Settembre 8, 2024

AMELIA EARHART: PRIMA TRASVOLATRICE ATLANTICA

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Amelia Earhart fu coraggiosa pioniera del volo. Prima trasvolatrice oceanica nel 1928, Amelia ripetè l'impresa in solitaria quattro anni dopo. Perì nel tentativo di compiere la circumnavigazione aerea del mondo. Accadde nell'Oceano Pacifico il 2 luglio 1937, nei pressi dell'isola di Howland, insieme al navigatore Fred Noonan a bordo del Lockheed 10E Electra.

ORIGINI, INFANZIA E ADOLESCENZA DI AMELIA EARHART

Amelia EARHART nacque il 24 luglio 1897 nel cuore degli Stati Uniti, ad Atchison, una cittadina affacciata sulla riva occidentale di uno dei più grandi corsi d’acqua del continente nord americano: il fiume Missouri. Lo spirito di questa comunità sul finire del XIX secolo era animato da una vivace intraprendenza verso il progresso. Anche per questo motivo, gran parte degli adulti con cui Amelia venne a contatto durante l’infanzia era incline all’esplorazione di una terra ancora in parte da scoprire, ma che già si era rivelata generosa nell’offrire spazio e risorse ai nuovi inquilini. Non è improbabile che l’anima avventurosa della gente di Atchison abbia giocato un ruolo importante nel plasmare nella giovane Amelia l’attitudine alla scoperta1.

La discendenza paterna

Gli antenati di Amelia da parte paterna discendevano da Luigi XV. Fu da una nipote del Re di Francia, trapiantatasi nel Nuovo Mondo dopo il matrimonio con un Ufficiale germanico, che si originò il ramo americano degli Earhart. Alle austere origini franco-tedesche si aggiunse poi l’apporto del sangue britannico. La nonna paterna di Amelia, discendente di un Ufficiale inglese trasferitosi nel continente ai tempi della Rivoluzione americana, sposò infatti un predicatore della chiesa evangelico-luterana d’America, il reverendo David Earhart, e dalla coppia nacquero dodici figli tra cui Edwin Stanton, il papà di Amelia. Siamo poco dopo la metà del 1800.

La discendenza materna

Meno aristocratica ma più autorevole, specie in un’America che si accingeva a crescere tanto in ricchezza quanto in ideali di giustizia e di libertà, fu la genealogia materna. Il nonno di Amelia, Alfred Otis, avvocato e giudice, proveniva da una famiglia inglese dedita sin dal XVI secolo alle arti della politica e della legge. Così solidamente ancorata al notabile esercizio della giustizia, la famiglia Otis fu un’ancora di salvezza nell’altalenante e talora travagliato percorso familiare di Amelia: lo fu finanziariamente nei momenti più difficili della separazione dei genitori, ma lo fu anche in termini di onorabilità quando il comportamento del padre di Amelia, gravemente viziato dall’alcolismo, pregiudicò la credibilità degli Earhart.

L’ambiente domestico e familiare

L’ambiente in cui Amelia crebbe, con il papà Edwin, con la mamma Amy e con la sorella Muriel, più giovane di lei di due anni, beneficiò degli apporti genetici e caratteriali delle discendenze europee. La caratteristica prevalente di quei legami era il rapporto con la religione e con la legge: un rapporto rigoroso al punto da suscitare nelle ragazze un marcato spirito critico. Ugualmente importante per lo sviluppo di una personalità dai tratti non accomodanti e volitivi fu, come già si è accennato, la spinta pionieristica di un’America in rapidissima evoluzione. Non meno rilevanti furono gli influssi di una dimensione rurale che educava alla rusticità, nella convivenza tanto con una natura rigogliosa quanto con una società sì incline alla modernità ma ancora acerba nel suo progredire industriale.

