Essere celiaci nel deserto: il caso del popolo Saharawi
12 min readIntroduzione
Fino a pochi decenni fa, la celiachia era considerata una malattia tipica dei Paesi industrializzati. La sua individuazione e definizione, in quanto malattia autoimmune, è stata portata avanti nel mondo occidentale solamente nel XX secolo e, ancora oggi, molti studi cercano di trovare una cura che al momento di fatto non esiste.
Gli effetti sulla salute della celiachia possono essere infatti tenuti sotto controllo solo eliminando il glutine dalla dieta delle persone che sono affette da questa intolleranza. Fortunatamente, in molti Paesi sono state attuate politiche atte a venire incontro alle esigenze dei pazienti e a semplificare ad esempio l’accessibilità ad alimenti privi di glutine. L’Italia costituisce in tal senso un’eccellenza: l’Associazione Italiana Celiachia (AIC), nata nel 1979, opera da ormai quarantacinque anni per portare avanti campagne di sensibilizzazione e d’informazione, ma anche progetti e ricerche scientifiche che possano migliorare la vita delle persone celiache. L’AIC è anche responsabile della pubblicazione del Prontuario degli alimenti senza glutine ed è licenziataria del marchio spiga barrata che, quando posto sulle confezioni dei cibi, garantisce l’assenza di glutine. Considerati i prezzi molto elevati degli alimenti senza glutine, in Italia, le persone con diagnosi di celiachia hanno anche a disposizione dei buoni per poter effettuare acquisti alimentari.
Per quanto possa essere complessa la vita di una persona celiaca a livello fisico, psicologico e sociale, in molti paesi dunque l’intolleranza può essere trattata. La situazione è ben diversa se consideriamo l’insorgere della celiachia in Paesi in via di sviluppo e in particolare in situazioni di grave povertà e mancanza di risorse.
È questo il caso del Popolo Saharawi, originario del deserto del Sahara e caratterizzato da un tasso di positività alla celiachia tra il 5 e il 6%, un valore da cinque a dieci volte maggiore rispetto alla media europea e mondiale. La trattabilità di questa condizione è messa a dura prova dalla travagliata storia dei Saharawi che vivono ormai da mezzo secolo in condizioni estremamente precarie.
I Saharawi
I Saharawi, accreditati spesso anche come Sahrawi, Saharaui e Sahraui, sono una popolazione originaria dell’area occidentale del deserto del Sahara che include il Marocco meridionale, gran parte della Mauritania, il confine sudoccidentale dell’Algeria e, in particolare, l’omonima Repubblica Araba Democratica dei Saharawi (RADS), riconosciuta solo parzialmente dalla Comunità Internazionale in quanto Stato.
La RADS, o più comunemente Sahara Occidentale, viene rivendicata infatti dai Saharawi in quanto loro territorio autonomo e la sua storia è direttamente correlata al colonialismo europeo e al conseguente processo di decolonizzazione che ha portato ad un lungo conflitto tra i Saharawi da una parte e il Marocco e la Mauritania dall’altro.
La storia dei Saharawi è caratterizzata dalla compenetrazione di diversi contesti socioculturali e si è sviluppata dall’incontro tra popolazioni berbere, arabe e native del Sahel. La loro presenza in Nordafrica si attesta presumibilmente prima dell’arrivo dell’Islam in quest’area nell’VIII secolo d.C, quando alcuni gruppi di nomadi berberi, principalmente della Confederazione Senhaja, arrivarono nella parte occidentale del Sahara e assunsero ben presto il controllo delle tratte commerciali che trasportavano soprattutto oro, sale e schiavi. Tra l’XI e il XIII secolo però, diverse tribù beduine, tra cui le tribù Beni Hilal e Beni Sulaym dall’Egitto e la tribù Beni Hassan dallo Yemen, migrarono verso il Maghreb e imposero la propria autorità sulle popolazioni berbere del luogo. Dopo la fallita insurrezione di Char Bouba (1644-1674), durante la quale le confederazioni berbere tentarono di fermare l’avanzata degli arabi, questi gruppi vennero sostanzialmente assimilati all’interno della cultura araba e musulmana. Ciò può essere riscontrato anche nel fatto che la lingua nativa del Sahara Occidentale è l’arabo Hassaniya, dialetto della tribù dei Beni Hassan, nonostante l’unica lingua ufficiale in Algeria, Mauritania e Sahara Occidentale sia l’Arabo standard (nell’area del Sahara Occidentale controllata dal Marocco, anche l’Amazigh è annoverato tra le lingue ufficiali).
