Nanban: l’incontro artistico tra Oriente e Occidente
5 min readLe attuali Olimpiadi in corso a Tokyo, la capitale del Giappone, ci stanno facendo riscoprire l’essenza della vicinanza e collaborazione internazionale tra popoli dopo la tragica esperienza della pandemia, che ha reso le persone e i confini ancor più distanti, invalicabili ed isolati. Nel 2021, Oriente e Occidente tornano ad incontrarsi sotto l’ombra dei cinque cerchi, dando vita ad un unico globo come quello proiettato da migliaia di droni durante la cerimonia d’apertura dei giochi olimpici.
Il passato è pregno di testimonianze della fusione tra Est ed Ovest, specialmente nel periodo delle prime esplorazioni coloniali oltre i confini del Mediterraneo da parte degli europei. Nonostante l’intervallarsi di luci ed ombre del colonialismo, gli effetti dell’incontro tra popoli diversi e lontanissimi portavano le culture dei differenti paesi ad un’influenza reciproca, i cui lasciti sono ancora presenti nella modernità ormai globalizzata delle società orientali ed occidentali.
Oggi voglio portarvi alla scoperta dell’arte nanban, sviluppatasi nel Giappone del XVI-XVII sec. con l’arrivo dei primi europei sull’isola, in particolare portoghesi e spagnoli. Il Portogallo, infatti, fu il primo paese europeo a metter piede, nel 1543, sullo sconosciuto suolo nipponico, le cui uniche testimonianze risalivano, all’epoca, a ciò che Marco Polo scrisse nel suo Il Milione (1298). Ciò che Marco Polo sapeva del Giappone gli venne raccontato dal popolo cinese durante il suo leggendario viaggio in Estremo Oriente, in quanto nemmeno lui ebbe la fortuna di visitare quello che i cinesi chiamavano Jepenkuo (Paese del Sol Levante).
La parola “nanban” significa letteralmente “barbari del sud”, termine coniato in Cina ma diffuso anche in Giappone per descrivere gli europei, il cui “barbari” si riferisce all’idea di straniero e non al significato dispregiativo attribuito dalla lingua italiana. Ciò nonostante, è innegabile che all’epoca sussistesse un particolare fenomeno nella percezione dell’altro, in quanto la prima impressione che gli europei ebbero dei giapponesi fu estremamente positiva: venivano descritti come un popolo educato, colto e di bell’aspetto; i giapponesi avevano, invece, una prospettiva opposta dei mercanti europei, i quali venivano descritti come persone rozze a causa di alcuni comportamenti come il mangiare con le mani o l’incapacità di trattenere le proprie emozioni.
Tuttavia, i contrasti dovuti agli iniziali incontri si trasformarono con il tempo in una certa curiosità da parte di entrambe le fazioni; i giapponesi, in particolare, erano interessati ad una serie di invenzioni prettamente occidentali quali le armi da fuoco, gli orologi o i cannocchiali. La stessa curiosità viene dedicata anche all’arte e alle tecniche pittoriche occidentali, dando così vita, appunto, all’arte nanban. A partire dalle prime tracce degli europei in Giappone, ovvero dal sedicesimo secolo, questo tipo di corrente artistica si è dedicata principalmente all’imitazione dei soggetti tipici della pittura europea dell’epoca.
I soggetti cristiani ricoprivano buona parte delle rappresentazioni figurative del periodo, e di conseguenza anche i giapponesi si adattarono a questa tendenza, tenendo conto soprattutto della sempre più diffusa presenza dei gesuiti in Estremo Oriente, il cui scopo era chiaramente quello di evangelizzare più popoli possibile all’infuori dell’Europa cristiana. Gli artisti giapponesi furono così abili nel copiare le tecniche occidentali, che gli stessi occidentali faticavano a distinguere un’opera religiosa europea da una orientale.
