Il Gioco di Ruolo (GdR) e la salute psicologica
7 min readLe origini del gioco di ruolo: tira il dado per l’iniziativa!
Nel Gennaio del 1974 gli statunitensi Gary Gigax e Dave Areson lanciarono sul mercato il loro ambizioso progetto Dungeon & Dragons, conosciuto dai fan come D&D: da quel momento il mondo dei “giochi da tavolo” sarebbe cambiato per sempre. Mescolando cultura, folklore, drammaturgia e strategia i due statunitensi sono riusciti in meno di 50 anni a conquistare 20 milioni di giocatori in tutto il mondo. I “giochi di ruolo” (G.D.R.) o “Role Playing Games” (R.P.G.) in lingua inglese, sono dei giochi cooperativi che coinvolgono complesse interazioni tra uno o più giocatori all’interno di una storia che si evolve sulla base delle scelte dei singoli personaggi.
A quasi 50 anni dalla creazione di D&D, esistono ormai centinaia di giochi di ruolo differenti, in presenza e online, da tavolo e live-action che condividono però quasi sempre alcuni elementi:
– almeno un giocatore che controlla un personaggio più o meno caratterizzato, dotato di un certo grado di libertà che gli permette di modificare con le proprie decisioni le proprie e altrui sorti all’interno dell’avventura;
– almeno un narratore o game master (umano e non), che scrive e narra la trama dell’avventura all’interno della quale i personaggi si possono muovere. Il compito del narratore è delineare le missioni, i problemi e le sfide che i giocatori si troveranno ad affrontare, il cui esito rimane di volta in volta non definito e in evoluzione;
– uno scenario più o meno fittizio all’interno del quale la trama e la vita dei personaggi si dipana, comprensivo di ambienti, personaggi non giocabili e eventi che caratterizzano e contestualizzano l’esperienza;
– un set di regole più o meno articolato che impone limiti e gradi di libertà alle scelte dei giocatori e del narratore, creando un sistema coerente e funzionale [1]
L’interazione tra tutti questi elementi crea una ricca interazione narrativa tra il narratore e i giocatori: di fatto i personaggi non devono giocare contro il narratore, ma piuttosto muoversi il più liberamente possibile all’interno delle regole e dei limiti scelti dal narratore stesso. Per quanto riguarda il gioco in presenza, l’esperienza si avvale della creatività e dell’immaginazione dei suoi partecipanti, mediata dalle doti di story-telling del narratore e dalla capacità dei singoli personaggi di coinvolgersi in ruoli drammaturgici spesso estremamente in contrasto con la personalità del giocatore reale.
Giochi di ruolo e salute psicologica
In seguito all’emergenza pandemica da Covid-19 la letteratura scientifica si è interessata sempre di più a individuare setting terapeutici alternativi, ovvero ambienti fisici e psicologici diversi dalle stanze di terapia e dagli ambulatori sanitari che permettano l’espressione e l’elaborazione delle proprie esperienze. L’isolamento sociale e il senso di incertezza costante che ha caratterizzato il 2020 ha portato un gran numero di adolescenti e adulti a rivolgersi ai giochi di ruolo più celebri per conservare la propria serenità, sicurezza e le proprie relazioni significative [2]. Fandom, l’azienda proprietaria di Dungeon & Dragons, il gioco di ruolo più famoso di tutti i tempi, riporta che nei primi mesi del 2020 durante l’emergenza pandemica il numero di giocatori è duplicato. Diversi studi hanno riportato che durante questo periodo, mentre le richieste di sostegno psicologico aumentavano vertiginosamente e la salute mentale dei cittadini vacillava giorno dopo giorno, molte persone attraverso il gioco di ruolo e l’ambiente ludico-relazionale che lo caratterizza, hanno sperimentato benefici nella gestione dell’ansia, dello stress e delle emozioni angoscianti che accompagnavano la solitudine e l’impossibilità di uscire di casa. Perchè un gioco di ruolo tra amici dovrebbe favorire benefici così interessanti per la comunità scientifica?
Una lettura psicologica del GdR
La letteratura scientifica cerca da decenni di comprendere meglio il funzionamento psicologico alla base dei giochi di ruolo. Sembra infatti che siano necessarie spiccate abilità relazionali ed emotive per partecipare ad una campagna di D&D, caratteristiche molto distanti dagli stereotipi mainstream del maschio nerd socialmente impacciato che si ritira in soffitte e cantine insieme a manuali e statuine dipinte. Il primo aspetto cruciale riguarda la capacità di mettersi nei panni di un personaggio: questo role-play ha molte implicazioni sia sull’esperienza di gioco che sullo sviluppo di diverse abilità psicologiche fondamentali per la vita socio-relazionale dei partecipanti. Come afferma il celebre psicologo George Kelly [3], la capacità di comprendere gli altri risiede nella possibilità di spogliarsi del proprio modo di significare il mondo e abbracciare quello di un’altra persona: mettere da parte il nostro modo d’essere e impersonare una maschera, un personaggio diverso da noi richiede quindi uno sforzo teatrale e narrativo. Tale sforzo permetterebbe al giocatore di iniziare progressivamente a fare esperienza di modi d’esistere nel mondo alternativi al proprio punto di vista di partenza, esplorando in fin dei conti delle identità personali alternative. Inoltre questo processo potrebbe anche facilitare la comprensione delle ragioni dell’altro-da-me, apprezzando le differenze intrinseche a questa interazione. Questo processo di mettersi nei panni di un’altra persona sembra facilitare l’autoriflessività del giocatore, aumentando l’empatia e facilitando la comprensione dei contesti e delle altre persone [2].
