Dicembre 3, 2024

Fare ricerca sul sonno. Intervista a Giulio Bernardi

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Cosa può rivelarci la ricerca scientifica sul sonno? L'abbiamo chiesto direttamente a Giulio Bernardi, che gestisce un progetto in merito!
Giulio Bernardi

Prosegue il viaggio di Antropia alla scoperta di uno dei meccanismi più affascinanti e delicati della nostra fisiologia: il sonno.
Oggi ne parliamo con un esperto, Giulio Bernardi, professore di Neuroscienze presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca, che non si limita a studiare come il sonno influenza la nostra vita quotidiana, ma anche come è possibile migliorare quest’influenza.

Giulio, per iniziare potresti raccontarci brevemente di cosa si occupa la tua ricerca?

In generale mi occupo di quello che possiamo definire «studio degli aspetti locali del sonno».
Normalmente noi pensiamo al sonno e alla veglia come a due stati separati: cioè una persona o è sveglia o è addormentata e non c’è un via di mezzo. In realtà quello che si è visto da vari studi condotti a partire dagli anni 2000, è che quando siamo svegli ci sono delle parti del nostro cervello che si addormentano: noi non ce ne accorgiamo minimamente ma queste parti del cervello vanno offline, e si pensa che questi spegnimenti siano poi la causa pratica dei nostri errori quando siamo stanchi. Dall’altra parte, in maniera speculare, quando siamo addormentati ci sono delle parti del cervello che sono più sveglie di altre e che cominciano a elaborare informazioni. Quello che abbiamo visto con uno studio, a cui ho avuto la fortuna di collaborare quando ero negli Stati Uniti, è che questi risvegli parziali del cervello sono alla base di quelli che sono i sogni. Quindi io mi occupo in generale di questo, andando dall’aspetto di sonno locale durante la veglia sino alla veglia locale durante il sonno, cercando di capire cos’è che determina questa regolazione locale, come avviene e cosa succede in alcune situazioni patologiche.

Spesso associamo il sonno a uno stato di incoscienza, ma cosa intendiamo con questo termine? Qual è il rapporto tra sonno e coscienza?

La definizione di cosa vuol dire essere o non essere coscienti è una delle cose più dibattute in ambito neuroscientifico, non c’è una definizione chiara e univoca, che vale per tutti. Molti ricercatori considerano il sonno un ottimo modello per studiare la coscienza, assumendo che quando dormiamo attraversiamo diverse fasi in cui il nostro livello di coscienza varia enormemente. Se prendiamo una persona e la svegliamo più volte durante il sonno ci accorgiamo che questa persona spesso dice che stava avendo qualche esperienza, un sogno, ma anche semplicemente un pensiero o una sensazione emotiva. Quello che si è scoperto è che la probabilità di avere qualche esperienza di qualunque tipo varia: quando il sonno è più leggero abbiamo più probabilità di avere un’esperienza, quando andiamo verso il sonno profondo cominciamo a perdere questa possibilità. Poi c’è l’eccezione del sonno REM, quello che si chiama anche sonno paradossale, che è uno stato in cui invece sogniamo quasi tutto il tempo. Quindi il sonno è uno stato ideale per studiare come si genera il pensiero, o in generale un’esperienza di tipo cosciente, proprio perché contiene un po’ di tutto, sia casi in cui la coscienza è molto ridotta,  sia casi in cui invece c’è un’esperienza molto ricca, simile a quella della veglia.

In che modo il sonno influenza le funzioni che svolgiamo ogni giorno? E come possiamo assicurarci di dormire nel modo «giusto», in modo da garantire che questa influenza sia la migliore possibile?

Il sonno ha tantissime funzioni di per sé: sappiamo che il sonno è importantissimo per la memoria e per regolare le nostre emozioni. Fermandoci sulle funzioni cerebrali, una delle più importanti è che il sonno «pulisce» letteralmente il cervello, nel senso che quando le cellule cerebrali sono attive producono una serie di sostanze di scarto che si accumulano e quindi provocano danno. Nel momento in cui dormiamo queste sostanze vengono rimosse, e questo è molto importante perché sembra che prevenga alcune malattie come l’Alzheimer.
Quindi il sonno ha tantissime funzioni, ma perché le possa svolgere è necessario che sia ottenuto in condizioni ottimali: dev’essere un sonno regolare, non disturbato da elementi esterni e dev’essere in quantità sufficiente. Il cervello ha dei meccanismi di compenso per cui se dormiamo poco questo cerca di compensare, dormendo più profondamente, però questo meccanismo ha dei limiti, e, se non dormiamo un numero di ore sufficiente, non si riesce a metterlo in atto. 
In realtà poi non conosciamo ancora bene cosa è veramente necessario per avere un sonno pienamente efficiente. Ad esempio che funzione abbia il sonno REM, quello in cui sogniamo, è un aspetto molto dibattuto. Quindi non sappiamo ancora bene dov’è il limite di quello che ci serve veramente, stiamo ancora cercando di capirlo.

