Quando sarete grandi potreste fare un lavoro diverso da quello per cui avete studiato
4 min readQuando si parla di intelligenza artificiale tutti pensano inconsciamente che si tratti di qualcosa che non li riguarda da vicino. Ma quando si discute dell’impatto dell’AI sul lavoro, l’attenzione nei riguardi dell’argomento cambia.
Non abbiamo nessuna idea di quale sarà l’assetto del mercato del lavoro nel 2050. Ma, in generale, l’idea che il machine learning (apprendimento automatico) e la robotica cambieranno quasi ogni ambito professionale – dalla produzione di marmellata all’insegnamento del public speaking – è quasi unanimemente condivisa.
La natura di tali cambiamenti e la loro collocazione sullo scenario temporale non sono del tutto definite. Per quanto riguarda l’effetto a lungo termine dell’automazione sulle attività umane, esistono due ipotesi: la prima è che, entro una ventina d’anni, qualche miliardo di individui sarà funzionalmente superfluo mentre, stando alla seconda, l’intelligenza artificiale contribuirà a generare nuovi posti di lavoro e una maggiore prosperità per tutti.
I timori secondo cui l’automazione causerà una disoccupazione di massa ci portano indietro nel tempo, al XIX secolo. Dall’inizio della rivoluzione industriale, per ogni posto di lavoro perso come conseguenza dell’entrata in funzione di una macchina è stato creato almeno un altro posto di lavoro, e la qualità media della vita è aumentata in modo esponenziale. D’altra parte, però, esistono buone ragioni per ritenere che oggi la situazione sia ben diversa, e che l’apprendimento automatico potrebbe cambiare le regole del gioco.
Gli esseri umani hanno due tipi di abilità: fisiche e cognitive. In passato le macchine erano in competizione con gli esseri umani soprattutto nelle abilità puramente fisiche, mentre gli uomini mantenevano un immenso vantaggio sulle macchine nelle facoltà cognitive. Pertanto, quando i lavori manuali nel settore agricolo sono stati automatizzati, il contadino che è stato sostituito dal trattore poteva trovare lavoro all’interno delle fabbriche o nei supermercati; intanto nel settore dei servizi sono via via emerse nuove posizioni lavorative che richiedono quel tipo di capacità cognitive che soltanto gli uomini possiedono: apprendimento, analisi, comunicazione, e soprattutto compressione delle dinamiche emotive.
L’intelligenza artificiale oggi comincia a superare le prestazioni degli uomini in un numero crescente di competenze e mansioni, inclusa la compressione delle dinamiche emotive. Non siamo a conoscenza di un terzo campo di attività – oltre a quelle fisiche e cognitive – dove gli esseri umani potranno conservare per sempre un vantaggio sicuro.
Nel corso degli ultimi decenni le ricerche in aree come le neuroscienze e l’economia comportamentale hanno permesso agli scienziati di comprendere in modo molto più preciso i processi decisionali degli individui. In particolare, si è giunti ad una conclusione che personalmente ritengo sia tra le più eclatanti degli ultimi decenni: si è scoperto che ogni nostra scelta, da quello che mangiamo alle persone che amiamo, non dipende da un misterioso libero arbitrio, bensì dall’attività di miliardi di neuroni che calcolano in una frazione di secondo la probabilità del verificarsi di un evento. Ad esempio, se decido di comprare una maglietta monocolore in cotone perché mi piace, in realtà la mia azione è guidata a livello neurale dall’esito positivo di un “calcolo” di probabilità che quella determinata maglietta mi provochi appagamento e benessere. Lo stesso approccio probabilistico viene utilizzato dagli algoritmi di deep learning per determinare il modello che conduce alla miglior “mossa” da eseguire per avvicinarsi all’obiettivo finale attraverso un calcolo veloce e profondo che mira a massimizzare la probabilità di successo.
La tanto decantata “intuizione” umana consiste in realtà nella capacità di riconoscere determinati “modelli”. Autisti, impiegati di banca e avvocati capaci e competenti non si avvalgono di intuizioni magiche per quanto riguarda il traffico, gli investimenti o la negoziazione; piuttosto, grazie al riconoscimento di modelli ricorrenti, essi individuano ed evitano pedoni disattenti, debitori inaffidabili e truffatori tramite il calcolo probabilistico. Si è anche scoperto che gli algoritmi biochimici del cervello umano sono molto lontani dall’essere perfetti. Essi si affidano ad approcci euristici, a scorciatoie e a schemi bizzarri, frutto delle esigenze del momento e dell’adattamento alle situazioni più disparate. Non c’è da stupirsi quindi che autisti, impiegati di banca e avvocati capaci e competenti talvolta commettano errori banali.
Nello svolgimento del lavoro i cervelli di questi professionisti, in modo inconscio, analizzano espressioni del viso, toni della voce, movimenti delle mani e perfino odori corporei, e inquadrano tutti questi elementi nei modelli biochimici di riferimento. Un’intelligenza artificiale operante in un sistema dotato dei giusti sensori potrebbe elaborare questi processi critici in modo di gran lunga più accurato e affidabile di un essere umano.
Questa minaccia di perdita di lavoro non proviene semplicemente dall’ascesa delle tecnologie informatiche e quelle biologiche. La strada dello scanner a risonanza magnetica al mercato del lavoro è lunga e tortuosa, ma è una distanza che può essere percorsa in pochi decenni. Ciò che i neuroscienziati stanno imparando oggi sull’amigdala e sul cervelletto potrebbe mettere gli algoritmi in condizioni di svolgere in modo più efficace le prestazioni di psichiatri e guardie del corpo già a partire dal 2050.
L’avvento dell’AI stravolgerà interi settori come il trasporto, l’assistenza bancaria o la consulenza legale, rendendo quasi impossibile la protezione e la conservazione degli attuali posti di lavoro, specie se mettiamo sul piatto della bilancia l’immenso valore aggiunto che l’intelligenza artificiale apporterà alle varie professioni. Autisti, banchieri e avvocati, resi “superflui” dalle nuove tecnologie, probabilmente svolgeranno domani un lavoro completamente differente da quello per cui si sono formati.
Link utili per approfondire:
https://www.jneurosci.org/content/36/30/7817
https://bayes.wustl.edu/etj/prob/book.pdf
Calcoli probabilistici per la rappresentazione cerebrale del mondo.
Sono un ricercatore presso Co.Mac – CFT, un importante gruppo italiano che opera nell’ambito degli impianti industriali. Laureato in ingegneria Meccanica con specializzazione in Meccatronica al Polimi. Attualmente studio automazione con particolare focus verso gli algoritmi di intelligenza artificiale e le sue applicazioni nel mondo reale.
Comunicare significa donare parte di noi stessi, ed è questo il motivo per cui la divulgazione scientifica è una delle mie più grandi passioni.