A New Hopi? Come i nativi americani potrebbero aver ispirato la più iconica acconciatura di Star Wars
14 min readChe cosa hanno in comune gli indigeni nordamericani Hopi e Guerre Stellari?
Anche coloro che non hanno mai seguito la celeberrima epopea fantascientifica, si saranno imbattuti almeno una volta nella Principessa Leila e nella sua iconica pettinatura. Questo personaggio, che incarna nella saga una donna guerriera indipendente, si è ritagliato uno spazio nell’immaginario comune e proprio i capelli rappresentano il suo tratto distintivo.
Molti ignorano però che questa acconciatura non venne creata appositamente per la famosa saga cinematografica. Dietro al suo utilizzo sullo schermo, vi è una storia estremamente complessa che molti hanno ricondotto alla popolazione nativa americana Hopi.
Gli Hopi sono un gruppo indigeno del Nordamerica di piccole dimensioni, spesso ricordato nelle fonti come uno dei più antichi popoli amerindi che è riuscito a conservare nel corso del tempo moltissimi aspetti culturali, spirituali e rituali della propria identità nativa. Si tratta di una comunità che fonda il proprio assetto sociale sulla convivenza pacifica e la promozione di uno stile di vita umile e responsabile nei confronti di persone e ambiente.
Questo contesto risulta estremamente lontano da quello in cui si sviluppano le vicende della celeberrima Principessa di Guerre Stellari. Tuttavia, è innegabile che l’acconciatura tipica delle donne Hopi non sposate, chiamata squash blossom whorl, sia indubbiamente simile a quella indossata da Carrie Fisher (1956-2016) nell’interpretazione di Leila.
La storia dietro a questo tipo di pettinatura è però molto più complicata di quanto si potrebbe pensare e merita di essere approfondita a partire dalla conoscenza degli Hopi e del loro elaborato apparato cerimoniale che conferisce ai capelli precisi significati sociali e spirituali.
Gli Hopi
Gli Hopi sono una popolazione nativa americana stanziata nel Sud-Ovest degli Stati Uniti e annoverata, insieme agli Zuñi, ai Keres e ai Tano, tra i cosiddetti Pueblos. Questo termine, che in castigliano significa popoli ma anche villaggi, venne utilizzato dai Conquistadores spagnoli già a partire dal XVI secolo per indicare sia le popolazioni del Nuovo Messico, dell’Arizona e del Texas sia le loro abitazioni caratteristiche, formate da ambienti rettangolari disposti ad alveare e costruiti in mattoni essiccati (adobe).
I Pueblos discendono dai cosiddetti Popoli Ancestrali Anasazi, vissuti tra il VII e il XIV secolo nella zona sud-occidentale degli Stati Uniti, in particolare nei cosiddetti Four Corners, i quattro angoli in cui si congiungono Arizona, Colorado, Nuovo Messico e Utah.
Spostandosi da questo territorio, la maggior parte della popolazione Hopi si è stabilita nel corso dei secoli nel nord-est dell’Arizona, con l’eccezione di una piccola minoranza che risiede nei pressi del fiume Colorado al confine con la California. Oggigiorno, gli Hopi vivono nell’omonima riserva che venne loro riconosciuta dal Governo Federale americano nel 1882 e che risulta geograficamente inglobata nella Riserva Navajo, che con i suoi 71000 km2 costituisce la più vasta degli Stati Uniti. Ciò ha portato a dispute territoriali tra queste due popolazioni che si sono concluse solo nel 1996 quando, dopo oltre un secolo, la Riserva Hopi ha raggiunto un’estensione di 6500 km2.
Gli Hopi parlano Hopílavanyi, una lingua uto-azteca, e sono organizzati in villaggi sorti nei pressi delle cosiddette tres mesas, tre formazioni montuose rocciose che raggiungono quasi i duemila metri d’altezza e che sono caratterizzate da pareti a strapiombo e da vaste zone pianeggianti sulle sommità. Proprio qui, sorsero le prime abitazioni Hopi, che poi nel corso del tempo vennero spostate alle pendici di questi imponenti altipiani.
Il territorio inospitale dell’Arizona nordorientale rappresenta un fattore significativo per comprendere la storia degli Hopi. La zona pressoché desertica e priva di corsi d’acqua era infatti poco appetibile per i conquistatori e, nonostante le esplorazioni del generale spagnolo Francisco Vásquez de Coronado nel 1540, i contatti furono sporadici. Nel XVII secolo, quando la presenza di soldati e missionari spagnoli divenne più invasiva, gli Hopi, parteciparono alla cosiddetta rivolta Pueblo, che si concluse con la condanna a morte di tutti gli Europei e con lo smantellamento dei luoghi di culto cattolici che erano stati costruiti nella regione. Da allora, gli Hopi riuscirono a mantenere un’autonomia almeno fino al XIX secolo quando iniziarono ad intrattenere i primi contatti istituzionali con il governo degli Stati Uniti, che cercò a più riprese di fondare scuole per i bambini Hopi con lo scopo di sradicarli dal contesto indigeno, non riuscendo però mai veramente nell’intento.