Tuttavia, le rappresentazioni di carattere religioso non permettevano ai pittori giapponesi di esprimere a pieno la propria creatività, ed è per tale motivo che i soggetti più culturalmente interessanti dell’arte nanban sono quelli laici: scene di vita quotidiana in città occidentali, i mercanti e le loro navi nei porti asiatici, celebri battaglie occidentali, etc. Durante questa fase artistica avvenne un vero e proprio incontro tra culture, che permise agli artisti giapponesi di sperimentare con le tecniche occidentali (come l’uso dei colori ad olio, la cui brillantezza affascinava il popolo nipponico) unite alle tradizioni locali (uso della carta al posto della tela o di pennelli più flessibili rispetto a quelli occidentali).
Uno degli esempi più interessanti e simbolici di questa corrente artistica sono i nanban byōbu (ovvero “paraventi dei barbari del sud”). Come ben sapete, i paraventi sono un pezzo d’arredamento tipico della tradizione dell’Estremo Oriente, nati inizialmente per ripararsi dagli spifferi di vento e diventati poi, nel corso dei secoli, l’equivalente di opere d’arte per decorare gli interni delle abitazioni e fare da sfondo alle cerimonie del tè o alle danze tradizionali. Durante il secolo cristiano, anche i paraventi vengono influenzati dall’estetica europea, riempendosi di immagini di mercanti iberici (più alti e con il naso più grande rispetto ai giapponesi), di 黒船kurofune (letteralmente “navi nere”, termine con il quale i giapponesi definivano le imbarcazioni occidentali), di animali esotici, città europee e chiese cristiane.
L’interesse giapponese nei confronti dell’Europa aumenta in seguito alle due leggendarie Ambasciate – Tenshō nel 1582 e Hasekura nel 1613 – che permisero ad un gruppo ristretto di giovani giapponesi di visitare l’Europa e parte dell’America del Sud. Lo scopo delle missioni era di rendere il popolo giapponese maggiormente conscio della cultura e della religione in Europa e, viceversa, di permettere agli europei di sfatare alcuni miti su un popolo lontano e sconosciuto come quello giapponese. Al ritorno in patria, i giovani giapponesi portarono con sé alcuni manufatti artistici occidentali, che permisero agli artisti giapponesi di osservare e analizzare direttamente gli stili, le tecniche e i soggetti dei loro colleghi europei.
Tuttavia, nell’intervallo tra un’ambasciata e l’altra, il clima tra giapponesi e cristiani cominciò ad irrigidirsi. Con l’avvento dello shōgun Hideyoshi vennero emanati diversi editti per allontanare i cristiani dal paese, che sfociarono in una lunga serie di esecuzioni e torture violente per sedare completamente la diffusione del cristianesimo in Giappone. Questo clima di intolleranza ebbe pesanti ripercussioni anche nell’arte nanban, in quanto le opere religiose occidentali o di ispirazione occidentale vennero bandite e gli artisti e i collezionisti furono costretti a distruggerle o nasconderle per evitare la condanna.
L’arte nanban è tuttavia sopravvissuta ai momenti oscuri della Storia, dimostrando quanto l’incontro tra popoli differenti può dar vita ad infinite e floride forme artistiche, in grado di oltrepassare ogni genere di contrasto geopolitico, religioso o culturale; un po’ come fanno da sempre le Olimpiadi, no?
Se volete saperne di più sulla questione delle persecuzioni cristiane in terra giapponese, vi consiglio di guardare il recente capolavoro di Martin Scorsese intitolato Silence (2016). Lascio qui il link al trailer: https://www.youtube.com/watch?v=IqrgxZLd_gE&ab_channel=ParamountPictures
Sono laureata in Lingue e Letterature Straniere a Venezia, città da cui ho imparato l’attenzione ai dettagli nascosti dell’esistenza, nonché l’elogio della lentezza (come direbbe Kundera). Ho sempre visto la letteratura, l’arte, la musica e il cinema come i cardini fondamentali della mia vita, le cui correnti mi hanno reso la persona che sono oggi.
Dopo aver letto gli articoli di Marta sul Glitch e le Backrooms ritorno periodicamente su Antropia per trovare sue nuove pubblicazioni..Devo dire che anche quando scrive di temi che non appartengono alle mie corde riesce a entusiasmarmi!