L’infrasottile secondo Marcel Duchamp
4 min readMarcel Duchamp (1887 – 1968) lo storico pittore, pensatore e scacchista del ‘900, autore di opere come “Il Grande Vetro” o “Fontana”, considerato uno dei più influenti e importanti artisti del XX secolo, da sempre cercava di distruggere l’opinione sociale su molte consapevolezze figlie del senso comune. Questa sua costante ricerca nella demolizione degli schemi prestabiliti, nata da una sconcertante intransigenza, lo portò persino a mettere in mostra un quadro composto con il suo stesso sperma (dal nome ironico, “Paesaggio Sbagliato“). Pensatore eclettico, arrivò infine ad una concretizzazione di un’idea straordinaria applicabile anche ai giorni nostri: la teoria dell’infrasottile (inframince).
Prima di arrivare a una sua esplicazione effettiva nella realtà sensibile è necessario darne una definizione: per quanto Duchamp rifugga ogni esplicitazione che ne delimiti le libertà artistiche, nel 1945 provò a darne una esemplificazione affermando come essa consista in una percezione al di là della percezione stessa; dandone una definizione volontariamente criptica, l’inframince altro non è che una presenza effettiva e contemporaneamente sfuggente.
Elio Grazioli, nel suo volume “Duchamp oltre la fotografia, strategie dell’Infrasottile” (2017) ne parla nei termini di “categoria sotto la quale Duchamp riunisce tutte le sostanze, gli stati, le differenze minime, le condivisioni, i passaggi di stato al limite dell’impercettibile e del distinguibile, reali ma non ottici, […] che si colgono soltanto con la materia grigia”. Si tratta sostanzialmente di quei fenomeni ai limiti della percezione che mostrano spesso il passaggio di uno stato a un altro stato, percepibili solamente con l’occhio della mente.
Per completarne la definizione, Duchamp ne offre degli esempi: egli afferma che “quando il fumo del tabacco odora anche della bocca che lo emette i due odori si incontrano nell’infrasottile”; l’infrasottile è anche “il calore di una sedia da cui qualcuno si è appena alzato”; e ancora “lo spazio tra il rumore di uno sparo e l’apparizione di un buco sul bersaglio”; e ancora “il rumore o la musica prodotti da un pantalone di velluto a coste mentre si respira”. L’obiettivo di Duchamp consisteva nel tentativo di ritrarre questo momento infrasottile nell’arte, ma come si può ben comprendere, questa teoria è indubbiamente applicabile a ogni ambito della vita umana.
Duchamp, inoltre, affermò come questo concetto di infrasottile lo si potesse associare anche a “qualità e modi di essere: il marezzato, l’iridato […]; poi ancora: il tempo, ciò che si svolge all’ultimo momento (il ritardo), l’oblio, l’intervallo […].”
Per quanto riguarda la categoria del tempo, essa risulta infrasottile soprattutto applicandola alla nostra contemporaneità, alle nostre attuali mancanze inevitabili, principalmente perché solo col proverbiale “senno di poi” si possono comprendere appieno quanti momenti della vita, passati in modo inconsapevole, avrebbero potuto avere una valenza maggiore, quanti singoli eventi nascondano in sé tante altre percezioni ultrasensibili. In questo periodo storico soprattutto, oppressi dal peso di una pandemia che ci costringe a rinchiuderci nelle nostre case, possiamo notare come ci manchino quei piccoli momenti non percepibili che ci sono stati tolti. Probabilmente, proprio il fatto di non poterne godere, rende ogni singolo momento infrasottile una mancanza incolmabile; percepiamo così, la penuria di situazioni e attimi come il tepore di una giornata di sole in libertà nei parchi, una cena con gli amici, o un abbraccio ai nonni senza timori.
Eugenio Montale, in una poesia facente parte della raccolta “Le Occasioni” (Einaudi, 1939), ricorda la valenza del tempo e come questo passi velocemente senza che ce ne si accorga:
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto
libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura.
e il calcolo dei dadi più non torna
tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo: ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende…)
tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
Si rende così esplicito il legame tra tempo e percezioni infrasottili e come i singoli momenti, che ci sembrano spesso superficialmente inutili, vadano colti quando è possibile, affinché ci si ricordi cosa, ma soprattutto chi, si scontra con le nostre vite e per godere di cosa, e ancora una volta soprattutto chi, decide di rimanervi.
E non è forse la poesia stessa una sorta di momento infrasottile? Per quell’attimo di lettura essa non ti dona una percezione diversa della vita? Non te la cambia leggermente? Cogliere ciò che è infrasottile nella vita non è forse cercare la poesia in quest’ultima?
Dopo aver conseguito il diploma in scienze umane, un atto di follia mi ha spinto a proseguire con un percorso di laurea in scienze biologiche che, rivelatosi fallimentare, ha spinto lo Zeno Cosini che c’è in me ad iscrivermi al corso triennale di Lettere Moderne, per poi fuggire dalla realtà caotica di Milano, per trasferirmi nella ridente Perugia, dove attualmente studio Insegnamento dell’Italiano agli stranieri, per portare qualcosa dell’Italia anche fuori dalla Penisola.