Il retroterra storico e culturale dei Saharawi è dunque estremamente complesso e variegato e la loro storia subì un ulteriore fondamentale cambio di rotta con l’avvento del colonialismo europeo. I Saharawi avevano sempre mantenuto uno stile di vita nomade: il loro stesso etnonimo significa letteralmente “gente del deserto” e, anche in tempi precoloniali, non instaurarono mai un governo centrale ma stabilirono nel corso del tempo alleanze e accordi con le popolazioni limitrofe.
Nel 1884 però, in seguito alla Conferenza di Berlino, la Spagna ottenne parte del Marocco: la zona venne rinominata Marocco Spagnolo ed essa includeva l’attuale Sahara Occidentale. I confini vennero tracciati arbitrariamente, senza tenere conto degli assetti tribali allora presenti. Questo aspetto esacerbò conflitti preesistenti e provocò l’insorgere di guerre sante anticoloniali (jihad), che vennero portate avanti dai Saharawi delle zone più interne del Sahara Occidentale e che gli Spagnoli riuscirono a sedare solamente negli anni Trenta del Novecento con l’aiuto dei Francesi e non senza strascichi negli anni successivi.
Nel 1934, l’attuale Sahara Occidentale venne separato dal resto della colonia e fu creata l’amministrazione del Sahara Spagnolo, suddivisa in due zone, chiamate Río de Oro e Saguia el-Hamra. Con l’avvio del processo di decolonizzazione, questi due territori vennero successivamente unificati e, nel 1958, divennero Provincia Autonoma del Sahara. Due anni dopo, il 14 dicembre 1960, l’ONU votò la risoluzione n. 1514 con la quale si riconosceva l’autodeterminazione dei popoli colonizzati: nel 1963, il Sahara Occidentale venne inserito tra i Paesi da decolonizzare e, nel dicembre 1965, la Spagna venne invitata formalmente dalle Nazioni Unite a porre fine all’occupazione e a indire un referendum per eleggere un nuovo governo.
Tuttavia, l’indipendenza tardava ad essere riconosciuta e, nel maggio 1973, nacque il Fronte POLISARIO (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro), movimento per l’indipendenza del Sahara Spagnolo che nacque dalle ceneri del Movimento di Liberazione del Sahara, fondato nel 1967 e soppresso dal regime franchista. Nel 1975, il Fronte POLISARIO si stabilì in Algeria, a Tindouf, da dove cominciò a portare avanti azioni di guerriglia. Nello stesso anno, il Movimento venne riconosciuto dall’ONU e, dopo un’inchiesta, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja riconobbe il diritto all’autodeterminazione del Popolo Saharawi, poiché le precedenti alleanze con il Marocco in epoca coloniale non sancivano nessun tipo di sovranità da parte di questo sul Sahara Occidentale.
Intanto, nel 1974, la Spagna aveva avviato un censimento per poter procedere con il referendum richiesto dall’ONU e si dimostrò favorevole alla nascita di uno Stato indipendente. Di fatto però, subì pressioni da parte del Marocco e della Mauritania che rivendicavano la sovranità sul Sahara Spagnolo. Dopo la marcia verde organizzata dal Marocco, in cui 350000 soldati e civili marocchini occuparono il Sahara Occidentale per chiedere la smobilitazione spagnola e per rendere inefficace un eventuale referendum per l’indipendenza, Il 14 novembre del 1975, con gli Accordi di Madrid, Spagna, Marocco e Mauritania posero fine alla presenza coloniale nel Sahara Occidentale: il Marocco ottenne il controllo sui due terzi dell’area settentrionale del Sahara Occidentale e alla Mauritania venne assegnato un terzo della stessa zona.
