembre 2023 a Dubai, e John Silk, ha definito i risultati raggiunti come una “canoa piena di buchi"
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La COP28

La COP28 si è conclusa Mercoledì 13 dicembre a Dubai, e il capo della delegazione delle Isole Marshall, John Silk, ha sintetizzato perfettamente le contraddizioni di questa edizione: “Sono venuto qui dalla mia casa nelle isole per lavorare con tutti voi per risolvere la sfida più grande della nostra generazione. Sono venuto qui per costruire insieme una canoa per il mio Paese. Invece, abbiamo costruito una canoa con uno scafo debole e che perde, piena di buchi.” Per comprendere questa metafora, è fondamentale analizzare i risultati e le contraddizioni della COP28.

La complessità delle COP

Bisogna premettere che le decisioni prese fino ad ora durante le ventotto edizioni delle Conferenze delle Parti (COP), sono spesso state definite contraddittorie, ambigue e talvolta insufficienti. I dibattiti scaturiti prima, durante e dopo la COP28 non sono quindi un’eccezione, poiché la struttura stessa delle COP comporta una complessità intrinseca. Durante tali incontri, i Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici si riuniscono per affrontare la crisi climatica attraverso lunghi ed intricati negoziati.

La complessità di tali trattative è aumentata nel tempo, soprattutto con l’aumento dei partecipanti, passati da circa 4000 alla COP1 a quasi 100.000 alla COP28. Oltre ai rappresentanti governativi, si sono aggiunti aziende, ONG e rappresentanti della società civile. Questa varietà di voci offre speranza per un coinvolgimento più ampio, ma aggiunge anche complessità ai processi decisionali, che devono raggiungere un compromesso accettabile per parti con interessi spesso contrastanti.

La COP28

La COP28, svoltasi a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, ha portato ulteriori controversie legate alle specificità di quest’edizione. Infatti, il Paese è noto per la sua ricchezza petrolifera e le alte emissioni di gas serra pro capite. La presidenza della COP28 è stata affidata al Sultano Al Jaber, che oltre ad essere il capo del Paese è anche l’amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC) e CEO di Masdar, un’azienda che promuove le energie rinnovabili.

I molteplici ruoli del Sultano hanno sollevato dubbi sulla neutralità e l’equità della presidenza della COP28, e hanno fatto sorgere una controversia legata al conflitto di interessi incarnato da Al Jaber che ha alimentato il dibattito sulla trasparenza e l’integrità delle negoziazioni, aggravato da alcune dichiarazioni del Sultano riguardanti i cambiamenti climatici. Le controversie non hanno stoppato i negoziati che sono terminati con la stesura del testo finale della COP28, chiamato Global Stocktake (GST).

Il Global Stocktake

La traduzione letterale di Global Stocktake è Bilancio Globale, infatti questo documento chiude il primo processo quinquennale di valutazione dei progressi degli stati verso il rispetto degli impegni presi nell’Accordo di Parigi del 2015. Il testo che chiude questo primo ciclo del GST servirà da bussola per correggere la rotta dei Paesi membri, con un’attenzione particolare alla presentazione di nuovi piani nazionali determinati (NDCs) entro il 2025.

Alcuni dei punti salienti che emergono nel documento includono il triplicare la capacità globale delle energie rinnovabili e raddoppiare il tasso annuale di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030, obiettivi sostenuti dall’UE e riconosciuti come vitali per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1.5°C. Di queste parti dell’accordo preoccupano l’assenza di quantificazioni precise e di provvedimenti equi e i compromessi fatti per accontentare attori chiave come Cina e India sollevano dubbi sulla reale efficacia delle misure. Tuttavia, l’ottimismo è alimentato dall’idea che le energie rinnovabili diventino sempre più convenienti, sottolineando l’impegno globale verso alternative sostenibili.

Le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio

Durante la COP si è discusso dell’accelerazione degli sforzi per ridurre gradualmente la produzione energetica “non abbattuta” basata sul carbone, con un focus sulle tecnologie zero o a bassa emissione di carbonio come le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). La produzione energetica “non abbattuta” si riferisce alla generazione di energia attraverso la combustione del carbone senza l’utilizzo di tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio. Queste tecnologie rappresentano una delle soluzioni per ridurre le emissioni di CO2 provenienti dalle attività industriali e di generazione di energia, esse permetterebbero di continuare ad usare i combustibili fossili perché dovrebbero assorbire la CO2  in eccesso presente nell’atmosfera.