La lettura di grandi classici della letteratura, ma anche delle colorate e moderne riviste passate di casa in casa nella comunità locale, la curiosità per la natura e in particolare per il mondo animale –  al punto da appassionarsi con la guida di mamma Amy alla vivisezione di un pollo allo scopo di scoprirne gli organi – l’amore per l’equitazione e la predilezione per giochi infantili che violassero i canoni di appartenenza di genere, come ad esempio le sfide tra indiani e cowboy spesso inscenate con papà Edwin, furono le attività intellettuali e ludiche che contribuirono a formare  in Amelia un’indole curiosa, vivace, non ordinaria e non esente, in alcune espressioni, da tratti di mascolinità.

L’educazione scolastica, la giovinezza, le vicissitudini familiari

L’educazione scolastica, in cui Amelia ottenne risultati ben al di sopra della media, si rivelò in alcune occasioni non adeguata al carattere ben poco convenzionale della ragazza, e numerose furono le iniziative che Amelia assunse per esternare la sua insoddisfazione verso un’ambiente rigidamente attestato su programmi antichi e stantii. In qualche misura l‘approccio così incline alla manifestazione delle proprie idee estraniò Amelia dall’intimità relazionale con i suoi coetanei. L’irrequietezza era l’aspetto che forse più di altri emergeva in lei, non separato da una sorta di anticonformismo verso le regole condivise e da una forma di asocialità che spingeva Amelia a scegliere modelli comportamentali non sempre ortodossi. Sembrerebbe, cogliendone alcune sfumature del comportamento, che Amelia cercasse sé stessa in tutto ciò che era considerato inusuale, tanto per l’epoca quanto per il genere cui la ragazza apparteneva.

Le difficoltà della famiglia, i frequenti spostamenti, la curiosità per la medicina

Le vicende familiari legate al lavoro del padre e alla separazione dei genitori, avvenuta durante l’adolescenza di Amelia a causa del travagliato rapporto di Edwin con l’alcol, costrinsero mamma Amy e le ragazze a numerosi spostamenti: dal Kansas in Iowa a Des Moins , in Minnesota a Saint Paul, in Missouri a Springfield, in Illinois a Chicago e in Pennsylvania a Philadelphia, dove Amelia frequentò gli studi del college, mentre la sorella Muriel optò per Toronto in Canada. Erano gli anni della Grande Guerra i cui echi risuonavano lontani negli Stati Uniti, questi ultimi ancora non pienamente coinvolti nel conflitto europeo. Fu nel periodo natalizio del 1917, durante una vacanza a Toronto dalla sorella, che Amelia aprì gli occhi sugli orrori della guerra. Il Canada aveva infatti aderito da subito, quale Stato del Commonwealth britannico, a inviare i propri concittadini a combattere nelle trincee europee, e Amelia si imbatté casualmente in alcune scene di giovani coetanei mutilati e ciechi. Fu per lei un’esperienza decisiva, per la quale, contro il parere della madre, Amelia decise di abbandonare gli studi universitari per ritornare in Canada, e lì dedicarsi al servizio come volontaria in supporto dei soldati vittime della guerra. Il Canada e il servizio para-infermieristico le portarono in modo altrettanto casuale il primo incontro con l’aviazione; ciò avvenne presso un’avio-superficie dove Amelia si era recata insieme a Muriel per fare visita ad alcuni suoi ex pazienti in un giorno di riposo dai turni di servizio in ospedale. Amelia stessa descrisse con dovizia di particolari l’emozione di quella esperienza: “[…] I remember the sting of the snow on my face when it was blown back from the propellers when the training plane took off on skis.”2

Con la fine della guerra giunse la grande pandemia d’influenza del 1918 e per Amelia un lungo periodo di convalescenza per aver contratto la malattia nelle corsie dell’ospedale dove lavorava. Dopo la convalescenza trascorsa in Massachusetts a Northampton con la sorella, Amelia si trasferì a New York, dove intraprese gli studi di pre-medicina alla Columbia University. Dopo pochi mesi giunse però alla conclusione che la carriera di medico non faceva per lei.