Ne seguì una violenta reazione del Fronte POLISARIO supportato dall’Algeria e dalla Libia e, dopo che il 26 febbraio 1976 si concluse formalmente il dominio coloniale spagnolo, il giorno successivo nacque la Repubblica Araba Democratica dei Saharawi, proclamata dal Fronte POLISARIO e riconosciuta da 76 stati nel mondo, dall’Unione Africana ma non dall’ONU.
Ebbe inizio un lungo conflitto armato tra i Saharawi, il Marocco e la Mauritania. Quest’ultima firmò accordi di pace con il Fronte POLISARIO nel 1979, mentre il Marocco invase il Sahara Occidentale e il conflitto si protrasse fino al 1991, anno in cui venne proclamato un cessate fuoco e in cui l’ONU inviò una delegazione per indire il referendum (MINURSO). Ciononostante, ad oggi la questione territoriale non è risolta e il referendum non si è mai tenuto, formalmente poiché non sono stati stabiliti i parametri per l’accesso al voto.
Ad oggi, tra i 170000 e i 250000 Saharawi vivono in una quarantina di campi profughi a Tindouf: i campi sono organizzati in unità (wilaya) che portano il nome degli originari distretti Saharawi e che ospitano il governo della RADS in esilio. All’interno dei campi profughi, le condizioni di vita sono estremamente precarie. L’accesso all’acqua potabile e ad un’alimentazione adeguata è spesso carente e ciò ha portato i Saharawi ad essere i destinatari di diversi aiuti umanitari provenienti da Paesi Occidentali. Questi aiuti hanno involontariamente alterato la loro dieta e questo sembra essere uno dei fattori che hanno comportato un’incidenza piuttosto alta di quella che fino a pochi anni fa era considerata una malattia autoimmune tipica dei paesi occidentali: la celiachia.
Che cos’è la celiachia? Cosa comporta per il popolo Saharawi?
La celiachia è un’enteropatia autoimmune che comporta l’infiammazione cronica dell’intestino tenue causata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Il glutine è una proteina suddivisa in due componenti, gliadina e glutenina, ed è contenuta in diversi cereali, tra i quali il frumento, l’orzo, il farro, la spelta, il kamut, il triticale, la segale, il malto, l’avena, il bulgur e il seitan.
L’assunzione di glutine da parte di un soggetto celiaco provoca l’atrofizzazione dei villi intestinali a livello del tenue e si manifesta con sintomi estremamente vari che variano da soggetto a soggetto. Tra i più comuni vi sono diarrea o stipsi, steatorrea e malassorbimento ma anche dolori addominali e articolari, astenia, affaticamento, emicrania, irritazioni della pelle, dimagrimento, infertilità, nebbia mentale, ritardi nella crescita, ansia e depressione.
Esiste una forma di celiachia definita silente che non comporta sintomi evidenti ma che causa comunque l’atrofizzazione dei villi intestinali e nel lungo periodo può portare all’insorgere di gravi patologie intestinali come nei soggetti sintomatici.
La celiachia non ha una cura ma i sintomi sono trattabili grazie ad una dieta completamente priva di glutine: un regime alimentare che deve però essere avviato dopo la certezza della diagnosi che avviene tramite esami sierologici e una duodenoscopia (è necessario che il paziente non interrompa l’assunzione di glutine durante gli esami per poter avere un risultato esaustivo). Successivamente alla conferma della diagnosi e all’evitamento degli alimenti contenenti questa proteina, saranno richiesti dai 6 ai 18 mesi per arrivare all’eliminazione dei sintomi.
La celiachia è causata da fattori genetici ed epigenetici e fino a poco tempo fa, era considerata una malattia diffusa soprattutto nei Paesi Occidentali e legata all’infanzia. In realtà, studi recenti dimostrano che può insorgere a qualunque età, colpisce ambo i sessi (nonostante sia più diffusa nella popolazione femminile) ed è sempre più diffusa nei Paesi in via di sviluppo.
