Dicembre 22, 2024

Psicostoria 2020: breve introduzione alla teoria della complessità

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Scopriamo perché la teoria della complessità è molto vicina alla psicostoria immaginata da Asimov e perché dovrebbe interessare tutti noi.

Se siete cresciuti leggendo i libri di Asimov, è probabile che conosciate già il termine psicostoria. Per chi invece non lo conoscesse, la psicostoria è una scienza che, nell’immaginario asimoviano, permette, sulla base di metodi matematici e statistici, di predire l’evoluzione della civiltà. Il concetto è semplice quanto interessante: l’idea di usare la scienza per fare previsioni è vecchia almeno quanto i Babilonesi, che studiavano l’astronomia per predire le eclissi, tuttavia, la scienza immaginata da Asimov ha una marcia in più, perché viene usata per fare previsioni sugli umani, con tutte le complicazioni che questo comporta.

In realtà una precisa branca della scienza moderna si avvicina molto all’idea immaginata da Asimov. Si chiama teoria della complessità e negli ultimi due decenni si è affermata nel panorama scientifico perché può essere usata per fare previsioni su fenomeni diversissimi: dai picchi dell’influenza stagionale, ai risultati di un’elezione, alla diffusione delle fake news sui social networks.

In questo articolo spieghiamo di cosa si tratta e del perché dovrebbe interessare tutti noi.

MODELLI, DATI E ALGORITMI

La teoria della complessità nasce all’inizio degli anni ’70 con l’intento di studiare come dall’interazione tra un gran numero di individui emergano comportamenti “complessi ”, cioè non spiegabili riducendosi semplicemente alle parti elementari. Ad esempio, per spiegare lo stato liquido, solido o gassoso dell’acqua, non ha senso guardare una o poche molecole, perché queste non ci permettono di distinguere i vari stati. E’ dall’interazione di un gran numero di molecole che hanno origine le transizioni di fase che tutti conosciamo. Ma lo stesso principio si può applicare alle cellule che formano il cervello o a colonie di insetti.

L’idea alla base della teoria della complessità è quella di applicare ai sistemi sociali modelli tratti dalla fisica, cioè trattare gli individui di una popolazione come se fossero, ad esempio, le molecole di un gas. Le prime applicazioni furono poco più che esperimenti, guardati quasi con divertimento dalla comunità scientifica, ma presto si capì che rendendo i modelli sempre più dettagliati, queste tecniche potevano condurre a predizioni utili e relativamente affidabili.

Ma come si rende un modello più dettagliato? Un’opzione è includere un gran numero di dati che descrivano le sue parti, cioè noi, nel caso delle scienze sociali. Questo spiega perché il vero boom della teoria della complessità è strettamente legato a quello dei big data. Oggi chiunque possieda uno smartphone produce costantemente informazioni sulla sua posizione, sulle interazioni con i suoi contatti, sulle sue ricerche su Internet e molto altro. Qualche decennio fa sarebbe stato impensabile ottenere in maniera tanto semplice tanti dati su tanti individui.

Ma c’è di più: negli ultimi due decenni all’aumento dei dati a disposizione è corrisposto anche un aumento di potenza computazionale, che ci consente estrarre da quest’enorme mole di dati pattern e comportamenti ricorrenti in maniera abbastanza efficiente. Insomma, non abbiamo solo tantomateriale grezzo ”, ma anche gli strumenti giusti con cui raffinarlo.

MONDI AL SILICIO

Provate a mettere insieme tutti gli ingredienti: una scienza che studia l’interazione tra individui applicando leggi fisiche e matematiche, un’enorme quantità di dati che ci permette di definire questi individui attraverso un numero potenzialmente infinito di attributi, e computer abbastanza potenti da tenere insieme il tutto. Cosa vi aspettate di ottenere?

