Dicembre 17, 2024

José Saramago: un’ironia metafisica

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Uno stile letterario affascinante, sottili critiche sociali e trame labirintiche sulla scia di Kafka e Borges: ecco le peculiarità di un grande autore del tardo Novecento, l'unico scrittore portoghese ad aver vinto il Premio Nobel.

Qualche anno fa, girovagando senza meta tra gli scaffali di una libreria, rimasi affascinata da un piccolo volume quasi nascosto, su uno dei ripiani più bassi. Raffigurava in copertina la Morte seduta su una panchina, con un mazzo di rose in grembo, e il titolo era “Le intermittenze della Morte”. Fu proprio questo titolo curioso, quasi ossimorico, a convincermi ad acquistare immediatamente il libro, senza conoscerne né la trama né l’autore. Fu così che venni a conoscenza del genio di José Saramago.

Vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1998, lo scrittore portoghese ha lasciato un segno indelebile nell’universo letterario, venendo riconosciuto, a tutt’oggi, come uno dei migliori romanzieri del Novecento. Lo stesso Harold Bloom, celebre critico letterario, lo definì nel 2003 «il romanziere maggiormente dotato di talento ancora in vita, uno degli ultimi titani di un genere letterario in via di estinzione». Nonostante le umili origini e le difficoltà economiche che lo portarono ad abbandonare gli studi, Saramago raggiunse elevati livelli di creazione artistica grazie al suo costante interesse per la letteratura.

Un insieme di prolifica produzione letteraria e una prosa unica nel suo genere costituiscono i tratti distintivi di José Saramago. Ma è appunto la prosa a renderlo diverso da tanti altri scrittori contemporanei: una prosa densa, che mette alla prova tanto la sintassi quanto il lettore, in cui i periodi si dilungano per pagine, interrotti solo da virgole. Una sorta di flusso di coscienza privo, tuttavia, della presunzione di indagare i movimenti del subconscio, ma legato, al contrario, alle dinamiche della quotidianità, al fluire naturale delle conversazioni, tra continue digressioni e asindeti che costituiscono il complesso e ricco meccanismo del linguaggio. Anche i dialoghi, che siano tra due o più personaggi (compresi gli oggetti), sono soggetti alla medesima tecnica. Saramago rende la vita difficile al lettore, il quale si ritrova di fronte a lunghe conversazioni prive della punteggiatura convenzionale, nonché, talvolta, dei nomi degli stessi interlocutori. Lo scrittore distingue i personaggi chiamandoli, infatti, con il nome della loro professione, posizione sociale o aspetto fisico, incrementando, così, la possibilità di immedesimazione durante la lettura. Ecco un piccolo estratto da Le Intermittenze della Morte per darvi l’idea del tipico dialogo saramaghiano:

La voce del primo ministro risuonò spazientita, Che c’è, domandò, i problemi della televisione, che io sappia, non riguardano me, Non si tratta della televisione, signor primo ministro, ho una lettera, Sì, mi hanno detto che ha una lettera, e cosa vuole che le faccia, La prego solo vivamente di leggerla, nient’altro, il resto, per usare le sue stesse parole, non riguarderà me, Noto che è nervoso, Sì, signor primo ministro, sono più che nervoso, E che dice codesta misteriosa lettera, Non posso dirglielo per telefono, La linea è sicura, Comunque non glielo dirò […]

La punteggiatura viene quasi completamente annullata, rendendo la conversazione, al contempo, una sfida per il lettore e una fedele rappresentazione della scorrevolezza del linguaggio parlato.

Ma cosa ci comunica Saramago nei suoi romanzi? Si può dire che lo scrittore portoghese sia un perfetto autore del what if…? in grado, cioè, di costruire trame basate su ipotetiche situazioni capaci di stravolgere la normalità, che si tratti di quella microcosmica (della vita di un singolo uomo) o macrocosmica (dell’intera umanità). In Cecità, una delle sue più celebri opere, immagina un mondo in cui, improvvisamente, tutti diventano ciechi, una condizione in cui l’unanime panico porta la morale ad essere sostituita dalla brutalità della violenza e degli istinti primordiali. In Le Intermittenze della Morte, precedentemente citato, descrive un paese in cui, anche qui improvvisamente, le persone smettono di morire: l’euforia causata dall’ancestrale desiderio d’immortalità si tramuta presto in un incubo, facendoci capire quando l’antitesi della vita sia così essenziale affinché la Natura e la Società continuino a funzionare regolarmente.

Nelle sue trame macrocosmiche, Saramago mette in luce, con sapiente sarcasmo ed evidente critica sociale, i lati negativi tanto degli organi istituzionali quali Stato, Chiesa o Monarchia quanto dei singoli cittadini. Siamo tutti esseri umani, mossi da istinti che tentiamo, talvolta miseramente, di celare sotto il velo del progresso socioculturale.

Nelle trame microcosmiche, invece, lo scrittore pone l’attenzione sui piccoli eventi della vita del singolo uomo in grado di cambiare completamente la sua visione delle cose, mentre il resto del mondo continua a scorrere, incurante ed ignaro del caos che si cela nella mente di una singola persona. “Il caos è un ordine da decifrare” come riporta Saramago nel frontespizio de L’uomo duplicato, romanzo in cui un ordinario professore di Storia scopre l’esistenza di un suo sosia, affrontando così l’affascinante topos del doppelgänger dostoevskiano con la tipica ironia che contraddistingue la sua scrittura.

Leggere un romanzo di José Saramago significa immergersi in una sorta di realismo magico 2.0, caratterizzato da un’ironia metafisica, con un piede nella critica sociale e l’altro nei misteri dell’esistenza. Con le sue opere ci pone dinanzi alle sfumature dell’animo umano, esplorando il modo in cui esso si manifesta dalla mente al mondo esterno attraverso la più grande arma in dote a noi uomini: la parola. E come nelle sue trame microcosmiche il protagonista rivaluta le proprie convinzioni dopo una certa esperienza, allo stesso modo leggere un romanzo di Saramago potrà farvi emergere da quella cecità che spesso ci impedisce di vedere la verità nascosta dietro mere apparenze.

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