Settembre 8, 2024

Tatuaggi: dall’antichità ad oggi, tra sacro e sacrilego

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Cosa rappresentano i tatuaggi? Sono solo una moda o ci raccontano qualcosa di nuovo sul nostro passato?

Oggi i tatuaggi sono all’ordine del giorno, moltissime persone decidono di tatuarsi, indipendentemente da età, sesso, professione, ecc. La “moda” dei tatuaggi si è diffusa in maniera molto capillare negli ultimi decenni: secondo un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità, il 13% della popolazione italiana (quasi 7 milioni di persone) ha oppure ha avuto e poi rimosso almeno un tatuaggio. Un dato interessante se si riflette sul fatto che per molto tempo in passato i tatuaggi hanno goduto di una pessima reputazione, considerati caratteristici degli individui ai limiti della società, come criminali e personaggi poco raccomandabili.

Origini antiche e culture diverse

Il tatuaggio, tuttavia, non ha sempre avuto questo significato di marchio d’infamia. Infatti, la pratica del tatuare la pelle affonda le proprie radici in tempi molto antichi. La più antica testimonianza di questo fenomeno è il ritrovamento di un uomo congelato scoperto tra le Alpi al confine tra Italia e Austria, avvenuto nel 1991: il corpo è stato fatto risalire a 5200 anni fa.

Ovviamente i tatuaggi dell’uomo intrappolato tra i ghiacci non assomigliano ai tatuaggi attuali: sono semplicemente insiemi di punti e piccole croci localizzati in aree specifiche del corpo, su schiena e giunture. La loro posizione probabilmente non è casuale, poiché potrebbero essere stati tatuati in quelle zone proprio per alleviare il dolore dell’uomo. Quindi potremmo paragonarli, anche se in senso molto lato, con l’agopuntura, che intervenendo su aree specifiche si pone l’obbiettivo di diminuire il dolore percepito. Una sorta di tatuaggio terapeutico, se vogliamo.

Altri esempi dell’utilizzo dei tatuaggi in età antica li possiamo trovare nell’antico Egitto. Infatti su alcune statuette e sulle scene funebri all’interno delle tombe, alcune donne sono rappresentate con simboli e disegni sul corpo (i più antichi manufatti risalgono al 4000 a.C.). Inoltre, sono state anche ritrovate mummie femminili del 2000 a.C. con tatuaggi sulle mani.

Per molto tempo, tatuaggi di questo genere sono stati considerati marchio per le prostitute, nonostante il fatto che alcune delle mummie portate alla luce fossero state sepolte nelle aree riservate ai membri reali o a personaggi di alto rango. Secondo ricerche più recenti, questi tatuaggi avrebbero, invece, la funzione di amuleto contro le malattie e contro le possibili complicazioni dovute a gravidanza e parto, dato che spesso si trovano sul ventre o nella zona del seno. Si tratta per lo più di punti e linee tatuati sulla pelle che, una volta iniziata la gravidanza, si allargherebbero creando una sorta di barriera protettiva, una rete, per il futuro nascituro.

I tatuaggi erano anche presenti nella civiltà greca e in quella romana, ma erano utilizzati per scopi decisamente differenti: erano per lo più marchi che indentificavano coloro che appartenevano a sette religiose, quindi visti con diffidenza, oppure erano impiegati per gli schiavi, per indicare l’appartenenza a un determinato padrone e osteggiare la loro possibilità di fuga. Usati anche come marchio per i criminali, rappresentavano una punizione perenne per coloro che avevano infranto la legge.

Anche se intorno al 200 a.C. i tatuaggi assunsero un valore più neutro, diventando perfino una moda specialmente tra i soldati, a partire dal 300 d.C. vennero banditi poiché il cristianesimo, che si stava diffondendo in tutto il Mediterraneo e divenne nel 380 d.C. religione di Stato dell’Impero Romano, li aveva etichettati come elementi che deturpavano la creazione di Dio: l’uomo era a sua immagine e somiglianza e doveva essere preservato nel suo stato originario.

Questi sono solamente alcuni esempi delle civiltà che si sono relazionate con la pratica dei tatuaggi, tanto è vero che è possibile trovare esempi di questo fenomeno in tutti i popoli umani: dalle civiltà pre-colombiane, alle tribù dei nativi americani, arrivando in Asia come Cina e Giappone, ma anche in Africa ad esempio nelle popolazioni berbere.

Ovviamente è necessario citare le popolazioni polinesiane che hanno elaborato nel corso dei millenni intricati design geometrici, in certi casi talmente elaborati da coprire il corpo intero. Proprio dalla lingua autoctona polinesiana deriva il termine tatuaggio: grazie alle esplorazioni di James Cook a Tahiti nel 1769, nei suoi diari troviamo la parola tattow derivato del termine tahitiano ta-tau, che significa “colpire”, forse legato al movimento che veniva eseguito per la creazione del tatuaggio.