Il ricongiungimento familiare in California

La attendeva un altro trasferimento in California, dove il padre, assunto l’impegno di abbandonare definitivamente l’alcol, aveva chiesto alla moglie e alle figlie di riunire la famiglia a Los Angeles, per iniziare una nuova vita insieme. Amelia aveva 23 anni e non era ancora riuscita a capire che cosa avrebbe voluto fare della sua vita. “Alta, magra, con capelli chiari e lunghi fino alla vita, Amelia vestiva quasi esclusivamente nel suo colore preferito, il marrone. Non era una bella ragazza nel senso canonico del termine, da far girare la testa agli uomini, ma i suoi occhi espressivi e il sorriso giovanile sempre pronto le davano un aspetto da ragazza un po’ insolente”3.

LA GIOVINEZZA E LA PASSIONE PER IL VOLO

Fu in California che Amelia iniziò con caparbietà a coltivare la sua definitiva passione per il volo. Ad aiutarla fu papà Edwin che, accertato l’entusiasmo della figlia per l’aeronautica, le offrì, pagandone i costi, una prima esperienza di volo da passeggera. Amelia decollò con il pilota da una piccola striscia in terra chiamata Rogers Field e sorvolando in quel breve viaggio le coste del Pacifico ammirò in lontananza l’isola di Santa Catalina e le colline di Santa Monica.

La scoperta del proprio destino e il primo volo di addestramento

Amelia Earhart in uno dei suoi foto ritratti più iconici

Con quell’esperienza Amelia si avventurò verso la definitiva scoperta della sua grande passione. Come lei stessa scrisse: ”[…] As soon as we left the ground, I knew I myself had to fly […]4, Amelia aveva finalmente incontrato il suo destino. Iniziò il corso di volo presso l’avio-superficie di Kinner Field in California, procurandosi autonomamente le risorse necessarie e utilizzando un “provato” Canuck, un aeroplano per addestramento di costruzione canadese. L’opposizione a trascorrere le ore di istruzione al volo con un istruttore di sesso maschile, effetto dei tempi e del rigore familiare, costrinse Amelia a cercare un’insegnante donna che prestò incontrò in una sua quasi coetanea: Anita “Neta” Snook. Con Neta, che non ometteva critiche a talune leggerezze della sua allieva, Amelia effettuò il suo primo volo di addestramento l’1 gennaio 1921. Dopo poche ore di volo, Amelia decise di acquistare con grandi sacrifici economici il suo primo aereo: il prototipo dell’aeroplano di Bert Kinner, l’Airster, soprannominato da Amelia “The Canary” per la livrea in colore giallo-argentato. Amelia compì il suo primo volo da solista, e lo fece nonostante le perplessità di Neta che mai nascose le sue riserve sia sulla scelta dell’Airster, considerato un velivolo troppo difficile, sia sull’effettiva attitudine al volo della coetanea. Con quelle premesse di giudizio, nessuno avrebbe potuto immaginare che Amelia sarebbe stata capace di ottenere così tanto credito in futuro.

I primi record aeronautici

L’inclinazione all’avventura, in tempi assolutamente pionieristici per la dimensione aerea, rivelò ben presto il desiderio di Amelia di iscrivere il proprio nome nell’albo dei primati. Come donna ottenne quello di altezza, raggiungendo i 14.000 piedi di quota, stabilì quello di velocità, poi quello di distanza, ed effettuò il primo volo in solitaria dalla costa della California all’isola di Santa Catalina, il tutto in un clima di aperta competizione con le sue coetanee. A circa un ventennio dal primo volo dei fratelli Wright nel 1903, l’aviazione allineava già un centinaio di aviatrici, molte delle quali determinate a primeggiare al pari di Amelia. All’epoca non era affatto scontato che una donna potesse guadagnare credito attraverso imprese che erano considerate di esclusivo dominio maschile: basti rammentare quanto disse uno zio di Amelia quando la nipote venne rappresentata sulle prime pagine dei quotidiani: “il nome di una donna deve apparire pubblicamente per iscritto in tre sole occasioni: alla nascita, al matrimonio e alla morte”.

