Facciamo chiarezza sui combustibili fossili
7 min readSarà capitato almeno una volta a ciascuno di noi, in ambiente scolastico, al telegiornale, o in una campagna di sensibilizzazione ad opera di qualche attivista, di imbatterci nel terrificante monito sull’imminente esaurimento delle riserve dei combustibili fossili. Terrificante per una buona ragione: dalla loro disponibilità dipende, in misura preponderante, l’intera economia mondiale.
Nel XX secolo è stata una costante:
Il petrolio è stato usato per meno di 50 anni, e si stima che terminerà in massimo 25 o 30 anni
– 19 Luglio 1909, Titusville Herald
Nel soddisfare le esigenze energetiche mondiali, il petrolio rivestirà un ruolo sempre meno dominante, perché il picco di produzione sarà raggiunto nell’arco di cinque anni
– 23 Ottobre 1919, Oil and Gas News
I dati ci suggeriscono che le riserve presenti non dureranno che per altri 15 anni
-9 Marzo, 1937, H.A.Stuart, direttore delle riserve navali
Abbiamo raggiungo il picco massimo nella produzione del petrolio, e d’ora in avanti seguirà un declino inesorabile
-7 Giugno 1943, Bradford Evening Star
A questi ritmi, nella migliore delle ipotesi avremo prosciugato il pianeta in 13 anni
– 10 Dicembre, 1945, Times Recorder
I geologi sono certi che gli Stati Uniti d’America saranno “asciutti” in meno di un decennio
-3 Agosto, 1966, Brandon Sun
L’insistenza reiterata di tali dichiarazioni ha suscitato sospetti sull’eventualità che vi sia stata un’operazione orchestrata per alimentare un clima di psicosi e tensione perpetue utile agli interessi dei mercati, ma tralasceremo questa interpretazione di matrice complottista.
Benché suonino come delle profezie Maya, ossia suggestive quanto inconcludenti, tali previsioni, ad onor del vero, si basano su proiezioni statistiche accurate e modelli matematici altamente sofisticati. Esaminando il seguente grafico si nota come le riserve di petrolio, espresse in migliaia di milioni di barili, si possono considerare circa raddoppiate rispetto a due decenni fa. Che cosa ci sfugge?
La chiave di volta è di una semplicità disarmante: diventiamo ogni giorno più abili a scovare ed estrarre le materie prime. Il vertiginoso progresso tecnologico che ha contraddistinto la fine del XX e l’inizio del XXI secolo fa sì che si riescano ad individuare a ritmi inconcepibili (praticamente tutti i giorni) nuovi giacimenti vergini o stratagemmi per estrarre più agevolmente e produttivamente da zone già note alla comunità scientifica. In un futuro non troppo remoto una dinamica del genere potrebbe anche stravolgere la nostra attuale percezione dell’oro: la sua preziosità è legata, oltre che ad alcune proprietà fisico-chimiche prodigiose, non tanto alla sua rarità quanto alla difficoltà d’estrarlo e purificarlo. Si pensi che i mari contengono in media 1,5 mg di oro per tonnellata di acqua (nel caso non fosse chiaro, considerando il volume totale d’acqua, si tratta di una quantità immensa!). Naturalmente queste considerazioni non implicano che i combustibili non termineranno mai, ma che la situazione attuale è molto più sotto controllo, ed in generale complessa, di quanto si lasci intendere.
Se la legge della domanda e dell’offerta non basta, come si spiegano le fluttuazioni frenetiche del prezzo dei barili?
Dal momento che reperibilità e richiesta della materia prima continuano a crescere parallelamente, la famigerata legge economica della domanda e dell’offerta suggerirebbe un andamento relativamente stabile dei prezzi del barile. Ma la realtà è ben altra, come mostrato nel grafico sovrastante. A concorrere a tale volatilità interviene infatti una pluralità di fattori di ordine geopolitico, economico (marketing), e tecnologico. La prima categoria è nota anche ai “profani”, ossia le fasi di incertezza politica e di destabilizzazione dei mercati che seguono alle tensioni belliche ed ai conflitti sociali, specialmente quelli che hanno avuto come teatro il Medio Oriente. Si sostiene, saggiamente, che sulle nazioni più ricche di giacimenti di petrolio aleggi una maledizione: quella di essere potenzialmente le più prospere e sviluppate, ed al contempo il bersaglio costante degli appetiti predatori altrui. Non è un caso, inoltre, che tali paesi abbiano non di rado gli altri settori economici (ma anche civili ed artistici) particolarmente sottosviluppati, avendo scommesso sull’esportazione del greggio quale fonte principale di sostentamento e ricchezza.
In alcuni casi il prezzo del barile può variare sensibilmente anche per vere e proprie pianificazioni correlate ad opportunità di marketing e sviluppo tecnologico: per le società petrolifere e le industrie chimiche potrebbe essere conveniente, infatti, aumentare transitoriamente il prezzo del prodotto finito per autofinanziarsi una campagna di ricerca ed innovazione in vista di processi d’avanguardia o alternativi, che non sarebbero economicamente sostenibili in condizioni ordinarie.
