Una pillola contro l’ansia
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Una scoperta inaspettata
La prima attività ansiolitica di un composto chimico viene osservata nel 1958 nei laboratori Americani di una grande casa farmaceutica, la Hoffman-laRoche. La cosa più sorprendente è che nessuno si aspettava questi risultati. Sebbene la ricerca di una pillola contro l’ansia andasse avanti da qualche tempo, nessuna delle molecole testate aveva mostrato un’attività rilevante e allo stesso modo non c’erano aspettative su quest’ultimo candidato, che era pronto per essere buttato. Anche in questo caso (come visto per la scoperta della penicillina) si tratta di un caso di serendipity in cui la fortuna, il rigore scientifico e l’acuità dell’osservatore hanno creato le condizioni perfette per una scoperta inattesa. Leo Stembach diventò così il padre delle benzodiazepine. Ebreo di origine croata, dipendente di lunga data della Hoffman-LaRoche, fu uno dei chimici più prolifici ed importanti del XX secolo con un numero molto alto di brevetti registrati. Nel 1941 l’azienda lo trasferì dalla sede di Basilea in Svizzera, alla sede in New Jersey, Stati Uniti per proteggerlo dalla furia antisemita del nazismo. Qui porterà avanti i suoi studi più importanti e verrà inserito nella National Inventors Hall of Fame poco prima della morte, nel 2005, all’età di 97 anni.
Un po’ di chimica
I composti ansiolitici appena scoperti vengono chiamati benzodiazepine. Le benzodiazepine hanno una particolare struttura chimica formata da due anelli condensati tra di loro: un benzene e un anello a sette atomi di cui 5 di carbonio e 2 di azoto. I principi attivi appartenenti alla stessa classe si differenziano per la diversità di sostituenti legati a questa struttura di base. Nella pratica clinica, i farmaci usati come ansiolitici e come ipnotici sono gli stessi. I barbiturici, molto più diffusi prima dell’introduzione delle benzodiazepine, sono utilizzati a bassi dosaggi per il trattamento dell’ansia e a dosi più elevate per avere un effetto sedativo. Le dosi però non devono essere troppo alte perché una dose non ben calcolata o un sovradosaggio può portare a degli effetti molto gravi come la perdita di coscienza e depressione respiratoria. I barbiturici infatti inibiscono in maniera indiscriminata la trasmissione dei messaggi sinaptici a livello del sistema nervoso centrale mentre le benzodiazepine agiscono su un bersaglio molto preciso: il recettore delle benzodiazepine. Il recettore delle benzodiazepine si trova nel complesso recettoriale per il GABA che è il principale neurotrasmettitore inibitorio del sistema nervoso. Le benzodiazepine non fanno altro che aumentarne la capacità di inibizione bloccando la trasmissione dei segnali eccitatori.
Molto più di un farmaco
Il primo principio attivo, il clordiazzepossido, fu approvato e commercializzato a partire dal 1960 con il nome commerciale di Librium. Solo tre anni dopo il Valium, una versione migliorata del Librium, entra nel mercato determinando il vero successo delle benzodiazepine. Il boom di vendite arriva in pochissimo tempo diventando il farmaco più prescritto e venduto al mondo dal ’69 all’83. Le campagne pubblicitarie dell’epoca lo vendono come la panacea per i problemi della vita moderna, dallo stressato uomo d’affari all’annoiata casalinga piccolo borghese di periferia. Da allora, gli ansiolitici cresceranno progressivamente la loro popolarità tanto da entrare a far parte della vita quotidiana di tante persone, di tutte le estrazioni sociali.
Nel 1966 i Rolling Stones pubblicano negli USA il singolo Mother’s Little Helper raggiungendo buone posizioni in classifica. Con il loro stile diretto e dissacrante, gli stones ci raccontano di quanto gli ansiolitici siano entrati a far parte della cultura americana e di quanto l’uso/abuso fosse comune tra mamme e casalinghe. Questa canzone è un esempio di quanto fosse forte e diffusa la convinzione che per ogni problema si potesse trovare una medicina e che la tristezza e la monotonia, non fossero altro che una malattia da poter curare con una pillola gialla, una pillola contro l’ansia.
In un articolo del 2017 pubblicato sul Washington Post e ripubblicato in Italia dal Il post, si analizza il rapporto tra musica e benzodiazepine. A vedere bene sembra che la musica pop e hip-hop d’oltreoceano sia fortemente influenzata dall’uso di ansiolitici. La pressione sociale sulle nuove generazioni insieme a vita frenetica ed altri fattori, fanno in modo che si trovi sempre più spesso rifugio nella realtà ovattata di un ansiolitico. La musica da pasticca è quella che ti accompagna dolcemente senza sbalzi e senza brusche interruzioni da un pezzo all’altro. L’associazione musica e droghe non è certo una novità e ogni stagione musicale ha avuto la sua sostanza d’abuso tipica. Come il jazz è legato all’uso dell’eroina, il rock di fine anni ’60 all’LSD e la disco music alla cocaina, così gli ansiolitici sembrano essere legati alla musica pop e mainstream del Ventunesimo secolo.
Nella definizione di salute data dall’OMS si considera non solamente l’assenza di malattia ma anche il benessere fisico e psichico dell’individuo. La sfida sul benessere del futuro non riguarderà solamente la capacità di curare e prevenire le malattie fisiche, ma di pensare al benessere della persona nel suo insieme. Forse così si riuscirà a ricucire, nel benessere, la distanza che c’è tra corpo e mente.
Mi chiamo Francesco Zantedeschi e sono laureato in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche. Sono da sempre affascinato dalla scienza e dalla creatività. Recentemente mi sono avvicinato alla divulgazione scientifica perché penso che la scoperta sia importante tanto quando la sua comunicazione.