Dal punto di vista economico, tradizionalmente, gli Hopi si dedicano principalmente ad attività agricole, coltivando zucche, fagioli, cotone, girasoli e soprattutto mais. Negli ultimi anni però, anche a causa delle condizioni sempre più aride del terreno, sono stati costretti a cercare nuove forme di sostentamento e hanno stretto accordi con diverse compagnie minerarie per l’estrazione del carbone, le cui royalties costituiscono oggi la maggior parte degli introiti per la Riserva. Negli ultimi anni, inoltre, gli Hopi hanno cercato di sviluppare attività commerciali del terzo settore, aprendo ristoranti, alberghi e negozi con l’obiettivo di favorire il turismo.
Nonostante l’ingresso nel mercato globale, gli Hopi, spesso accreditati come uno dei popoli nativi americani più antichi, mantengono tuttora un autentico attaccamento alle proprie tradizioni culturali e spirituali che si manifesta non solo in diverse occasioni rituali ma anche nella vita quotidiana che riflette un complesso sistema di credenze mitiche.
L’universo spirituale Hopi: chiave di lettura della loro vita quotidiana
L’etnonimo con cui gli Hopi si autodefiniscono è Hopisinom, termine composto da Hopi che significa “comportamento”, in accezione positiva, e sinom, popolo. Per definizione, dunque, essere Hopi significa comportarsi in maniera corretta e umile e fare parte di questa comunità implica attenersi a determinati presupposti etici e morali che regolano l’esistenza in armonia con il mondo naturale e quello spirituale. Ogni membro della comunità deve mantenere questo equilibrio attraverso le mansioni svolte durante la vita quotidiana e tramite le attività rituali che sono direttamente legate alla mitologia Hopi.
Nonostante esistano numerose versioni del loro racconto delle origini, la narrazione mitica dominante riporta che gli Hopi siano nati direttamente dalla terra. In principio, il Sole (Tawa) creò un Primo Mondo sotterraneo in cui gli Hopi, con un aspetto simile a quello degli insetti, vivevano infelici. Rendendosi conto della loro tristezza, Tawa inviò loro lo spirito Kokyangwuti (letteralmente “Nonna Ragno”), una figura spesso identificata con la Madre Terra, la quale li portò nel Secondo Mondo, dove gli Hopi assunsero le sembianze di lupi e orsi. Tuttavia, la loro mancanza di felicità persisteva e Tawa creò un Terzo Mondo dove Kokyangwuti condusse nuovamente gli Hopi, che ormai avevano assunto la forma umana. Qui impararono a tessere e a realizzare vasi (entrambe attività fondamentali rispettivamente per gli uomini e le donne Hopi) e conobbero l’uso del fuoco.
A questo punto, secondo una versione del mito, Tawa inviò un grande diluvio e “Nonna Ragno” mise in salvo i membri più meritevoli della comunità che arrivarono nel Quarto Mondo. Secondo un’altra versione, quella dominante, nel Terzo Mondo irruppe il male e gli Hopi cercarono disperatamente un’apertura per poter salire in un ulteriore “mondo”. Alla fine, uno scricciolo, o secondo altre tradizioni un’averla, trovò un’apertura (sipapu) e avvertì gli Hopi che, risalendo una canna di bambù piantata da degli scoiattoli, riuscirono ad entrare nel Quarto Mondo, che è quello in cui viviamo.
Arrivati in superficie, gli Hopi vennero ulteriormente plasmati da Masauwu, o Masau’u, dio della Morte e signore del Quarto Mondo, il quale domandò loro quale contributo avrebbero potuto dare alla terra in modo da potergli assegnare compiti e responsabilità in un territorio particolarmente difficile da coltivare.
I vari gruppi Hopi si differenziarono dunque in base alle attività dedicate all’ambiente circostante e ogni clan ricevette da Masauwu delle sacre tavole con i codici di comportamento Hopi. Il Clan del Fuoco ottenne inoltre la sacra pietra raffigurante Pahana, il “perduto fratello bianco”, membro della comunità che si allontanò dagli altri Hopi portando con sé la porzione della tavola in cui era rappresentato il proprio volto, in modo da poter dimostrare, una volta tornato, la propria identità e fondare un nuovo Quinto Mondo in cui non esisterà il male. Questa prospettiva escatologica è la motivazione per cui gli Hopi tradizionalmente vengono sepolti rivolti verso est, direzione da cui dovrebbe tornare Pahana per instaurare la pace.
