Il futuro nelle alghe
5 min readA qualcuno sarà capitato di fare un bagno al mare e sfiorare accidentalmente una “lattuga di mare”, una specie di foglia galleggiante, viscida e molliccia. Se l’acqua non è proprio trasparente (la costa adriatica presenta spesso acque torbide), talvolta si assiste a reazioni decisamente spropositate. Il/la malcapitato/a generalmente strilla come se avesse visto un fantasma e tenta di uscire dall’acqua il più velocemente possibile con movenze tutt’altro che eleganti. Alla richiesta di spiegazioni, la risposta più probabile è: “Qualcosa mi ha toccato!”. Quel qualcosa, spesso, è una semplice lattuga di mare, ma non conoscendo questo organismo umidiccio e flaccido ci immaginiamo chissà quale mostro risalito dagli abissi.
In realtà la lattuga di mare è una comunissima alga, che per quanto non proprio piacevole al tatto, non costituisce un pericolo per l’uomo. Ci sono però situazioni in cui le alghe possono diventare un problema, oppure una risorsa.
Ne sa qualcosa Paperino, che nella storia “Paperinik e la corsa alle alghe” (Topolino, 29 Ottobre 1989), scopre che questi organismi possono essere entrambe le cose. La storia comincia con Paperino che va al mare con i nipotini. Il nostro sfortunato amico fin dal primo tuffo in acqua si ritrova avvinghiato in una foresta di alghe rosse. Qui, Quo e Qua, come al solito, risolvono la situazione e spiegano allo zio che le alghe vengono coltivate per produrre tessuti e preparati cosmetici.
Che cosa sono le alghe
Il termine alga si riferisce a numerosi e diversi organismi acquatici autotrofi. Questi organismi hanno caratteristiche e storia evolutiva molto diversi tra loro perciò il termine “alghe” non ha una valenza tassonomica, ma resta comunque valido nell’uso comune e per fini commerciali. Per quanto riguarda le dimensioni si va dalle microalghe unicellulari, fino ad alcune alghe brune che possono raggiungere i 60 m di altezza.
Le alghe presenti nel fumetto somigliano molto alla Pterocladiella capillacea, una specie appartenente al phylum delle Rhodophyta (alghe rosse). La Pterocladiella può essere utilizzata per l’estrazione di agar e carragenani, sostanze gelatinose utilizzate nell’industria alimentare e farmaceutica.
Cosa ci facciamo con le alghe
Oggigiorno siamo in grado di sfruttare le alghe per numerosi scopi, a seconda della specie. Le più note sono ovviamente quelle a uso alimentare umano, come l’alga Nori utilizzata per preparare alcuni tipi di sushi. Conosciamo anche altre alghe commestibili utilizzate, ad esempio, per estrarre sostanze gelatinose, come l’agar, oppure per la produzione di oli (anche cosmetici) e integratori alimentari. Alcune alghe vengono utilizzate per la produzione di biocombustibili, altre come fonte di alimentazione per gli animali da allevamento. Dalle alghe è possibile ricavare fertilizzanti per le colture, possono essere utilizzate come sistema di depurazione per i corsi d’acqua e perfino per produrre materiali plastici eco-friendly.
Nella nostra storia si parla delle alghe soprattutto per la produzione di tessuti, anche questa è una possibilità di utilizzo. Nell’industria tessile le alghe vengono utilizzate soprattutto come coloranti, ma ci sono sperimentazioni in corso per la produzione di capi di abbigliamento su larga scala.
Perché i tessuti
Produrre tessuti, in particolare per la moda “usa e getta” inquina moltissimo. Il processo richiede molta energia, utilizza tantissime risorse idriche ed emette quantità non trascurabili di inquinanti, in atmosfera e nelle acque. Negli Stati Uniti circa il 9% dei rifiuti prodotti ogni anno proviene da abiti dismessi. L’industria della moda inizia a rendersi conto del problema e sta quindi tentando di trovare alternative ai normali tessuti sintetici. Una di queste possibili alternative è proprio la produzione di tessuti compostabili a partire da alghe, funghi, batteri e lieviti. Tra le sperimentazioni in corso è degna di nota quella portata avanti dal Fashion Institute of Tecnology di New York, che a partire dal Kelp (un’alga bruna) riesce a produrre fibre adatte ad essere filate e che possono essere tinte con coloranti biodegradabili.