La visibilità mediatica

Fu così che a incominciare da quell’esordio del 1921 Amelia inanellò una serie di successi non solo aeronautici ma soprattutto mediatici.

Amelia Earhart e il marito George Palmer Putnam nella loro casa di Rye (New York)

Parte della straordinaria visibilità di “Millie”, così era soprannominata Amelia, era da ricondurre all’incontro con uno scrittore, editore e pubblicista di fama, George Palmer Putnam, appartenente a una famiglia dedita alla pubblicistica già da molti decenni. George, in ragione di un carattere determinato e ambizioso, seppe creare intorno alla figura di Amelia Earhart un fenomeno comunicativo senza precedenti. Si è molto discusso su quanto George Putnam abbia sfruttato per propria visibilità il carattere volitivo e altrettanto ambizioso di Amelia, ma in realtà è più che ragionevole affermare che l’incontro dei due personaggi, egualmente desiderosi di successo, creò una straordinaria sinergia di intenti e di talento, permettendo ad entrambi di beneficiare vicendevolmente di quella intesa. Tra i due nacque una relazione che andò  ben oltre l’ambito professionale, al punto che Amelia e George, quest’ultimo separatosi nel frattempo dalla moglie, si sposarono nel 1931, quando Amelia era già all’apice della sua celebrità per essere stata la prima donna a sorvolare l’Oceano Atlantico.

LA PRIMA DONNA CHE SORVOLÒ L’ATLANTICO

Era accaduto nel 1928, a bordo di un aeroplano trimotore FOKKER soprannominato “Friendship”, con un volo che ebbe inizio il 18 giugno da HALIFAX Trepassey, in Canada, sulla costa orientale del continente nordamericano, e che si concluse dopo 20 ore e 49 minuti nel sud del Galles, a Burry Port, una piccola località che assurse a fama mondiale grazie a quell’atterraggio casualmente avvenuto in quel luogo (l’equipaggio riteneva di trovarsi altrove). La trasvolata oceanica con il “Friendship” fu effettuata da Amelia insieme a un altro pilota, Wilmer Stultz, e a un meccanico, anch’egli pilota, Slim Gordon. Per ammissione della stessa Amelia, il merito dell’impresa andava interamente ascritto a Stultz (di fatto Amelia mai toccò i comandi di volo), ma l’importanza dell’evento non risiedeva nella trasvolata in sé quanto nel fatto che a bordo vi fosse la prima donna pilota della storia che avesse avuto l’ardire di sfidare l’Oceano. Amelia, con l’abile regia di George Putnam, era stata presentata come il Comandante di quella missione e a lei ne venne ascritto il successo in modo pressoché integrale. “Lady Lindy” – così venne soprannominata Amelia per similitudine con l’impresa di Charlie August Lindbergh, che nel mese di maggio 1927 effettuò per primo la trasvolata oceanica a solo pilota – raccontò la sua avventura in un libro, naturalmente pubblicato da Putnam, intitolato “Twenty Hours and Forty Minutes”. La durata del volo fu quindi accorciata di nove minuti, al solo scopo di rendere più scorrevole il titolo dell’opera.