Oggi si sente sempre più spesso parlare di insonnia e disturbi del sonno. Quali sono le abitudini che incidono negativamente sulla qualità del sonno e che possono causare questo tipo di problemi?

Il nostro orologio interno è regolato all’incirca sulle 24 ore, su base genetica, però per la maggior parte di noi non sono esattamente 24 ore, ma un pochino di più. Abbiamo quindi bisogno di ri-regolare ogni giorno questo orologio, perché altrimenti avremmo sonno e andremmo a letto sempre più tardi, giorno dopo giorno.
Quello che lo regola è principalmente l’esposizione alla luce, quindi già il fatto di avere le luci artificiali è un aspetto che condiziona negativamente il cervello, ed è il motivo per cui a chi soffre di insonnia si dice come prima cosa di spegnere gli schermi almeno due-tre ore prima di dormire, in modo che il cervello abbia il tempo di capire che è notte e di produrre un ormone che si chiama melatonina, che è quello che segnala al nostro organismo che è il momento di dormire.
Ci sono poi tutta una serie di altri fattori: in generale tutte quelle attività che facciamo quando siamo svegli al massimo della nostra reattività sono attività che dicono al nostro cervello «devi stare sveglio» (ad esempio l’attività fisica o le interazioni sociali) e che quindi che possono regolare questo orologio interno in maniera sbagliata.
C’è poi un altro meccanismo che regola il sonno: il bisogno di sonno omeostatico, un meccanismo per cui più tempo sto sveglio più accumulo bisogno di sonno. Quindi anche se il mio orologio interno mi sta dicendo di stare sveglio, se sono troppo stanco perché ho accumulato troppo bisogno di sonno riesco a vincere questo bisogno di sonno e riesco ad addormentarmi lo stesso…però non è un buon segno!

Tra i vari disturbi del sonno uno che colpisce particolarmente l’immaginario collettivo è il sonnambulismo. Cosa succede esattamente nella mente di una persona sonnambula?

E’ un disturbo del sonno, uno dei cosiddetti disturbi dell’arousal, di cui fanno parte anche i risvegli confusionali e i terrori notturni. Queste tre patologie sono accomunate dal fatto che si risveglia parzialmente il cervello, solo che si risveglia in modo diverso. Nel sonnambulismo in particolare, gli studi fanno vedere che si riattivano le cortecce motorie, cioè quelle che comandano il movimento. Quindi la persona si muove, interagisce con gli oggetti e con l’ambiente, ed è dovuto al fatto che alcune parti del cervello, che non sono quelle che supervisionano il comportamento, ma quelle che controllano il movimento, sono risvegliate. In realtà non sappiamo se tutti gli episodi hanno anche un’esperienza cosciente che la persona vive, e a volte non viene ricordata, oppure se in alcuni casi si attivano queste aree del cervello che regolano il movimento ma non c’è nessuna esperienza cosciente associata, è un aspetto che stiamo ancora investigando.

Il tuo nuovo progetto di ricerca si chiama «TweakDreams» che potremmo tradurre come «Regolare i Sogni». La prima immagine che viene in mente con un nome del genere, è una delle folli inquadrature di Inception in cui i protagonisti saltano da uno strato della coscienza a un altro, «viaggiando» fisicamente nel subconscio e manipolando i sogni per instillare convinzioni o idee. Lasciando da parte la fantascienza, cosa vuol dire «Regolare i sogni»? E’ possibile farlo? Se si, quali sono gli effetti che vorreste conseguire?

Sorride. Quando si fa un progetto si cerca di dargli un titolo d’effetto. In realtà quello che vogliamo fare non è tanto regolare i sogni, ma regolare l’attività del cervello. Il cervello durante il sonno è un mosaico di zone più attive e più addormentate, posso io sfruttare le tecnologie che abbiamo adesso a disposizione nel campo dello studio del sonno per decidere se voglio addormentare di più questa regione che adesso è sveglia o voglio svegliare questa regione che adesso è addormentata?
Abbiamo guardato in letteratura, abbiamo visto quelli che sono gli strumenti a disposizione, e sembra che questo sia possibile. Ovviamente questo significa che potenzialmente sarei anche in grado di modificare i sogni, perché i sogni sono il prodotto di una riattivazione del cervello e a quel punto avremmo uno strumento che ci permette di giocare con i sogni, di provare a modificarli e a vedere che succedere, e quindi capire meglio a cosa servono.