Un secondo aspetto importante che accomuna la maggior parte dei GdR è il fatto che molti di questi giochi implicano esperienze relazionali significative in contesti protetti: i giocatori si riuniscono di volta in volta insieme al narratore in un setting specifico (in presenza o online), quasi ritualizzato, che facilita la messa in gioco dei partecipanti riducendo il rischio di essere invalidati sul piano relazionale. Questo processo, agevolato ulteriormente dalla tutela della maschera/personaggio, permette alla persona di sperimentare in modo libero e inedito nuove modalità di essere in relazione con gli altri, creando dapprima nuovi ruoli relazionali nel gioco e successivamente favorendo anche l’utilizzo di questi ruoli nella vita quotidiana. Il contesto amicale e fittizio non riduce quindi le possibilità di relazione dei giocatori, ma al contrario permette di facilitare nuove modalità inedite di interazione umana.
Un altro aspetto importante riguarda la capacità di problem solving: i giocatori di un GdR sono continuamente esposti a scelte complesse, empasse e dilemmi che spingono il singolo a rapportarsi al gruppo in ottica squisitamente sistemica: l’equilibrio del team di personaggi dipende direttamente dalla capacità dei suoi membri di anticipare problematiche e ostacoli inattesi e affrontarli in modo cooperativo, costruttivo e inedito. Un errore di un singolo personaggio può portare a esiti catastrofici per l’intero gruppo di giocatori, così come una singola buona scelta presa al momento giusto può salvare l’intera squadra da morte certa.
E’ possibile fare terapia con un gioco di ruolo?
Torniamo ora all’incipit dal quale eravamo partiti: può un gioco di ruolo entrare a far parte del mondo della psicoterapia?
Diversi sono gli studi che dimostrano che le caratteristiche dei principali giochi di ruolo finora analizzati possono essere sapientemente modellate da psicologi per creare setting e percorsi di terapia personalizzati ed efficaci. Uno dei primi tentativi nel panorama scientifico appare in un testo del 1955 di George Kelly, e prende il nome di “terapia del ruolo stabilito”: questa tecnica terapeutica permette al terapeuta e al paziente di creare insieme un bozzetto di un personaggio alternativo al ruolo quotidiano del paziente, al fine di favorire la sperimentazione di possibilità mai prese in considerazione fino a quel momento. Il personaggio non deve essere impersonato solamente nella sala della terapia ma anche durante la vita quotidiana, trasformando la vita della persona in un inedito laboratorio espressivo che possa permettere l’emersione di identità alternative foriere di benessere. Negli ultimi 50 anni numerosi sono i casi riportati in letteratura di psicoterapeuti che utilizzano i GdR come D&D come strumenti clinici utilizzabili in una psicoterapia individuale e di gruppo: diverse ricerche dimostrano che queste tecniche possono essere adattate in modo molto efficace al trattamento di forme di sofferenza molto varia, dall’autismo alle esperienze depressive o di ansia sociale [2]. Le ricerche più recenti si stanno orientando sulla creazione di protocolli d’intervento e nuovi strumenti tecnologici che impiegando i principi del serious gaming e della gamification possano promuovere il benessere degli individui e ridurre il disagio psicologico connesso ad alcune forme di psicopatologia, come il GdR online SPARX (utile ad aumentare la consapevolezza sulla depressione adolescenziale e ridurne i sintomi più lievi) o i progetti di Therapy Role Playing Game (T-RPG) che adattando il complesso universo di D&D come base di partenza della psicoterapia. Queste ricerche ci obbligano a ripensare il ruolo dei professionisti della salute psicologica, ormai non più intesi come gli esperti che indicano la retta via ai propri pazienti, ma piuttosto come dei compagni di viaggio che orientando le persone verso alcune sfide ed esperimenti possono favorire nuovi percorsi di benessere e salute.
Bibliografia e Sitografia
– [1] Deterding, S., & Zagal, J. (Eds.). (2018). Role-Playing Game Studies: Transmedia Foundations (1st ed.). Routledge.
– [2] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC9092936/
– [3] Kelly, G. A. (1955). The psychology of personal constructs. Vol. 1. A theory of personality. Vol. 2. Clinical diagnosis and psychotherapy. W. W. Norton.
Sono Andrea Craighero e sono Psicologo, Psicoterapeuta in formazione e insegnante di tecniche Mindfulness. Attualmente lavoro nell’ambito della migrazione e della salute mentale, ma sono anche un avido lettore, uno scomodo viaggiatore e un apprendista tatuatore. Tante cose in testa, tanta fame nel petto. Ho studiato all’Università di Padova e alla Tilburg University (Paesi Bassi) e mi sto specializzando come psicoterapeuta all’ Institute of Constructivist Psychology (ICP). Ho sempre cercato di lavorare nell’ambito della marginalità e dell’interculturalità sia come clinico che in un progetto di photoreportage che nel 2019 mi ha portato a vivere per un mese nelle montagne nel Nord dell’Albania.