Amelia Earhart e il suo Autogiro

All’impresa seguì una popolarità senza precedenti. Amelia iniziò un vero tour continentale e oltreoceano per partecipare a eventi sociali, conferenze, dimostrazioni aeree. La sua visibilità crebbe a dismisura, con essa il denaro ed anche il timore, specie nel pigmalione George Putnam, che la fase di clamore potesse dissolversi in poco tempo se Amelia non avesse continuato a calcare le scene della popolarità. Anche a tal fine, trascorsi ormai diversi mesi di crescente successo, Amelia decise di acquistare un aereo di dimensioni e potenza maggiori, un LOCKHEED VEGA, con l’intento di accrescere la possibilità di successive imprese. Va rammentato che erano tempi in cui il volo avveniva disponendo di carte aeronautiche molto basiche e con strumenti di bordo per l’orientamento limitati alla sola bussola magnetica. Il numero di incidenti, molti di questi letali, era alto, e la stampa tendeva a evidenziare la pericolosità del volo e l’inaffidabilità del mezzo aereo pur di ottenere l’attenzione del pubblico, quest’ultimo più facilmente impressionabile dalle notizie tragiche piuttosto che dai risultati positivi. Al contrario, Amelia, insieme a molti altri piloti e aviatrici, cercava di difendere con il suo impegno la portata rivoluzionaria del nuovo mezzo, enfatizzando, in particolare, il ruolo femminile. Diede vita insieme ad altre novantotto aviatrici alla prima organizzazione per donne pilota: “The Ninty-Nines”. Il suo impegno di coraggiosa aviatrice fu senza alcun dubbio sprone per l’emancipazione del mondo femminile. Nelle sue conferenze era solita dire: “women are the true equals of men”.5

Amelia, mai sazia di quanto ottenuto, sospinta da Putnam che nel frattempo era diventato suo marito, fu la prima donna a volare su un nuovo mezzo avveniristico che si poneva, per caratteristiche strutturali e aerodinamiche, tra l’elicottero, non ancora esistente, e l’aeroplano. Si chiamava “autogiro” ed Amelia ne acquistò un modello con il quale non solo effettuò l’attraversata “coast-to-coast” degli Stati Uniti, ma stabilì anche il record femminile di altezza, raggiungendo i 19.000 piedi di quota.

LA PRIMA DONNA A SORVOLARE L’ATLANTICO IN VOLO A “SOLO PILOTA”

Fu con il VEGA dalla livrea rossa e oro che nel maggio 1932, nel quinto anniversario del volo transoceanico da solista di Lindbergh, Amelia “Lady Lindy” fu la prima donna a compiere la trasvolata dell’Oceano Atlantico dalle coste americane all’Europa da solo pilota, stabilendo anche il primato di distanza e di durata dell’epoca. Decollata il 21 maggio da Harbour Grace NEWFOUNDLAND, nella parte più orientale del Canada, superando varie peripezie, tra cui la rottura dell’altimetro, l’attraversamento di una tempesta e la formazione di ghiaccio sulle ali, tale da costringerla a una repentina perdita di quota, Amelia, dopo circa 15 ore di volo, atterrò in Irlanda nei pressi di Londonderry.

Il successo fu strepitoso e rimarcato inconsapevolmente da alcune dichiarazioni rese da un’altra celebre aviatrice, Mary Heath, la quale aveva scritto sul Liberty Magazine, poche ore prima del decollo di Amelia, che nessuna donna avrebbe potuto compiere quell’impresa: “[…] a plain suicide for any woman today!”. Con questa ulteriore impresa, Amelia non fu solo la prima donna a volare in solitaria sull’Oceano, ma anche il secondo pilota (senza distinzione di genere) dopo Lindbergh e il primo ad aver compiuto l’impresa due volte.

La conseguente ondata di popolarità fu senza precedenti: Amelia incontrò capi di stato nelle principali nazioni europee, compresi il Papa e Mussolini, quest’ultimo capo del governo italiano nel 1932, e ottenne le principali decorazioni nazionali: dalla Legione d’Onore francese, al cavalierato belga dell’Ordine di Leopoldo, alla Distinguished Flying Cross del Congresso americano, alla Special Gold Medal della National Geography Society.

ALTRE IMPRESE

All’impresa della trasvolata atlantica seguirono altri eventi che concorsero a tenere alta la celebrità di Amelia (e di George Putnam). Con un nuovo Lockheed VEGA “Hi-speed special”, Amelia effettuò in solitaria il sorvolo dell’Oceano Pacifico da Honolulu a San Francisco, in 18 ore, inaugurando in diretta radiofonica per l’ascolto di milioni di cittadini americani, e non solo, le prime comunicazioni radiotelefoniche con cui commentava “dal vivo” le circostanze della sua impresa. Era il gennaio del 1935. A breve distanza di tempo, nel mese di aprile, Amelia effettuerà il volo continentale da Los Angeles, a Mexico City e, infine, a New York.