A tal proposito, per questa comunità indigena, la morte rappresenta un momento di passaggio in cui Masauwu accompagna i defunti nel mondo sotterraneo per permettere ai loro spiriti di distaccarsi dal corpo e raggiungere il cielo: da qui, attraverso le nuvole, le loro anime diventano pioggia che nutre la Terra.
Questo complesso apparato mitologico si riflette nelle cerimonie che scandiscono l’intero calendario Hopi: la responsabilità della coltivazione della terra, infatti, si traduce in diverse tradizioni rituali che affermano l’impegno degli Hopi nel mantenere l’armonia con la natura e gli spiriti. Tra questi i più conosciuti sono i cosiddetti katsinim (singolare katsina o kachina), spiriti benevoli che portano prosperità agli Hopi e che vengono impersonati, dal solstizio d’inverno al solstizio d’estate dagli uomini del gruppo che mettono in scena parate, danze, canti in diverse occasioni pubbliche. I katsinim sono all’incirca duecentoquaranta, suddivisi in sei gruppi in base alle loro funzioni: per sei mesi all’anno vengono considerati fisicamente presenti tra gli Hopi e le loro fattezze vengono riprodotte anche in numerose bambole per le bambine Hopi.
Questi sono solo alcuni esempi della complessa vita cerimoniale e rituale Hopi, coordinata da numerose associazioni e società segrete che si occupano dell’organizzazione delle ricorrenze tradizionali. In generale, la vita quotidiana degli Hopi è permeata dalla ritualità che si manifesta anche in aspetti all’apparenza poco significativa, come la cura dei capelli.
Squash Blossom Whorl: un’acconciatura, molteplici significati
I capelli costituiscono per gli Hopi un importante veicolo identitario. Ogni fase della loro vita è caratterizzata dall’impiego di diversi tagli e acconciature, distinti per genere, che riflettono un determinato significato cosmologico e sociale.
Gli uomini solitamente tagliano i capelli all’altezza dei lobi e talvolta presentano una frangia, alcuni li tengono pari mentre altri accorciano unicamente le ciocche vicine al viso lasciando gli altri capelli lunghi; molto spesso, indossano una fascia intorno alla fronte. I capelli per gli Hopi rappresentano la pioggia che nutre la Terra e il taglio scalato degli uomini rappresenta i vari strati delle nuvole. Inoltre, osservandoli dall’alto, i capelli così definiti richiamano la forma di una kiva, la stanza cerimoniale sotterranea presente in ogni casa di tipo pueblo e caratterizzata da una forma rettangolare ma con un’apertura circolare per entrarvi che richiama il sipapu, l’apertura da cui gli Hopi raggiunsero il Quarto Mondo.
Per le donne, il livello di differenziazione in base all’età è maggiore. In ogni tappa fondamentale della loro vita, come la nascita, la pubertà o il matrimonio, le donne Hopi devono seguire dei precisi rituali per lavare i capelli e acconciarli. Da adulte, possono tenerli sciolti, con le ciocche vicino al volto sempre tagliate all’altezza dei lobi, o divisi in due code di cavallo, una per ogni lato della testa, portate basse e arrotolate su se stesse.
Tuttavia, è l’acconciatura tipica delle giovani donne Hopi che ha suscitato sempre molto interesse. Ciò è dovuto al fatto che questa pettinatura risulta particolarmente singolare e insolita ma la sua notorietà è dovuta anche all’innegabile somiglianza con la capigliatura della famosissima Principessa Leila (Leia nella versione originale), personaggio della ben nota saga di Star Wars interpretato da Carrie Fisher. Si tratta di una coincidenza o di un deliberato tributo agli Hopi? La risposta non è per nulla ovvia.
Questo tipo di acconciatura è detto tra gli Hopi squash blossom whorl, letteralmente “spirale di fiore di zucca” e può essere portato solo dalle giovani donne non sposate che abbiano prima svolto il rito di passaggio alla pubertà. Il fiore di zucca, infatti, rappresenta uno degli elementi fondamentali dell’agricoltura Hopi e detiene una simbologia molto potente legata alla fertilità.
