Il colore delle stelle
5 min readQuando di notte alziamo gli occhi al cielo, ci ritroviamo a galleggiare sospesi nel fascino del firmamento; le stelle ci appaiono come una moltitudine di punti luminosi di colore biancastro diffusi sulla volta celeste, più o meno brillanti ma essenzialmente simili tra loro. In alcuni casi, tuttavia, uno sguardo più attento ci permette di distinguere alcuni dettagli piuttosto interessanti che nascondono indizi sulle meravigliose proprietà fisiche di questi oggetti.
Nel cielo estivo, alle nostre latitudini, sin dai momenti appena successivi al tramonto è possibile scorgere una stella piuttosto brillante, la prima ad apparire nella luce crepuscolare. Si tratta di Arturo, nella costellazione del Boote, il quarto astro più luminoso di tutto il cielo ed il primo più brillante tra quelli dell’emisfero boreale. Il nome simpatico, magari anche il nostro o quello di un nostro conoscente, in realtà deriva dal Greco Antico árktos ôuros che letteralmente vuol dire “il Guardiano dell’Orsa”; non a caso, Arturo si trova in prossimità del famoso Grande Carro, un gruppo di stelle che rappresenta la coda della più grande costellazione dell’Orsa Maggiore.
Man mano che scende il buio, Arturo si distingue bene dalle altre stelle e non solo per la sua luminosità: non è infatti difficile notare come il colore di questo puntino non sia bianco, bensì di una delicata sfumatura arancione. Muovendo ora lo sguardo verso lo zenit (esattamente sopra le nostre teste) a dominare il cielo è un’altra stella molto brillante chiamata Vega, situata nella costellazione della Lira. Vega ci appare appena meno luminosa di Arturo, sebbene le due stelle siano comparabili; quello che invece risalta all’occhio è senza dubbio la differenza di colorazione degli astri, tendente all’azzurrino nel caso di Vega.
Cercando di non scivolare in banali paragoni calcistici, potremmo dire che Arturo è giallo-rossa mentre Vega è bianco-azzurra. Al di là delle preferenze personali verso l’una o l’altra sfumatura, potremmo chiederci come mai queste stelle sono colorate mentre le altre no. In realtà tutti i corpi celesti visibili in cielo hanno colori diversi. Certo, ci sono stelle bianche ma ne esistono anche di rosse, arancioni, blu e via discorrendo; il nostro Sole, ad esempio, è classificato come stella gialla.
Il motivo per cui gli oggetti del cielo notturno ci appaiono per la maggior parte bianchi è un “problema” dovuto alla nostra vista: gli esseri umani di notte vedono male. Da animali diurni quali siamo, fatichiamo a percepire i colori quando non c’è luce sufficiente, osservando essenzialmente in bianco e nero. Oltretutto, anche la reazione del nostro occhio alle diverse tonalità di colore cambia in base a quanto sia luminoso l’ambiente; tendiamo a distinguere maggiormente il rosso nelle condizioni di luce intensa ed il blu viceversa.
Questo meccanismo è noto come effetto Purkinje. Guardando però attraverso un telescopio, in grado di raccogliere una quantità di luce maggiore dell’occhio umano, i colori delle stelle possono essere evidenziati in tutto il loro splendore; tonalità tutt’altro che casuali e connesse alle caratteristiche di queste gigantesche palle di gas incandescente.
Il colore della luce è indice di quale sia l’energia della radiazione emessa dalla stella, a sua volta collegata alla temperatura superficiale del corpo celeste; tirando le somme, dunque, il colore di una stella ci dice quanto è calda.
Cerchiamo di capire meglio: come abbiamo già discusso in questo precedente articolo, le onde luminose sono caratterizzate da una ben determinata frequenza, una grandezza che ci dice quante volte l’onda si ripete ogni secondo. Maggiore è tale frequenza, più grande è l’energia trasportata dalle onde, mentre ad una frequenza minore corrisponde anche una minore energia. Il nostro occhio percepisce queste variazioni proprio attraverso i diversi colori, con il rosso associato all’energia minore (e quindi alla temperatura più “bassa”) ed il blu-violetto a quella maggiore (quindi alle stelle più calde).
Sembra un controsenso, visto che nella quotidianità siamo abituati ad collegare il rosso al caldo ed il blu al freddo. Quando dobbiamo aprire il rubinetto dell’acqua calda, generalmente utilizziamo la manopola rossa, a meno che non fossimo davvero sadici per far prendere un colpo a chi deve usare l’acqua dopo di noi…
Scherzi a parte, questa associazione mentale deriva dal fatto che sulla Terra non abbiamo delle sfere di luce che brillano di blu o azzurro; per fortuna, aggiungerei. Se le incontraste, fareste meglio a scappare a gambe levate visto che la temperatura superficiale di questi oggetti potrebbe raggiungere e addirittura superare i 30000 gradi. Quando un oggetto diventa incandescente, come ad esempio un pezzo di ferro riscaldato, ed inizia ad emettere luce visibile, il primo colore che vediamo è proprio il rosso. Aumentando la temperatura diventerebbe arancione, poi giallo, bianco ed infine blu. Se non vaporizzasse prima, ovviamente.
In realtà le stelle non emanano luce di un singolo colore, ma sono caratterizzate da uno spettro di emissione, ovvero un insieme di tante frequenze (associate quindi ad altrettanti “colori”) che il corpo rilascia in modo più o meno intenso. Ad esempio, sebbene il nostro Sole emetta maggiormente nel colore giallo, la sua radiazione è in parte anche costituita da luce blu, rossa, ecc. Parte di essa arriva anche in una forma che la nostra vista non riesce a percepire; ad esempio l’ultravioletto, un’onda luminosa più energetica del blu, oppure l’infrarosso, radiazione caratterizzata da una frequenza più bassa della luce rossa.
Ma come mai il Sole e le stelle in generale emettono luce? Cosa permette loro di brillare per milioni o miliardi di anni? Il meccanismo che alimenta gli astri è la fusione nucleare, uno dei processi più efficienti conosciuti in natura. Durante la maggior parte della vita di una stella, l’idrogeno viene convertito in elio nelle regioni centrali proprio attraverso la fusione, liberando un’enorme quantità di energia sotto forma di radiazione luminosa. Maggiore è l’efficienza con cui queste reazioni avvengono, maggiori sono la luminosità e la temperatura della stella.
Uno dei motivi per cui riteniamo così importante lo studio del cielo è la possibilità di riprodurre quello che impariamo dai corpi celesti qui sulla Terra; se fossimo in grado di realizzare la fusione nucleare controllata avremmo un modo per soddisfare il fabbisogno energetico dell’intero pianeta. Si tratta di un meccanismo rinnovabile, in quanto l’idrogeno è l’elemento più presente nel cosmo, pulito (si produce Elio, un gas nobile essenzialmente innocuo) ed estremamente performante. Immaginando di far fondere completamente solo l’idrogeno contenuto nell’acqua di una piscina, avremmo abbastanza energia per tenere acceso tutto il mondo per oltre 24 ore!
Sono ricercatore di Astrofisica e Cosmologia presso l’Università di Milano Bicocca. Da più di tre anni svolgo eventi di divulgazione in giro per l’Italia e non solo. Autore di tre libri divulgativi, collaboro tuttora con diverse associazioni, Università ed istituti di ricerca per la diffusione della conoscenza scientifica alla comunità. Nella mia visione, la scienza è una forma d’arte in grado di deliziare, intrattenere e divertire permettendoci in aggiunta di imparare qualcosa di nuovo e sorprendente.