IL GIRO DEL MONDO IN AEREO CON IL LOKHEED 10E ELECTRA

Tutto ciò accadeva mentre nasceva nell’animo di Amelia l’impeto di una nuova impresa. Insieme a George, Amelia ottenne la proposta di acquistare un nuovo aereo, un Lockheed 10E Electra, un aereo bimotore da 550 cavalli, capace di un’autonomia pari a 4500 miglia nautiche, dotato dei più moderni equipaggiamenti per le comunicazioni radiofoniche e per la navigazione. L’aereo con le sue caratteristiche si prestava idealmente al progetto ormai più che maturo di effettuare la circumnavigazione aerea del mondo.

A tal fine era però necessario trovare i fondi per acquistare l’aereo e soprattutto per finanziare l’impresa. Ancora una volta George Putnam trovò la soluzione nel presentare l’iniziativa come un “laboratorio volante” e dando vita, a riguardo, a una fondazione denominata “Amelia Earhart Fund for Aeronautical Research”. L’iniziativa catalizzò le necessarie risorse, ma anche il sospetto che la missione di volo potesse celare finalità di spionaggio a scopi militari, stanti, così si presumeva, ingenti finanziamenti governativi (l’eventualità fu poi decisamente smentita).

Amelia ricevette formalmente la consegna dell’Electra il 24 luglio 1936, il giorno del suo trentanovesimo compleanno. Trascorse molto tempo dedicandosi alla preparazione della missione.

Il primo tentativo – Verso OVEST

Vi fu un primo tentativo nel marzo del 1937, verso ovest, che ebbe inizio con una prima tratta dalla costa della California a Honolulu. Dalle Hawaii, la tratta successiva avrebbe dovuto portare l’equipaggio, composto da Amelia, dal navigatore Fred Noonan e dal meccanico Harry Manning all’isola di Howland, in pieno Pacifico, ma il decollo non ebbe successo a causa di un incidente che compromise l’efficienza dell’aeroplano.

La casualità dell’incidente impose il rinvio dell’impresa. Talune critiche imputarono il fallimento alla inabilità di Amelia, e tra queste, in particolare, vi fu la severa reprimenda dal Maggiore Al Williams, un rispettato aviatore dedito allo sviluppo di aeroplani, il quale, nel criticare l’intento speculativo dell’impresa da parte di Amelia e di George Putnam, auspicava l’intervento del Bureau of Air Commerce per impedire che si azzardasse un secondo tentativo6.

Questa volta, dopo le necessarie riparazioni, si decise di volare in direzione opposta, quindi verso est, con un tratto continentale dalla California alla Florida che avrebbe permesso di testare l’aeroplano sorvolando la terra ferma.

Il secondo tentativo – Verso EST – La scomparsa dell’Electra, di Amelia Earhart e di Fred Noonan

L’articolo in prima pagine del “The Purdue Exponent” raffigurante l’itinerario del volo di Amelia Earhart e del suo Lockheed E10 Electra