Se la produttività per unità di costo di un qualsiasi anello nella catena d’estrazione, pretrattamento, trasformazione e trasporto dei combustibili migliora per conquiste di natura tecnologica, il prezzo può essere diminuito di conseguenza. Analogamente, se in una determinata fase la capacità di stoccaggio viene saturata a causa di un calo drastico nella domanda (come è accaduto ad esempio per la pandemia di COVID-19), il prezzo calerà rapidamente, determinando peraltro strascichi non trascurabili nella fase di ripartenza della produzione a pieno regime.
Spesso, inoltre, è la logica del libero mercato e della competizione spietata tra più multinazionali ed azionisti (come per qualsiasi altro bene materiale e non, d’altronde) a far oscillare i valori come fossero di un elettrocardiogramma. I concorrenti, in accordo con le loro previsioni sulle evoluzioni future, potrebbero mettere in atto strategie in un’ottica di lungimiranza, e che spesso comportano la rimodulazione dei prezzi odierni in maniera non lineare e prevedibile. Ad esempio, se si ritiene che l’esaurimento dei combustibili sia imminente, è del tutto ragionevole far schizzare alle stelle i prezzi affannandosi di far cassa prima che sia troppo tardi.
L’impatto ambientale dei combustibili fossili desta enorme apprensione. Se esistono delle alternative valide, perché non si percorrono?
Affermare che le alternative non si percorrano è una menzogna plateale, dal momento che esistono già da tempo impianti (pilota o effettivi) in grado di sfruttare materie prime e processi ad impatto ambientale molto modesto. Nel prospetto sovrastante, ad esempio, è illustrata una sequenza di tappe con cui si sintetizzano intermedi e prodotti cruciali per l’industria chimica organica ed inorganica partendo dalla biomassa.
Ad ogni modo, per completezza d’informazione, l’emissione di anidride carbonica (uno dei principali gas ad effetto serra) associata al processamento della biomassa è copiosa, ossia neanche le strategie apparentemente più “pulite” sono ad impatto trascurabile. In linea teorica è possibile impiegare direttamente la CO2 per la sintesi industriale o sbarazzarsene senza il rilascio diretto in atmosfera, ma si tratta di tecnologie per il momento sperimentali ed estremamente costose. Ciliegina sulla torta, predisporre ed operare le infrastrutture necessarie a metterle in atto comporta una fase iniziale di inquinamento sostanziale ed inevitabile.
Il problema principale è un altro, ed anche stavolta di un’evidenza disarmante se se ne discutesse con cognizione di causa: tali alternative, attualmente, non sono in grado di soddisfare pienamente la domanda dei consumatori a prezzi ragionevoli, ossia la loro resa per unità di costo è irrisoria. I vincoli contingenti che dettano il ritmo e l’entità della transizione verso una green economy (in atto, peraltro), non sono influenzati dallo spessore della coltre di fiori che stendete per strada durante le vostre manifestazioni pacifiste ed ambientaliste.
Chiariamo meglio questo passaggio focale, per respingere preventivamente le obiezioni di quanti borbottano che tale aspetto economico sia da addebitarsi interamente alla trame aberranti e sfrenate del capitalismo. La produzione industriale, intesa come quantità di un bene prodotta annualmente, viene regolata strettamente sulla base della richiesta dei consumatori, non sulla base dei capricci dei produttori. Un’industria chimica non ha alcun interesse ad investire miliardi di dollari per sintetizzare un qualcosa che non venderebbe in breve tempo. Ogni volta che acquistate un pacchetto di aspirine, accendete la vostra automobile o il computer della vostra cameretta, e via discorrendo, state chiedendo ai fornitori di bruciare più carbone (o altri combustibili fossili). Ripetete queste azioni su una popolazione di 8 miliardi, in crescita frenetica, e dovrebbe essere evidente perché molte polemiche risultano ipocrite e lasciano il tempo che trovano.
Quanti di noi sarebbero disposti a rinunciare a quasi tutte le comodità che diamo per scontate per il bene dell’ambiente e di alcuni paesi brutalmente depredati? Assumiamoci le nostre responsabilità piuttosto che continuare a trincerarci in un guscio fittizio d’integrità morale nel tentativo maldestro di esorcizzare le nostre insicurezze e le nostre colpe.
Naturalmente sarebbe altrettanto disonesto e riduzionista decriminalizzare in toto chi si occupa in prima persona di gestire questo settore o squalificare la sensibilizzazione dei cittadini al tema. Si danno senz’altro svariati frangenti in cui lo scrupolo etico viene deposto a favore del profitto (ad esempio quando si pagano delle “tasse” per raggirare le norme sull’inquinamento o quando si miscelano i fumi dei gas di scarico con vapore acqueo per mascherarne l’apparenza…Rimanga tra noi!). Le pressioni sociali e politiche internazionali, inoltre, hanno impresso un’accelerazione determinante alla ricerca ed all’investimento su forme di sviluppo sostenibile.
Come abbiamo sottolineato già in altre occasioni, per concludere, la vita è un disorientante chiaroscuro e come tale dovrebbe essere titanicamente affrontata.
Ho conseguito la maturità classica nel 2015, la laurea di primo livello in Ingegneria Chimica presso il Politecnico di Milano nel 2019 e la laurea magistrale nel 2021 in Chemical Product Engineering con particolare enfasi per i bioprocessi industriali e le tecnologie di formulazione farmaceutica e cosmetica. Traggo la mia linfa vitale da interessi poliedrici, tra cui la filosofia e l’antropologia, e da una inclinazione naturale alla speculazione teorica al servizio di risvolti concreti nella quotidianità.
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