I problemi
La storia mette però in evidenza un problema legato alla produzione massiccia di tessuti a base di alghe. Interi tratti di mare vengono impegnati nella coltivazione delle alghe. La loro crescita arriva a impedire la pesca, la navigazione e diventa una minaccia per la biodiversità. È davvero possibile arrivare a tanto?
Difficile, ma non impossibile. Ricordiamoci che anche la plastica era un materiale più ecologico rispetto al vetro. Il problema nasce dall’uso che ne viene fatto. Proviamo ad analizzare, ad esempio, la crescita delle alghe. Può davvero diventare un problema per la vita acquatica? Potrebbe esservi capitato di vedere una fioritura algale, un fenomeno stagionale legato principalmente alla riproduzione del fitoplancton. Durante una fioritura algale, o algal bloom, una singola specie copre in larga parte uno specchio d’acqua, riproducendosi molto velocemente. Di norma le fioriture algali sono fenomeni normali, anche affascinanti da vedere, ma possono diventare nocive per la biodiversità.
L’eutrofizzazione
Quando un ecosistema acquatico si arricchisce di sostanze nutritive in tempi relativamente brevi possiamo incontrare il fenomeno dell’eutrofizzazione. Essendoci maggiore disponibilità di “cibo” l’eutrofizzazione stimola le fioriture algali, ma non è sempre un processo indolore. Se la crescita è stimolata da ingenti quantità di sostanze inquinanti, come fosforo e azoto provenienti da reflui agricoli e industriali, possono esserci dei problemi. Le alghe si riproducono ad una velocità spaventosa, altrettanto velocemente muoiono e imputridiscono, consumando l’ossigeno presente nell’acqua. L’abbassamento dei livelli di ossigeno influenza negativamente la sopravvivenza degli altri organismi acquatici. Se il fenomeno si ripete con eccessiva frequenza e intensità può compromettere irrimediabilmente un ecosistema.
Attualmente l’eutrofizzazione è una conseguenza dell’eccessivo utilizzo di sostanze inquinanti o del loro mancato trattamento prima dello scarico in acqua. Se coltivassimo le alghe su larga scala non è da escludere completamente che possano crearsi dei problemi. Dobbiamo tuttavia considerare che, al di fuori di Paperopoli, difficilmente coltiveremmo le alghe in mare aperto. È più probabile che la coltivazione intensiva delle alghe avvenga all’interno di bacini chiusi, in modo da massimizzare la resa e non andare ad influenzare gli ecosistemi.
Nel mondo contemporaneo, è necessario superare l’idea della moda “usa e getta” e porre maggiore attenzione alla qualità della filiera produttiva, perciò ben vengano i tentativi di produzione a partire da materiali alternativi. Non dimentichiamo però che talvolta i problemi emergono a distanza di anni rispetto ad una determinata invenzione. È successo per la plastica, così come per le automobili. Ci auguriamo perciò che qualsiasi nuova tecnologia tenda a trovare un equilibrio con l’ambiente in cui si inserisce.
Per approfondire:
https://www.scientificamerican.com/article/the-environments-new-clothes-biodegradable-textiles-grown-from-live-organisms/
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1995764516300153
Laureata in Scienze Naturali, mi sto specializzando in Didattica e Comunicazione delle Scienze. Pratico e insegno Arti Marziali sino-vietnamite e lavoro come educatrice scientifica per bambini e ragazzi. Mi piacciono i libri di fiabe e leggende per gli insegnamenti che trasmettono e perché hanno il grande potere di stimolare la curiosità.