E se il mostro fossi tu?
6 min readIl peso della responsabilità può essere angosciante. Il dibattito sul significato morale delle nostre scelte va avanti dagli albori della civiltà. Socrate sosteneva che il male esiste perché le persone ignorano il bene, i protestanti che è tutto già scritto e Kierkeegard mise in risalto il viscido senso di inadeguatezza nel momento in cui bisogna confrontarsi con la concreta possibilità di fare del male e con una libertà che forse non riesce a soddisfarci in toto. Vivere è un’esperienza complessa: i rintocchi solenni del tempo riecheggiano senza pietà e le nostre esperienze schizzano via tra binari del bene e del male, per poi disperdersi in fumose lontananze, in un arco perennemente teso tra lo spasmodico desiderio di affermare la propria volontà e il timore di un giudizio altrui in grado di mortificarci.
Immaginiamo di svegliarci una mattina e ricominciare una nuova storia. Sarebbe bello svegliarsi comodamente sul proprio letto, aprire la finestra ed essere inondati dalla luce del giorno. Ma a volte le circostanze ci fanno precipitare in situazioni rocambolesche. Diciamo che ci svegliamo in un manto di fiori dorati e sorridenti, nel corpo di un bambino molto silenzioso che si accorge di essere finito per chissà quale motivo in una fossa. Ci alziamo e percorriamo un corridoio asettico prima di raggiungere uno spazio in cui incontriamo un allegro fiorellino, che si rivolge a noi con parole dolci e rassicuranti.
Dice che ci insegnerà come funziona quel mondo e a un certo punto siamo attorniati da piccoli proiettili volteggianti che si dirigono verso di noi. Sono la dichiarazione d’amore del fiore, il quale, con la sua affabile ingenuità, ci invita ad accettarla. Non appena sfioreremo i proiettili quella dimostrazione di bontà gratuita si trasformerà in un’arma che ci ridurrà in fin di vita e le vere intenzioni del fiore emergeranno dalle ombre. “In questo mondo è uccidere o esseri uccisi” questa è la legge del gioco, uno squarcio gelido che apre una prospettiva sulla vera natura delle cose. La vita fin da sempre è lotta per la sopravvivenza e quella che potrebbe essere la tua opportunità per un altro potrebbe costituire una condanna a morte.
Undertale, un videogame per PC creato da Toby Fox nel 2015, comincia così. In un mondo che dispone di risorse limitate la lotta alla sopravvivenza assume declinazioni drammatiche e ogni uomo diventa un lupo per l’altro uomo, come diceva Plauto. Lo scenario del gioco si allarga davanti a noi, mostrandoci un universo popolato da mostri, ognuno dei quali è caratterizzato da alcune stranezze ma ha una propria storia, una vita e dei legami affettivi così come quelli che ognuno di noi costruisce nella propria esistenza. Nel corso delle nostre vicissitudini virtuali diamo per scontato che per procedere nella trama sia necessario uccidere tutti i mostri, come se fosse una corsa a ostacoli, proprio in virtù del fatto che gli esseri umani siamo noi e i mostri sono loro, e perché in fondo è solo un videogioco, cosa vuoi che possa succedere?
Quello che può succedere in realtà è più che rilevante, dal momento che nessuno ti garantisce che anche la nostra vita non sia solo una simulazione avviata da qualcuno o qualcosa che si gode le nostre avventure da uno schermo intergalattico, e magari si diverte un po’ quando ci facciamo del male. Questa è una prima riflessione sulla quale il cinema e la fantascienza hanno abbondantemente marciato. Ad esempio Philip Dick tra le sue opere ha contemplato un mondo in cui gli esseri umani sono stati sostituiti con dei robot (e ne sono inconsapevoli) e questo aprirebbe uno squarcio riflessivo sulla natura del libero arbitrio, che potremmo affrontare in un altro articolo.
Tornando a noi, in realtà se decideremo di comportarci come dei pacifisti succederanno alcune cose, se invece saremo dei guerrafondai incalliti ne accadranno altre e si apriranno nuove prospettive nel corso del gioco, che faranno luce sul tessuto della trama, sui retroscena pulsanti nei personaggi e su ciò che ha spinto loro a comportarsi in un determinato modo. Proprio come nella vita “vera”. Perché ogni atteggiamento, anche di ostilità, affonda le sue ragioni in scenari ampi e affamati di risposte; soltanto nel baratro più oscuro della stupidità regna un vuoto divorante. La conclusione a cui si giunge è che non è tutto così semplice come appare.