La prima testimonianza storica relativa alla celiachia risale al 250 d.C. quando Areteo di Cappadocia definì con il termine koiliakos una persona che “soffre negli intestini”. Solo nel 1856, Francis Adams tradusse il termine in inglese e coniò la parola “celiaco”. Nel 1869, a Londra, vi fu il primo simposio sull’argomento e, nel 1888, Samuel Gee descrisse i sintomi della malattia e ipotizzò che fosse trattabile solo con una dieta adeguata: purtroppo pensò che questa dovesse essere basata su patate, banane e…frumento.
Solo nel 1945 il pediatra olandese Willem Karel Dicke capì che proprio la farina di frumento causava i sintomi nei bambini, poiché a causa della mancanza di prodotti contenenti glutine durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva notato che i suoi pazienti erano sensibilmente migliorati. I sintomi ritornarono però immediatamente dopo l’arrivo degli aiuti umanitari costituiti prevalentemente da pasta e pane.
Negli ultimi decenni, le informazioni a disposizione sulla celiachia sono sensibilmente aumentate ma allo stesso tempo è aumentato notevolmente il numero di persone che ne è affetto. Al momento, nei Paesi in via di sviluppo, la quantità di grano è ancora seconda al riso ma è in costante aumento. L’occidentalizzazione della dieta mondiale e la globalizzazione del mercato alimentare hanno portato ad un conseguente aumento della popolazione celiaca mondiale che si attesta oggi sul 3%.
In Italia, si stima che ne sia affetto all’incirca l’1% della popolazione, corrispondente a 600000 persone; tuttavia, meno della metà è stata regolarmente diagnosticata. Il processo di identificazione della celiachia è infatti complesso e viene reso ancor più difficile da condizioni di povertà e di precarietà quali quelle in cui si trovano i Saharawi in cui il tasso di celiachia è notevolmente alto e si attesta intorno al 5.6%: un valore da 5 a 10 volte superiore a quelli presenti nei Paesi sviluppati.
Tradizionalmente, infatti, la dieta di questa popolazione si fondava sulla consumazione di carne, latte di cammello, datteri, zuccheri e piccole quantità di legumi e cereali; inoltre, l’allattamento al seno era prolungato il più possibile. In seguito al periodo coloniale, il grano e altri cereali contenenti glutine hanno cominciato a sostituire diversi cibi e potrebbero aver presumibilmente scatenato una reazione immunitaria in soggetti già predisposti alla celiachia.
Considerate le precarie condizioni dei profughi Saharawi, è estremamente difficile per loro poter avere però una diagnosi certa di celiachia e, anche nei casi in cui si riesca ad ottenerla, ancor più difficile è poter seguire una dieta priva di glutine in condizioni di povertà, spesso senza accesso ad acqua potabile e cibo, a temperatura che possono sfiorare i 55°C.
A partire dal 1998, l’AIC (Associazione Italiana Celiachia) ha portato avanti un importante progetto per aiutare la popolazione Saharawi su questo fronte. In quell’anno, un gruppo di medici riuscì a condurre analisi su 989 bambini, di cui appunto quasi il 6% risultò celiaco. Successivamente, dal 2000, diversi gruppi di bambini Saharawi hanno potuto soggiornare in Italia nei mesi estivi grazie ai campi estivi dell’AIC e, potendo condurre una dieta priva di glutine, i ricercatori hanno confermato che spesso la loro condizione di malnutrizione non era dovuta alla mancanza di cibo, bensì alla presenza di glutine nella loro alimentazione.
A partire dal 2002, l’AIC, grazie alla collaborazione con l’ONG C.O.S.P.E, porta aiuti concreti alla popolazione e, dal 2004, entra nel Progetto Quadro “Sostegno a favore del Popolo Saharawi” sovvenzionato dalla Regione Toscana, grazie al quale viene improntato un Dipartimento Medico dedicato alla celiachia. Dal 2007, l’AIC ha lavorato a stretto contatto con i Saharawi per poter trovare alimenti locali che potessero sopperire alla mancanza di glutine e ha formato sul campo il personale locale. Dopo aver ottenuto per i Saharawi una nuova colonna endoscopica nel 2013, il progetto si è chiuso purtroppo nel 2014 a causa dell’intensificarsi di tensioni politiche tra Marocco ed Algeria; ciononostante, l’AIC continua a mantenere i contatti con i Saharawi per garantire la continuità dei risultati raggiunti.