L’occasione per poter avere questa acconciatura è legata ad un complesso cerimoniale che sancisce l’ingresso delle ragazze Hopi nell’età adulta. A partire dal solstizio d’estate, le giovani pronte per questo passaggio, si ritirano per diverso tempo, solitamente da quattro a nove giorni, in una stanza oscurata della casa della zia paterna con altre parenti di sesso femminile. Ogni giorno rivolgono preghiere al Sole, digiunano bevendo solo liquidi a mezzogiorno e macinano il mais; con il mais lavorato, cucinano il piki, un piatto tradizionale Hopi e, una volta completate le diverse tappe del rito, una donna della famiglia paterna, solitamente la nonna, lava loro i capelli e li acconcia.
Per realizzare lo squash blossom whorl, i capelli vengono separati da una scriminatura centrale, poi con una stringa nera o blu scura (o con i capelli stessi) vengono realizzate due code di cavallo laterali, una sopra ogni orecchio. A questo punto, ogni coda di cavallo viene arrotolata intorno alle estremità di un apposito strumento a forma di ferro di cavallo allungato, solitamente realizzato in legno di cedro o salice. I capelli assumono una forma simile a due farfalle e vengono fissati nuovamente con la stessa stringa: successivamente lo strumento in legno viene rimosso e le “ali” delle farfalle formatesi vengono aperte, andando a creare due forme circolari che vengono ulteriormente collegate tra loro nella parte posteriore. Le giovani donne che effettuano questo rituale ricevono un nuovo nome dalle parenti e possono portare i capelli acconciati in questo modo per manifestare il loro stato di donne pronte a sposarsi.
Considerato che gli Hopi sono una società matrilineare e matrilocale, il legame tra madri e figlie è molto importante e si manifesta particolarmente in tutte le situazioni come questa in cui le donne della famiglia contribuiscono alla formazione delle ragazze. Questo e altri aspetti legati allo squash blossom whorl potrebbero far pensare che esso sia stato la fonte d’ispirazione per i capelli della Principessa Leila, personaggio a cui si addice sicuramente una simbologia legata alla sfera femminile e alla condizione di donna indipendente non sposata. Inoltre, va considerato il fatto che nella trilogia prequel di Star Wars anche la madre di Leila, Padmé Amidala, impersonata da Natalie Portman, presenta una pettinatura che potrebbe essere classificata come squash blossom whorl, quasi a voler indicare un legame madre-figlia.
Tuttavia, il collegamento con gli Hopi non è in realtà così facilmente dimostrabile. Nel 2002, durante un’intervista, il regista della famosa saga fantascientifica, George Lucas, dichiarò, riguardo ai capelli della Principessa Leila, di essersi ispirato al Messico del Primo Novecento e alle soldaderas impegnate nella Rivoluzione (1910-1920), perché il suo intento era quello di portare sullo schermo un “Pancho Villa al femminile del Sud-Ovest” [1]. La stessa Carrie Fisher dichiarò che Lucas non voleva una “damigella in pericolo” ma una guerriera indipendente.
Ciononostante, la maggior parte degli storici concorda nell’affermare che le soldaderas non ebbero mai acconciature simili. Spesso partecipavano alle azioni militari, erano spie, infermiere o contrabbandiere ed è estremamente improbabile che portassero un’acconciatura tanto elaborata. Inoltre, nelle fotografie dell’epoca, si può notare che la maggior parte di loro portava i capelli raccolti in trecce o coperti da cappelli e scialli. Non c’è insomma nessuna prova dell’utilizzo sistematico di questa acconciatura tra le soldaderas messicane.
Tuttavia, Lucas potrebbe aver attribuito a queste donne rivoluzionarie la caratteristica capigliatura di una sola di loro, ovvero il Colonnello Clara de la Rocha, comandante che ebbe un ruolo molto importante nel corso della Rivoluzione Messicana. Inoltre, la personalità da guerriera indipendente di Leila Organa potrebbe essere stata ispirata da figure di rivoluzionarie messicane come il Colonnello María Quinteras de Meras, soldadera che entrò nell’esercito di Pancho Villa nel 1910, partecipando ad almeno dieci battaglie e arrivando ad avere numerosi sottoposti uomini, tra cui il marito. Si vestiva spesso con abiti maschili e combatteva in modo così ardito che si pensava avesse poteri sovrannaturali.
Questi elementi ci fanno pensare inevitabilmente alla Principessa di Star Wars ed è presumibile che Lucas, involontariamente o meno, si sia ispirato proprio a queste figure o ad altre soldaderas che portavano i capelli pettinati in modo simile. Tuttavia, il fatto che lo squash blossom whorl sia stato riscontrato senza ombra di dubbio solamente in una figura storicamente esistita fa pensare che l’acconciatura fosse una scelta personale del Colonnello de la Rocha piuttosto che una capigliatura volutamente portata dalle soldaderas per sottolineare la loro indipendenza.