In una realtà complessa perché spaventosamente fluida, basta una leggera spinta per scivolare dal bianco al nero e rendersi artefici delle peggiori atrocità. Ma la verità è che nella vita non esistono bianco e nero, esiste un’infinita scala di grigi modulata da un intreccio di razionalità ed emozioni, paure e desideri reconditi che sono chiamati a trovare un equilibrio se desideriamo avere un posto nella civiltà. Come lo stesso Freud sosteneva, il prezzo della civiltà è la rinuncia alle nostre pulsioni, che potrebbero riemergere in futuro in una forma più infida ed elaborata. Sarebbe troppo semplicistico identificare un bene eterno e un male assoluto per sollevarsi dalle proprie responsabilità e sentirsi in diritto di giudicare gli altri perché pensiamo di essere migliori di loro.
La trappola della morale risiede nel fatto che il giusto acquista un’inalienabile superiorità rispetto al reo, l’immorale paga le sue colpe sprofondando nelle viscere della Terra, e chi testimonia tutto ciò senza avere la piena cognizione di ciò che sta avvenendo spesso si convince del fatto che la punizione sia completamente meritata. Gli esseri umani hanno dettato legge sul concetto di giustizia, stigmatizzando una parte come contenitore di tutti i mali possibili (il mondo sotterraneo) e proclamando l’altra come la fonte di un bene abbondante e salvifico (il mondo degli umani).
Chi nasce sotto la luce di una realtà sorretta da contrasti titanici spesso finisce per essere fagocitato da una delle due parti e perde totalmente il contatto con la complessità della vita vera. La parola “mostro” evoca qualcosa di malvagio e dunque lo si combatte a prescindere, senza riflettere troppo; eppure la sua etimologia, dal latino “mostrum”, indica semplicemente qualcosa di prodigioso e fuori dall’ordinario, che può spaventare per la sua diversità. Ma non per questo è giusto condannarlo a priori.
Flowey, il fiore che abbiamo incontrato come primo personaggio del gioco, desidera ardentemente distruggere un mondo che definisce malato, e per ripulirlo decide di far uso della violenza più barbara. Come castigo per l’immoralità di un universo che ha causato tanto dolore negli esseri viventi decide di far pagare anche a vite innocenti il supplizio che lui stesso ha dovuto subire, strenuamente convinto del fatto che una volta che avrà ripulito il mondo dal marcio sarà in grado di edificare una realtà migliore. Ma spesso il processo per elevarsi al di sopra delle masse è lastricato da rovi che scarnificano ogni traccia di innocenza.
Il concetto di “purificazione” infatti nella maggior parte dei casi prevede una pars destruens che precede la pars costruens. Il sogno malato della supremazia della razza ariana, ad esempio, avrebbe avuto le sue radici nello sterminio di tutti i popoli inferiori. Una tribolazione biblica per preparare il terreno alla palingenesi, come il battesimo del sangue nelle acque del mar Rosso necessario per forgiare la strada del popolo di Dio.
Ma gli uomini non sono pezzi di ferro duri e inflessibili, come tante leggende raccontano; al contrario, sono costantemente esposti al proprio dolore, a quello altrui e alla traboccante avidità che instilla in loro i deliri di onnipotenza più assurdi, i quali mettono in risalto soltanto l’incapacità di vivere una vita serena e tranquilla, come invece riesce a fare tanta gente là fuori. E chi vola troppo in alto spesso fa una brutta fine, lo sappiamo. Al termine del tuo percorso sarai davvero in grado di garantire la pace o, come Napoleone, finirai per diventare ciò che tu stesso hai combattuto con tanta disperazione in corpo?
Studio biotecnologie mediche. Sono un appassionato di scienze e filosofia e amo l’arte in tutte le sue forme. Sono profondamente convinto che la Bellezza debba essere il baluardo che guida ed emoziona il mondo, pertanto è necessario conoscerne le declinazioni culturali e inebriarsene. Membro del Cicap e del circolo scacchistico estense