Se state immaginando un “mondo artificiale ”, completamente ricreato al computer, non siete molto lontani dalla realtà. E’ più o meno questo quello che si intende quando si parla di agent-based models (modelli ad agenti), in cui si ricreano le strutture sociali fino al livello dei singoli nuclei familiari. Questo tipo di modelli vengono usati per simulare vari scenari, come disastri naturali, epidemie, attacchi terroristici, per capire quali potrebbero essere gli sviluppi più probabili e come prevenire le conseguenze più disastrose.

Per fare un esempio che sembra uscito da un film di fantascienza, il Biocomplexity Institute di Virginia Tech (che non a caso è l’erede del Los Alamos National Laboratory, il laboratorio del Project Manhattan), utilizza modelli di questo tipo per mettere a punto un piano di emergenza nazionale nel caso di un attacco nucleare su Washington. Ma, come abbiamo detto all’inizio, i campi di applicazione sono molto diversi, e possono variare dall’epidemiologia all’analisi dei social networks.

AI LIMITI DELLA FANTASCIENZA

Quindi possiamo prevedere tutto?Ovviamente, no.

La teoria della complessità, proprio come la psicostoria, ha dei limiti precisi, che, in molti casi, sono gli stessi per le due scienze.

Innanzitutto, in entrambi i casi le previsioni sono di tipo probabilistico. Non possiamo essere certi del verificarsi di un dato scenario, ma, osservando un gran numero di simulazioni, possiamo farci un’idea di quali potrebbero essere gli sviluppi più probabili (il cosiddetto Metodo Monte Carlo). Ovviamente anche queste probabilità sono soggette a margini d’errore, e per questo motivo nel fare previsioni non si usa mai un singolo modello, ma diversi, di cui si confrontano i risultati.

Nei libri della Fondazione si leggono poi alcune regole fondamentali per l’applicazione della psicostoria: la popolazione in esame dev’essere sufficientemente grande; tra il momento della predizione e il suo avverarsi non devono sopraggiungere modifiche inattese; la popolazione non deve essere al corrente della previsione perché potrebbe alterare il corso degli eventi; nessuna teoria psicostorica può applicarsi a un singolo individuo.

Le prime due regole valgono praticamente invariate anche per la teoria della complessità. Sulle ultime due invece vale la pena spendere qualche parola.

In particolare, la terza regola nel nostro caso si rivela il vero vantaggio del poter fare previsioni: se siamo in grado di prevedere efficacemente gli effetti di un’epidemia o di un disastro naturale possiamo anche agire per evitare che le conseguenze peggiori si verifichino realmente, per esempio imponendo un lockdown o migliorando le vie di fuga.

La quarta regola è invece dove la realtà ha superato la fantascienza. Pensate a quante volte un’app è stata in grado di consigliarvi un brano, un film o un prodotto che non conoscevate ma che è stato di vostro gradimento. Oggi è possibile ottenere previsioni anche sul singolo individuo, sfruttando l’enorme quantità di dati associata ad ognuno di noi. Chiaramente in questo caso le cose si fanno più delicate e richiederebbero un articolo a parte, per il momento limitiamoci a constatare che, forse, almeno in un aspetto, abbiamo superato l’immaginario fantascientifico.

PSICOSTORIA, OGGI

Dunque, la psicostoria è (quasi) realtà e ci ha insegnato che tra esseri umani e atomi non c’è poi tanta differenza. Eppure, se è vero che possiamo, entro una certa misura, essere prevedibili, è altrettanto vero che, in quanto esseri umani, siamo atomi consapevoli. E proprio per questo diventa più importante che mai conoscere cosa si cela dietro le previsioni che gli “indovini digitali ”, come li chiama Alessandro Vespignani, sono in grado di produrre, affinché non diventino mai strumenti di manipolazione, ma rimangano improntate al bene comune.

Nel Ciclo della Fondazione la psicostoria viene usata per ridurre la durata del periodo oscuro che avrebbe seguito la caduta dell’Impero Galattico. Saremo in grado di usare allo stesso modo la teoria della complessità per alleviare i periodi bui che ci troveremo indubbiamente ad affrontare?

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