Animali caleidoscopici: un mondo a colori
6 min readIl colore nel mondo degli animali e delle piante serve soprattutto come mezzo comunicativo, venendo utilizzato, per esempio, per comunicare pericolosità, ma anche per sparire alla vista dei predatori, per trovare un partner e per tanti altri motivi differenti.
Le cause principali della presenza di determinati pattern e colorazioni specifici, soprattutto negli animali, sono principalmente: l’alimentazione degli individui, l’ambiente in cui questi vivono e, spesso, la presenza di alterazioni genetiche nel loro DNA.
Come per tutte le cose, però, la natura non favorisce nulla di ciò che “non serve”, ma anzi tende a privilegiare tutte quelle caratteristiche utili alla sopravvivenza dell’individuo a discapito di quelle che risultano superflue se non addirittura dannose.
Un esempio interessante di quanto detto finora è il pavone (Pavo cristatus), un uccello noto per i suoi colori sgargianti appartenente alla stessa famiglia dei tacchini. Il pavone, infatti, assomiglia molto ad un tacchino, persino nei suoi rituali di corteggiamento. Cambia, però, una cosa: i colori.
Il tacchino è un animale originario del continente americano dal piumaggio non molto sgargiante, fatto salvo parte del becco e le appendici carnose che si trovano al di sotto di esso.
Il pavone, invece, si mostra tutto colorato, con il collo blu e un’enorme coda dal colore principalmente verde e con tante macchie rotonde più o meno grandi che assomigliano vagamente a degli occhi. Quest’ultime si chiamano ocelli e fungono da esca o da mezzo di intimidazione nei confronti degli altri animali. In particolar modo nei pavoni servono per attrarre le femmine durante il corteggiamento.
Questi due uccelli, quindi, sembrano due animali molto diversi, ma sono accomunati da alcune caratteristiche. Prima tra tutte, il dimorfismo sessuale.
Con questo termine si indica che, all’interno della stessa specie, maschi e femmine hanno delle caratteristiche differenti – a livello estetico o comportamentale – alcune volte tanto da essere stati scambiati inizialmente come specie differenti.
Tornando ai nostri protagonisti, dunque, maschi e femmine risultano essere differenti soprattutto a livello estetico: le femmine hanno generalmente colori che vanno dal marrone al grigio, mentre i maschi sono più variopinti. Questa differenza è legata al comportamento riproduttivo della specie.
Ricordiamo sempre, infatti, che in molte specie animali è la femmina che si occupa della cura della prole e quindi è anche responsabile della loro sicurezza. Colori neutri aiutano la femmina con i piccoli a nascondersi meglio nella vegetazione ed evitare di essere mangiati dal primo predatore di turno. In termini più tecnici questo tipo di concetto si chiama mimetismo.
I maschi, al contrario, essendo più colorati sono più soggetti a diventare pasto per qualche carnivoro, ma è un rischio che sono pronti a correre… per farsi scegliere dalle femmine.
La colorazione del maschio, infatti, come accennato precedentemente, ha lo scopo preciso di attrarre le femmine, quante più possibili, per poi accoppiarsi con loro. Ecco spiegato anche il motivo per cui, nella nostra lingua, quando vediamo qualcuno farsi bello e mostrarsi molto in giro utilizziamo il termine “pavoneggiarsi”.
I colori, però, non sono utili solo alle prede. Parliamo, per esempio, della tigre (Panthera tigris).
I colori primari del manto di questi animali sono principalmente l’arancione e il nero, escludendo condizioni particolari come quelle dovute a cambiamenti a livello genetico degli esemplari.
Le strisce presenti sul manto della tigre sono così scure da confondersi con le ombre delle piante presenti nella foresta e servono, quindi, per mimetizzarsi all’interno della vegetazione. L’arancione, invece, fa sostanzialmente da sfondo. Questa colorazione, però, non è visibile proprio a tutti.
Noi esseri umani, infatti, siamo in grado di percepire un ampio spettro di colori perché, durante la nostra evoluzione, questi ci sono serviti per sopravvivere e la nostra vista è stata “modificata” dai diversi cambiamenti ambientali e genetici che la nostra specie ha attraversato nel tempo. Altri animali, come la maggior parte degli erbivori, invece, non sono in grado di vedere i colori o, almeno, la maggior parte di essi, perché non ne hanno bisogno. Tra questi colori “invisibili” figura anche l’arancione della tigre, che viene percepito ai loro occhi come verde e, pertanto, si presta perfettamente ad assecondare il mimetismo dei felini in mezzo alla natura selvaggia.
Grazie al suo manto, dunque, la tigre è in grado di mimetizzarsi all’occhio delle sue prede ed avere una capacità di successo durante la caccia più alta.