Conclusioni
Ancora oggi, nonostante siano stati fatti diversi passi avanti riguardo al trattamento della celiachia, circolano numerosi luoghi comuni e informazioni errate riguardo a questa patologia.
Come afferma Arianna Marchese, volontaria attiva dell’AIC in Emilia-Romagna, è ancora diffusa l’idea che la celiachia sia una scelta alimentare, addirittura adottata per perdere peso o per evitare la “tossicità” del glutine. Nulla di più sbagliato: il glutine non è dannoso per i soggetti non celiaci e chi non può assumere glutine non lo fa per una moda alimentare.
Essere celiaci ha anzi numerose conseguenze a livello fisico e sociale e, nonostante gli alimenti specificatamente pensati per persone intolleranti senza glutine siano sempre più numerosi, non è sempre facile poterli reperire, considerato anche che hanno un costo superiore a quelli con glutine.
In un contesto come quello dei Saharawi, questi fattori sono fortemente esacerbati. Una popolazione che da oltre sessant’anni combatte per la propria autodeterminazione, in esilio, e che spesso non ha accesso a risorse adeguate, in un contesto di povertà e privazione, non può purtroppo trattare in modo appropriato la celiachia.
Grazie a progetti come quello dell’AIC, i Saharawi hanno la possibilità di avere strumenti e conoscenze per far fronte alle diagnosi di celiachia ma c’è ancora molto da fare per poter garantire condizioni di vita migliori a questa popolazione dalla storia travagliata.
Bibliografia:
-Catassi C, Doloretta Macis M, Rätsch IM, De Virgiliis S, Cucca F., “The distribution of DQ genes in the Saharawi population provides only a partial explanation for the high celiac disease prevalence,” Tissue Antigens 58, no. 6 (2001 Dec): 402-6, doi: 10.1034/j.1399-0039.2001.580609.x. PMID: 11929591.
-Ercolini, D., Francavilla, R., Vannini, L. etal., “From an imbalance to a new imbalance: Italian-style gluten-free diet alters the salivary microbiota and metabolome of African celiac children,” Sci Rep 5, no. 18571 (2016). doi: 10.1038/srep18571. PMID: 26681599; PMCID: PMC4683525.
-Lionetti, Paolo et al., “Coeliac disease in Saharawi children in Algerian refugee camps,” The Lancet 353, Issue 9159, (1999): 1189 – 1190.
-Rätsch IM, Catassi C., “Coeliac disease: a potentially treatable health problem of Saharawi refugee children,” Bull World Health Organ 79, no. 6 (2001):541-5. PMID: 11436476; PMCID: PMC2566447.
-Scalici, C. et al., “Celiac disease and the Saharawi. Clinical experience with Saharawi children,” Acta Pediatrica Mediterranea 21 (2005) :101-104.
Siti web:
Associazione Italiana Celiachia (AIC): https://www.celiachia.it/
Progetto Saharawi: https://www.celiachia.it/aic/nel-mondo/progetto-saharawi/
L’immagine di copertina è stata trovata online in pubblico dominio.
Dopo la maturità classica nel 2017, ho svolto il mio percorso accademico presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna dove mi sono laureata nel 2020 in Antropologia, Religioni, Civiltà Orientali e nel 2022 in Scienze Storiche e Orientalistiche-curriculum Global Cultures. Ricercatrice in formazione, credo fortemente nel ruolo della cultura in quanto mezzo imprescindibile per lo sviluppo del pensiero critico e spero di poter dare il mio contributo al mondo della divulgazione promuovendo un approccio interdisciplinare per la conoscenza del mondo in cui viviamo.