Anche se non è facile dimostrarlo, dunque, è possibile che la pettinatura del Colonnello sia stata influenzata dal tradizionale squash blossom whorl degli Hopi, considerando anche la prossimità geografica e culturale tra gli Hopi e il Messico.
Inoltre, è necessario sottolineare che, nel primo ventennio del Novecento, Edward S. Curtis (1868-1952), esploratore, etnologo e fotografo che dedicò la maggior parte della sua vita alla conoscenza dei nativi americani, pubblicò diverse fotografie raffiguranti gli Hopi e tra queste numerose immagini ritraevano giovane donne con lo squash blossom whorl. Queste e altre immagini si diffusero rapidamente nelle Americhe e oltreoceano e non è escluso che abbiano avuto un impatto sull’impiego nel mondo americano e occidentale di pettinature inusuali rispetto alla moda del tempo. In particolare, nella Boemia degli anni Venti, è innegabile il richiamo allo squash blossom whorl nelle pettinature delle giovani donne di allora che lo utilizzavano come simbolo d’indipendenza[2].
Conclusione
Non è escluso dunque che la caratteristica acconciatura Hopi sia stata involontariamente fonte d’ispirazione per la saga di Star Wars, essendo stata impiegata dal Colonnello de la Rocha e da molte altre donne negli anni Venti del Novecento, non solo tra le guerrigliere messicane.
Ciò che è interessante notare è come alcuni significati legati all’indipendenza femminile siano stati mantenuti, anche involontariamente, in tutti questi contesti, mentre altre accezioni sono state conferite nelle diverse situazioni grazie ad un continuo processo di ibridazione e attribuzione di significati.
Forse non sapremo mai se i capelli della Principessa Leila siano stati influenzati direttamente dalle tradizioni Hopi ma ciò che è necessario sottolineare è il continuo processo di reinvenzione che lo squash blossom whorl ha attraversato nel corso della storia. A partire dal profondo significato socio-rituale che veniva ad essa attribuito dagli Hopi, questa acconciatura ha assunto nel corso del tempo un’autonomia e ha veicolato diversi significati tra le soldaderas messicane e le donne nella Boemia del primo Novecento, fino a diventare una caratteristica distintiva e iconica di uno dei personaggi più conosciuti della storia della fantascienza e del cinema.
Fonti:
-Curtis, Edward S. The Hopi. Native American Book Publishers, LLC, 2015.
– Dębska, Marta. “The Hopi daily life.” Ad Americam 3 (2002).
– Drury, Flora. “The Story Behind Leia’s Hairstyle.” BBC, 2016. Ultimo Accesso: 18 maggio 2024
– Loftin, John D. Religion and Hopi Life. 2nd ed. Bloomington: Indiana University Press, 2003.
– Schmitt, Erika. “Based on a True Story: Leia’s Bun Hairstyle.” TSO, 2020.Ultimo Accesso: 18 maggio 2024
– Stoller, Marianne L. “Birds, feathers, and Hopi ceremonialism.” Expedition 33.2 (1991): 35-45.
Websites:
– https://www.treccani.it/enciclopedia/hopi/
– https://www.britannica.com/topic/Hopi
– Sito Ufficiale della Riserva Hopi https://www.hopi-nsn.gov/
– Traditional Hopi Hairstyle at the Museum of Indian Arts and Culture https://www.youtube.com/watch?v=xAYj5MNy7e4
-La figura 5 è una fotografia scattata da Edward S. Curtis nel 1906, oggi è di pubblico dominio.
-La figura 6 è tratta da “Birds, feathers, and Hopi ceremonialism” di Marianne Stoller p. 37.
-Tutte le altre immagini sono di pubblico dominio e disponibili online.
-L’immagine di copertina è stata realizzata dall’autrice a partire da immagini di pubblico dominio disponibili online.
[1] Drury, “The Story Behind Leia’s Hairstyle”, 2016.
[2] Drury, “The Story Behind Leia’s Hairstyle”, 2016.
Dopo la maturità classica nel 2017, ho svolto il mio percorso accademico presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna dove mi sono laureata nel 2020 in Antropologia, Religioni, Civiltà Orientali e nel 2022 in Scienze Storiche e Orientalistiche-curriculum Global Cultures. Ricercatrice in formazione, credo fortemente nel ruolo della cultura in quanto mezzo imprescindibile per lo sviluppo del pensiero critico e spero di poter dare il mio contributo al mondo della divulgazione promuovendo un approccio interdisciplinare per la conoscenza del mondo in cui viviamo.