Se però la tigre nasce con il mantello prevalentemente bianco – particolarità genetica detta leucismo e dovuta a una variante del gene Slc45a2, recessivo nella maggior parte dei casi – tutto il sistema spiegato poc’anzi non funziona. Questo perché, anche se la visione degli erbivori è differente dalla nostra, anche loro sono in grado di vedere nettamente il bianco e il nero.
Cambiando completamente classe, parliamo ora di animali che nella maggior parte dei casi risultano eccessivamente colorati: le rane. In particolar modo focalizziamoci sulla famiglia delle Dendrobatidae, comunemente conosciute come rane freccia, i cui membri sono noti proprio per i loro colori brillanti, generalmente sui toni del giallo e del blu.
Si tratta di animali originari delle foreste pluviali dell’America centrale e meridionale e questa loro colorazione ha uno scopo ben preciso: avvisare tutti della propria velenosità ed evitare potenziali predatori, secondo quella che tecnicamente è nota come colorazione aposematica.
Sebbene si tratti di animali dalle dimensioni molto piccole, non tutte le specie appartenenti a questa famiglia sono infatti innocue. Al contrario, in natura alcune di queste rane hanno la capacità di secernere a livello cutaneo diversi alcaloidi tossici – detti batracotossine – di cui alcuni possono risultare letali anche per gli esseri umani.
Queste tossine però, non vengono prodotte direttamente da questi animali, ma derivano dalla loro alimentazione a base di artropodi, alcuni dei quali contengono, per l’appunto, uno o più alcaloidi. Quest’ultimi vengono quindi assunti con la dieta e immagazzinati, senza modifiche, nelle ghiandole epidermiche delle rane.
In questo caso, dunque, la colorazione funziona un po’ come “cartello d’avvertimento” per gli altri animali, per avvisare della propria pericolosità e intimare a tutti di stare alla larga.
L’ultimo caso di cui vi voglio parlare è la pantera nera.
Con il termine “pantera nera”, nel gergo comune, si indica un felino di grosse dimensioni dal manto completamente nero. Ma, in zoologia, la “pantera nera” non esiste.
Infatti, quella che comunemente viene chiamata “pantera nera”, in realtà, altri non è che un giaguaro (Panthera onca) o un leopardo (Panthera pardus) il cui manto risulta essere prevalentemente nero, ma sotto cui, se la luce è favorevole, è spesso possibile vedere le macchie tipiche della specie di appartenenza.
Questa colorazione è dovuta alla genetica di questi animali perché il corpo dei mammiferi – e quindi anche il nostro – produce delle sostanze chiamate melanine (pigmenti neri, bruni o rossastri) in diverse quantità che si trovano principalmente nella pelle, nelle iridi e nei peli (capelli compresi). A causa di alcuni cambiamenti a livello genetico, però, un corpo può “avere” più o meno melanina e apparire, quindi, diversamente.
Quando vi è un eccesso di pigmentazione nera o quasi nera di pelle, piume o peli si parla di melanismo: ecco, quindi, che non si parla più di pantera nera, ma di un leopardo o un giaguaro melanico.
Questa mutazione si è protratta nel tempo perché offre comunque dei vantaggi al predatore, rendendolo meno visibile agli occhi delle prede durante le battute di caccia all’interno delle foreste oppure durante la notte.
A tal proposito è interessante specificare che nel giaguaro il melanismo è dovuto alla mutazione di un gene dominante ed è, quindi, abbastanza frequente tra gli individui della specie. Contrariamente per il leopardo la stessa è dovuta alla mutazione di un gene recessivo ed è, dunque, meno frequente all’interno della specie.
Dagli esempi che abbiamo appena visto, così come da tantissimi altri che esistono in natura, possiamo quindi capire bene che i colori non sono solo belli, ma hanno anche un significato: sono le parole di una lingua che serve a comunicare non solo con i propri simili, ma anche con esseri completamente diversi.
E se vi sembravano solo belli prima, adesso non vi sembrano meravigliosi?
Laureata alla triennale di Scienze Naturali e alla magistrale in Ecologia ed Etologia per la conservazione della natura, sono sempre stata incuriosita e ammaliata dalla natura in tutto e per tutto. Sono una persona poliedrica e dalle mille passioni, amo stare all’aria aperta, immersa nella natura, ma non disdegno un bel pomeriggio a giocare o a guardare film e serie tv. Il mio animale guida, che è anche ciò che mi ha spinto verso il mio percorso accademico, è il lupo, tanto studiato quanto misterioso, che continua tutt’ora ad incidere nell’immaginario collettivo. Al momento lavoro come operatore della didattica e come guida presso lo Zoo di Napoli con l’intento di far conoscere quanto più possibile la fauna e la flora mondiale a grandi e piccini e per me la divulgazione è il mezzo principale per mostrare alle persone ciò che di bello esiste al mondo e soprattutto per far capire come noi siamo parte dello stesso.