A maggio dello stesso anno, il giorno 30, la missione ebbe il suo secondo decollo, da Oakland a Miami e poi oltre, verso l’Atlantico. A bordo dell’Electra, con Amelia, vi era questa volta il solo navigatore Fred Noonan. L’equipaggio si avviò nel lungo percorso aereo che per 22.000 miglia nautiche – attraverso l’Oceano Atlantico, l’Africa, l’India, Burma, Singapore, Java e l’Indonesia – portò Amelia e Fred in Australia e da lì in Nuova Guinea a Lae. Questa fu l’ultima località nota che vide in vita i due aviatori. Il 2 luglio alle 00:00 Greenwich Main Time (GMT), l’Electra decollò per l’isola di Howland, la stessa che doveva essere destinazione del decollo fallito da Honolulu nel marzo precedente in occasione del primo tentativo verso ovest. Era una tratta molto impegnativa, con un’estensione di circa 2.600 miglia, pari a stimate 18 ore e mezzo di volo, e soprattutto con la difficoltà di trovare un’isola in mezzo all’Oceano Pacifico sulla quale atterrare con i limitati dispositivi dell’epoca. L’Electra, nonostante la radio assistenza della nave USS Ontario e soprattutto della lancia ITASCA della Guardia Costiera americana, dislocate nei pressi dell’Isola di Howland con il compito di radio-goniometrare la posizione dell’aereo e di segnalare la propria presenza in mare, non giunse a destinazione. Alle 20:14 GMT, Amelia Earhart inviò il suo ultimo messaggio radio con il quale comunicava la posizione. Da lì a breve, l’Electra si inabissò nelle acque dell’Oceano Pacifico, forse a poche decina di miglia dalla sua destinazione, in un tratto di mare compreso tra le Isole Gilbert e l’isola di Howland. Insieme all’aeroplano scomparve definitivamente il suo celebre equipaggio: Amelia Earhart e il navigatore Fred Noonan.

Le ricerche furono vane. Ancora oggi lo sono, nonostante il grande e immutato interesse per la figura di Amelia Earhart.

AMELIA EARHART – UN MITO IMPERITURO

Diverse teorie sono state ipotizzate sulla fatale risoluzione del volo dell’Electra e, verosimilmente, come spesso accade negli incidenti aeronautici, fu una concatenazione di eventi a provocare l’irreparabile, in una congiuntura di fattori umano, ambientale e tecnico. Il mancato recupero del velivolo inabissatosi nell’Oceano Pacifico, la precarietà delle radio segnalazioni rilevate dal personale della Guardia Costiera, dai radiofonisti operanti sull’isola di Howland e da alcuni radioamatori, la frammentarietà delle comunicazioni vocali annotate a mano dagli operatori delle sale radio, l’eventualità che il carburante dell’Electra potesse essere terminato, stante il prolungamento del tempo di volo rispetto a quanto stimato, sono alcune delle circostanze, veritiere o possibili, circa la scomparsa dell’Electra e del suo equipaggio. Una delle più affascinanti teorie, tra le molte accampate negli anni successivi la scomparsa, è che Amelia e Fred, dopo l’atterraggio di fortuna in mare, possano essere stati recuperati da un’imbarcazione giapponese e tenuti prigionieri in una delle numerosissime isole che costellano gli arcipelaghi di quell’imponente tratto di oceano. L’esistenza di questa tesi, tanto affascinante quanto improbabile, dimostra la difficoltà di una comprensione affidata ancora oggi dopo quasi novant’anni all’ignoto. Un film del 2009 narra la tragica vicenda.

Come ultimo atto di una vita spesa sopra le righe dell’ordinarietà, la scomparsa di Amelia Earhart ne ha relegato la figura umana e professionale alla storia, sia dell’aviazione civile, all’epoca ancora ai primordi del suo straordinario cammino, sia del pionierismo al femminile, a vantaggio della scoperta della modernità di cui noi oggi godiamo con indiscussi margini di sicurezza e di comodità.

Amelia Earhart, icona dell’emancipazione femminile in anni in cui alle donne non era permesso di essere notate, se non per la loro sensualità o per il ruolo sociale quasi sempre in subordine a quello maschile, visse, attraverso il volo la sua più intima passione. Lo fece con il fuoco interiore che solo il più autentico e inquieto bisogno di verità e di scoperta può far ardere nell’animo umano.


  1. Mary S.Lovell, Amelia Earhart The Sound of Wings, Edizioni ABACUS, p.2 ↩︎
  2. Earhart, The Fun of It, p.20 ↩︎
  3. Butler Library, Oral History Collection. Ref.: Amy Otis Earhart , p. 37 ↩︎
  4. Mary S. Lovell, Amelia Earhart The Sounds of Wings, Edizioni ABACUS. p.31 ↩︎
  5. Earhart, The Fun of It, p.24 ↩︎
  6. Cleveland Press, 31 marzo 1937 ↩︎

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