Tuttavia, le CCS presentano diverse problematiche, tra cui i costi elevati, la complessità tecnologica e la necessità di identificare e sviluppare siti adatti per lo stoccaggio sicuro del carbonio catturato. Inoltre, esistono preoccupazioni riguardanti il rischio di perdite accidentali di CO2 dagli impianti di stoccaggio e il potenziale impatto ambientale e sulla salute umana di tali fughe. Per questi motivi la decisione di puntare sullo stoccaggio della CO2 ha generato delle perplessità, che non svaniscono nonostante le iniziative volte alla diminuzione delle fonti di energia non rinnovabili.

Limitare le emissioni

Durante la COP28, si è anche formata la Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA), un’iniziativa volta a porre fine alle nuove licenze per l’esplorazione e produzione di petrolio e gas, promuovendo una transizione verso fonti energetiche più sostenibili e a basse emissioni di carbonio.

Sono stati inoltre siglati impegni come il Global Methane Pledge, impegnando i Paesi a ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, e la Powering Past Coal Alliance (PPCA), che mira ad eliminare gradualmente il carbone entro il 2030 per i Paesi con economie avanzate ed entro il 2040 per gli Stati con economie meno solide. Inoltre, si è posta un’enfasi particolare sull’agricoltura e la sostenibilità dei sistemi alimentari, con la Dichiarazione di Sharm El-Sheikh che impegna i Paesi ad agire per rendere i sistemi agricoli più resilienti e sostenibili.

Nel contesto della COP28, sono emersi anche temi centrali di inclusione e mobilitazione, con un forte appello all’azione climatica inclusiva e alla solidarietà da parte di leader, società civile, donne, giovani, popolazioni indigene e altri attori. Sono stati annunciati investimenti significativi per costruire scuole resilienti al clima e promuovere azioni climatiche a livello locale. Tali misure risultano promettenti sulla carta, ma per valutarne l’efficacia effettiva bisognerà aspettare la loro attuazione.

Il fondo Loss and Damage

Un punto della COP28 molto importante e discusso riguarda l’istituzione di un fondo finanziario per affrontare le perdite e i danni causati dai cambiamenti climatici. Il fondo, noto come “Loss and Damage Fund“, è stato creato per sostenere i paesi più vulnerabili di fronte agli impatti irreversibili dei cambiamenti climatici, come eventi meteorologici estremi, innalzamento del livello del mare e perdita di biodiversità, che non possono essere evitati o adeguatamente affrontati attraverso misure di adattamento. Oltre al finanziamento, il fondo supporterà lo sviluppo delle capacità, la condivisione delle conoscenze e l’innovazione nel settore delle perdite e danni.

Il fondo partirà con una capitalizzazione iniziale di 1,5 miliardi di dollari, con l’obiettivo di raggiungere 10 miliardi di dollari all’anno entro il 2025; al termine della COP28 il fondo aveva già ricevuto più di 790 milioni di dollari. Paesi come Francia, Germania, Italia e gli Emirati Arabi Uniti si sono impegnati con oltre 400 milioni di dollari mentre gli Stati Uniti sono stati criticati per aver contribuito solo con 17,5 milioni di dollari. È degno di nota che i paesi del Sud Globale si siano mostrati disponibili a contribuire al fondo senza ostacolarlo.

Tuttavia, i milioni raggiunti fino ad ora rappresentano una percentuale irrisoria rispetto ai danni causati dai cambiamenti climatici, basti pensare che nel 2019 in Mozambico l’uragano Idai ha causato circa 2 miliardi di dollari in perdite e danni. Purtroppo eventi climatici come questo accadranno con sempre più frequenza e saranno sempre più forti, per questo motivo l’istituzione del Loss and Damage Fund rappresenta un passo significativo verso il riconoscimento e la gestione delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Tuttavia, bisogna riconoscere i limiti di questa misura che, oltre ad essere considerata da molti insufficiente rispetto all’entità degli impatti climatici, pone problemi riguardanti la distribuzione equa dei finanziamenti e l’efficacia della gestione delle risorse per garantire che raggiungano effettivamente le comunità più colpite dai danni climatici.

I finanziamenti climatici

La questione della distribuzione dei fondi si pone anche per i finanziamenti climatici, vale a dire il flusso di fondi dai paesi industrializzati ai paesi del Sud Globale, finalizzato a ridurre le emissioni di gas serra (mitigazione) e ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici (adattamento). Questi fondi sono cruciali per sostenere la transizione ecologica e l’adattamento delle nazioni del Sud Globale alla crisi climatica.

