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Gennaio 8, 2025

IL POTERE DELLO STORYTELLING

4 min read
Come le storie di successo possono influenzare la nostra capacità di agency

“Dai, raccontami una storia !”

Quante volte da piccoli lo abbiamo detto a chi si prendeva cura di noi con occhi emozionati e coinvolti.

Lo storytelling (l’atto di narrare storie e di crearle) ha radici lontane, ha permesso di creare la memoria e di trasmettere esperienza e conoscenza. Le civiltà antiche come quella Greca, Mesopotamica, Ebraica, fondavano le pratiche formative ed educative sullo storytelling : l’Iliade, l’Odissea, l’Epopea di Gilgamesh, l’Antico Testamento. Nell’antichità e nel Medioevo i cantori (cantastorie) avevano il compito di intrattenere le corti con storie fascinose e mitologiche adattate ai gusti del loro pubblico e alle circostanze.

Joseph Campbell fu un appassionato studioso di storie mitologiche e di religione, profondo conoscitore di Jung, che nel suo libro “Eroe dai mille volti” (The Hero with a Thousand Faces) del 1949 parlò di Monomito o Viaggio dell’Eroe, in quanto ogni mito da lui analizzato in ogni tempo e cultura mostrava uno stesso nodo narrativo. “Il Viaggio dell’Eroe è fondamentalmente interiore, un viaggio verso profondità in cui oscure resistenze vengono vinte e resuscitano poteri a lungo dimenticati per essere messi a disposizione della trasfigurazione del mondo… l’eroe è il simbolo di quell’immagine divina e redentrice che è nascosta dentro ognuno di noi e che aspetta solo di essere trovata e riportata in vita”.

Il protagonista della storia attraversa 3 fasi cruciali: la separazione dal mondo ordinario; l’iniziazione, in cui l’eroe affronta varie prove che gli permettono di lavorare su se stesso ed infine il ritorno alla società che aveva lasciato, con una nuova consapevolezza e saggezza. Questo modello narrativo si basa su l’uso di archetipi, cioè figure simboliche che secondo Jung ognuno di noi possiede nella propria coscienza. Tra queste figure-funzioni vi è anche il “mentore” che deriva dal greco mentor, la cui radice man (penso) e manas (intelletto), che era uno dei protagonisti dell’Odissea, a cui Ulisse affida il piccolo figlio Telemaco prima di partire per la guerra di Troia. La sua funzione è quella di motivare l’eroe, di essere un esempio, un modello. Ma a volte non è una persona o un oggetto ma una parte di noi, le nostre risorse interiore che ci permettono di affrontare il viaggio eroico dell’esistenza.

Oggi molti di coloro che si occupano di cinema, di televisione, di pubblicità e di marketing, fanno riferimento a questo schema per calamitare l’attenzione. Lo sceneggiatore Hollywoodiano Christopher Vogler si ispirò e fece propria questa trama-archetipo nel suo “Writer’s Journey: Mythic Structure For Writers” del 1992, pubblicato in italiano come “Il Viaggio dell’Eroe”. Vogler ha lavorato per studi Disney, Immagini FOX 2000 e Warner Bros.

In Italia uno degli esperti contemporanei in questo ambito è Andrea Fontana, co-fondatore di Storyfactory, prima Società italiana nel campo della consulenza narrativa d’impresa ed è inoltre presidente dell’Osservatorio Italiano di Corporate Storytelling, centro-associazione di ricerca scientifica che ha sede nell’Università di Pavia.

Ma perché lo storytelling è così coinvolgente? Il pensiero narrativo è sia visivo che immaginativo ed il nostro inconscio e la nostra mente funzionano per immagini. Come sosteneva Albert Einstein: “L’immaginazione è tutto, è l’anteprima delle attrazioni che il futuro ci riserva. L’immaginazione è più importante della conoscenza”.

Quante volte il cinema ci ha mostrato storie di successo che ci hanno coinvolto così emotivamente da riuscire ad empatizzare con il protagonista? Ad esempio il film “La ricerca della Felicità” tratto da una storia vera è l’omaggio all’imprenditore di successo Christopher Gardner, che prima di conoscere fama e ricchezza, ha vissuto un periodo di buio totale, insieme al piccolo figlio.

Altri esempi ci vengono dallo sport, dalla scienza, dai campione nella vita nonostante le disabilità fisiche, come: Bebe Vio, Bethany Hamilton, Steven Hawking, Alex Zanardi, Nick Vujicic, che ci mostrano come la mentalità è tutto e che la vita è un dono da vivere appassionatamente. E per dirla con le parole di Vujicic ormai speaker motivazionale internazionale: “Se fallirò e rinuncerò, pensate che riuscirò ad alzarmi? No! Ma se cadrò e proverò ancora, ancora e ancora, troverò la forza. Se un uomo senza braccia e senza gambe può pensare in grande, perché non possiamo farlo tutti? Avere paura è peggio che non avere braccia e gambe”.

Queste parole possono fungere da direzione, queste vite possono ispirare e dunque influenzare la capacità di agency di ognuno di noi. Secondo Albert Bandura (psicologo canadese tra i padri della Psicologia Cognitivista) l’essere umano è un agente attivo, in quanto attraverso le proprie azioni contribuisce a determinare il suo funzionamento psicosociale. Più le persone sono convinte di poter perseguire, grazie alle loro azioni, gli obiettivi che si sono prefissate, più è forte il loro senso d’autoefficacia (cioè la convinzione rispetto alle proprie capacità di riuscita, più che il focus sui possibili fallimenti).

Ma non finisce qui. Nell’ambito del neuro marketing sono state svolte delle ricerche scientifiche da parte del Dott. Paul J. Zak, direttore e fondatore del Center for Neuroeconomics Studies, a proposito dell’aumento della produzione dell’ormone ossitocina (implicata nei comportamenti prosociali come altruismo, generosità, empatia e fiducia nel prossimo) in seguito alla visione di storytelling avvincenti, che raccontano storie di rivalsa in cui tutti possiamo identificarci.

Paul Zak promuove una mentalità aziendale che fa fronte a questi principi di fiducia, offrendo anche una base neurologica dell’importanza di esprimersi attraverso narrazioni (public speaking, storyboard, visual narrative). Egli suggerisce di puntare sulla storia stessa che vi è dietro ogni azienda, sfruttando il potere di persuadere, trasmettendo valori, di informare differenziandosi dai competitor e di ispirare, emozionandoci.

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