Tutte le culture li hanno usati come segni permanenti protettivi o terapeutici o come marchi per gli emarginati della società o come amuleti contro la sfortuna (ad esempio, come i marinai e i minatori, visto il pericolo che derivava da questo tipo di lavori). Ormai possiamo dire che oggi sono diventati una vera e propria espressione della propria personalità.

Religione e tatuaggi: giusto o sbagliato?

I tatuaggi ricoprono un ruolo importante in molte religioni. Spesso usati nei rituali e nelle tradizioni di culti minori, le tre religioni del Libro sono sempre state ostili ai tatuaggi, mentre in altre religioni, come buddismo e induismo, sono impiegati come strumenti di devozione alle divinità e protezione dal male

Il cristianesimo prende dall’ebraismo il divieto di tatuarsi (Levitico 19:28 Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio. Io sono il Signore.), ma tale precetto è soggetto a diverse interpretazioni. Alcuni studiosi, infatti, sostengono che si riferisca solo al popolo ebraico e non ai cristiani. Inoltre, con le conquiste del nuovo mondo e il confronto con popoli indigeni dediti al tatuaggio, esso diventa simbolo di pagano e selvaggio, un marcatore ancora più forte della differenza anche religiosa tra occidentali e popolazioni americane e sudamericane. In realtà, presso tali tribù, i tatuaggi erano per lo più segni veri e propri per i riti di passaggio da giovinezza a età adulta.

Ma ci sono anche esempi di “uso cristiano” dei tatuaggi come nel caso dei Croati della Bosnia ed Erzegovina: era diventata pratica diffusa tatuare anche i bambini per proteggerli dalla conversione all’islam e dalla schiavitù a causa dell’occupazione ottomana dal 1463 al 1878. Venivano rappresentate solitamente grosse croci su mani, braccia, collo o petto. Oggi, invece, i tatuaggi a tema religioso sono molti diffusi, anche in ambienti della criminalità, con raffigurazioni di santi spesso accompagnati da versetti della Bibbia.

Per quanto riguarda l’islam i tatuaggi sono proibiti, anche in riferimento a molti ḥadīth, ossia tradizioni di valore giuridico e religioso, che si compongono di aneddoti sulla vita di Maometto e sono parte costitutiva della Sunna, la seconda fonte della Legge islamica dopo il Corano. Tuttavia bisogna precisare che molti gruppi islamici permettono di tatuarsi, come in Siria, Arabia Saudita, Iran, e i tatuaggi assumono un ruolo di elemento estetico di abbellimento o di amuleto per la prevenzione dalle malattie. Prima degli anni Cinquanta, le donne mussulmane portavano tatuaggi anche nella zona del viso, poiché erano diventati una moda.

I tatuaggi comunque sono comuni nell’Africa settentrionale e in Medio Oriente e hanno trovato grande popolarità anche tra i giovani, ad esempio turchi, come simbolo di resistenza e controcultura rispetto agli antichi regimi ancora al comando.

In generale, la principale differenza nell’atteggiamento rispetto ai tatuaggi è tra sciiti e sunniti: i primi credono che non esistano proibizioni ufficiali contro il tatuarsi, infatti nel Corano non sono menzionati i tatuaggi; i secondi credono che tatuarsi sia un peccato perché significa alterare la creazione di Dio e i tatuaggi sporcano il corpo e di conseguenza anche la mente.

L’ebraismo considera proibita qualunque alterazione del corpo (Levitico 19:28) che non abbia ragioni mediche. In ogni caso, avere tatuaggi non comporta l’esclusione dalla pratica religiosa e la possibilità di sepoltura in un cimitero ebraico. Il divieto è diventato più sentito dopo l’Olocausto e si è sviluppata in molte comunità una vera e propria repulsione per il tatuaggio.

Il buddismo invece abbraccia la cultura del tatuaggio, ad esempio i sak yant sono tatuaggi che incorporano elementi e immagini del culto con mantra e versi protettivi in alfabeto khmer. Sono simboli di protezione dalle avversità. Anche i monaci e molti praticanti spirituali si tatuano per sottolineare il proprio legame religioso. Spesso le immagini di Buddha sono scelte per i tatuaggi dagli occidentali, anche non praticanti il culto, e possono essere percepiti dai buddisti come atto di appropriazione del culto e provocare anche ostilità verso gli stranieri. Anche l’induismo è sicuramente legato alla cultura dei tatuaggi, in particolare assumono grande importanza ai Mehndi, ossia i tatuaggi temporanei eseguiti con hennè su mani e piedi, in occasione del rito nuziale come simbolo benaugurante e protettivo per la vita coniugale. A volte tali tatuaggi vengono resi anche permanenti.

Per approfondire

https://www.mcgill.ca/oss/article/history-you-asked/what-history-tattoos

De Laurentis C., Marchiati. Breve storia del tatuaggio in Italia, Momo Edizioni, 2021

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