Per questa ragione, durante la COP28 si è proseguito con le trattative per lo sviluppo di un obiettivo di finanziamento climatico a lungo termine che vada a sostituire l’obiettivo di 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 che non è mai stato pienamente raggiunto, fermandosi a 79,6 miliardi di dollari mobilitati nel 2019. Tuttavia, nemmeno sul nuovo obiettivo collettivo quantificato (NCQG) è stato raggiunto un accordo definitivo, perciò la questione sarà uno dei principali punti all’ordine del giorno della prossima COP, che si terrà nel 2024 a Baku, in Azerbaigian.

Affrontare il divario finanziario climatico

La questione dei finanziamenti climatici rappresenta una nota dolente di molte COP, ma durante l’edizione di quest’anno si è arrivati alla consapevolezza che è necessario il passaggio da miliardi a trilioni per affrontare il divario finanziario climatico, specialmente nel Sud Globale. In questo contesto, alla COP28 si sono distinti alcuni leader mondiali che hanno sottolineato la necessità di trasformare l’architettura finanziaria climatica per accelerare la transizione in modo equo e inclusivo che non lasci nessuno indietro.

In risposta a questa esigenza, è stata formulata la Dichiarazione UAE dei Leader sulla Struttura Globale del Finanziamento Climatico, elaborata e sottoscritta da 12 paesi leader rappresentativi. Questa dichiarazione ha delineato i contorni di una nuova architettura finanziaria attraverso 10 principi per rendere i finanziamenti disponibili, accessibili e convenienti. Il rapporto del Gruppo di esperti indipendenti ad alto livello sui finanziamenti climatici (IHLEG), che ha sostenuto la preparazione della Dichiarazione, ha fornito un’analisi dettagliata sulla situazione attuale dei finanziamenti climatici a livello globale e ha offerto raccomandazioni per migliorarne l’efficacia e l’efficienza. Infine, molti paesi hanno sottolineato la necessità di colmare il crescente divario nei finanziamenti per l’adattamento e affrontare la crisi del debito globale che sta impedendo a molti stati di compiere passi veramente trasformativi nelle loro transizioni nazionali.

l’allontanamento dai combustibili fossili

Il risultato più discusso e controverso della COP28 riguarda la questione dei combustibili fossili. Per la prima volta nel testo finale di una COP viene riconosciuta la necessità di ridurne gradualmente l’uso per affrontare la crisi climatica. Questa decisione rappresenta sicuramente un punto di svolta nel riconoscimento dell’urgenza di agire sul fronte delle emissioni di carbonio e nel mettere a disposizione una piattaforma per discutere le strategie necessarie per ridurne la produzione.

Tuttavia, la mancanza di chiarezza e di vincoli significativi nel testo finale ha generato preoccupazioni riguardo all’efficacia nel promuovere una vera transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Infatti, la scelta di usare il termine “allontanamento graduale” anziché “eliminazione” o “riduzione graduale” ha sollevato dubbi sulla determinazione con cui i paesi attueranno tali misure. Questo approccio ambiguo ha messo in discussione la capacità del testo di fornire una guida chiara e vincolante per affrontare efficacemente la sfida dei combustibili fossili nell’ambito dell’azione climatica globale. La mancanza di concretezza e di vincoli temporali rappresentano un grande buco nella canoa costruita durante la COP28, essi infatti potrebbero limitarne l’impatto e la capacità di catalizzare cambiamenti sostanziali, che per alcune regioni del mondo sono essenziali per affrontare la crisi climatica.

I buchi della canoa

Altri buchi presenti nella canoa riguardano il mancato coinvolgimento di due dei principali emettitori mondiali, Cina e India, nei piani di transizione verso energie rinnovabili e la decisione di rimandare al futuro molte questioni cruciali, come il finanziamento per l’adattamento e l’inevitabile impatto dei cambiamenti climatici. Inoltre resta centrale il dibattito su chi debba pagare le centinaia di miliardi di dollari necessarie per affrontare questi problemi, senza risposte definitive all’orizzonte.

In conclusione, sebbene la COP28 abbia prodotto una serie di accordi che soddisfano diversi attori rappresentati, rimangono evidenti diverse lacune nell’affrontare gli impatti dannosi dei cambiamenti climatici. L’urgenza di una maggiore ambizione e cooperazione internazionale è più evidente che mai, con la necessità di politiche nazionali e strumenti concreti che si allineino con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1.5 gradi Celsius. La strada verso una transizione ecologica e giusta appare ancora lunga, ma è fondamentale mantenere alta l’attenzione e l’impegno per garantire un futuro sostenibile per tutti.

Fonti

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