Quindi avrebbe sicuramente uno scopo ai fini della ricerca, ma può avere anche uno scopo terapeutico, per esempio rispetto ai disturbi di cui parlavi prima?

Si, nel senso che ci sono una serie di patologie, come quelle che dicevo prima, che dipendono da fenomeni di risveglio locale, però queste sono condizioni abbastanza estreme. A livello un po’ meno estremo ci sono una serie di patologie in cui sappiamo che il sonno funziona meno bene di quello che dovrebbe e un esempio potrebbe essere quella che si chiama insonnia paradossale: un fenomeno dovuto al fatto che in certe persone alcune parti del cervello non si addormentano a sufficienza. Un’idea dello studio è quella di provare a correggere quest’errore, per vedere se in questo modo la qualità del sonno migliora. Poi ci sono tutta una serie di patologie in cui adesso sappiamo che il sonno si altera in maniera locale e fra queste ci sono ad esempio anche i disturbi depressivi e l’Alzheimer.
Quindi le possibili applicazioni diventano molte e, nel momento in cui saremo veramente in grado di farlo, diventa pensabile provare ad applicare questo metodo per vedere se possiamo aiutare queste persone.

Ricordiamo che il tuo progetto di ricerca si è aggiudicato un cospicuo fondo (1,5 milioni) stanziato dall’European Research Council. Questo tipo di fondi è molto difficile da ottenere (è stato assegnato solo al 13% dei candidati totali, che erano oltre 4000), e come si legge sul sito ufficiale vengono assegnati a progetti che «possono determinare nuove e imprevedibili scoperte scientifiche e tecnologiche – il tipo che può formare la base di nuove industrie, mercati e più ampie innovazioni sociali nel futuro». Con la vostra ricerca sperate di poter comportare un’innovazione di questo tipo?

La speranza è quella ovviamente. I revisori che hanno valutato questo progetto hanno scritto «secondo noi non ci riuscirete, però se ci riuscite ci sono delle implicazioni importantissime».
In un certo senso è un po’ una rivoluzione simile a quella che uno può pensare per lo studio della genetica (se funziona, ovviamente): il vantaggio dell’editing genetico è che io posso modificare un gene direttamente e vedere che effetto ha una volta modificato. In un certo senso, qui è lo stesso: io posso modificare il sonno andando a prendere di mira una certa regione del cervello e vedere che effetto ha su tutta una serie di fattori. Questo potenzialmente può portare a un grosso beneficio dal punto di vista sia della ricerca di base sia della ricerca clinica. Ovviamente, come hanno detto i revisori, bisogna vedere se funziona, però vale la pena provare…questo è quello su cui siamo stati tutti d’accordo.

Rimanendo in materia di fondi europei, sono stati premiati ben 53 progetti presentati da ricercatori italiani. Di questi solo 21 saranno svolti in Italia, tra cui il tuo. Dal momento che tu stesso hai fatto ricerca per diversi anni all’estero (prima negli Stati Uniti e poi in Svizzera), a cosa pensi che sia dovuto questo divario? È vero che in Italia è difficile fare ricerca?

Ogni anno quando escono i risultati di questi grants si ritrova questo fenomeno, che è abbastanza unico a livello europeo: ovviamente non tutti i tedeschi che vincono il progetto poi lo fanno in Germania, però quello che succede negli altri paesi è che un gran numero di stranieri va a svolgere il proprio progetto lì, quindi alla fine il numero complessivo di progetti svolti in questi paesi è simile, o addirittura superiore, al numero di persone di quel paese che ne hanno vinto uno. Il problema principale in Italia forse è non tanto il fatto che gli italiani svolgono i loro progetti all’estero, quanto il fatto che l’Italia risulta assolutamente non attrattiva nei confronti degli stranieri.
Questo scambio iniquo ci penalizza tantissimo, perché alla fine, mettendola in termini pratici, perdiamo soldi: ognuno di questi grants vale un milione e mezzo/due milioni e mezzo e averne venti-trenta che entrano ogni anno dall’estero sono tanti soldi, un grossissimo beneficio per la ricerca.
Penso che sia un problema grosso, che riflette delle problematiche ampie, a vari livelli. Per esempio a livello burocratico, per fare un progetto in Italia bisogna contrastare tutta una serie di limitazioni che non troviamo negli Stati Uniti o in Svizzera. Inoltre all’estero c’è un grosso supporto della ricerca anche a livello delle istituzioni, che in Italia spesso invece manca o non è comunque sufficiente.
Io sono stato decisamente fortunato, sono riuscito comunque a fare il mio periodo all’estero e poi a trovare uno sbocco qui, però mi rendo conto che non è facile e che ci sono tantissimi che non riescono a farlo. Da una parte c’è quasi una paura di alcuni ad andare all’estero, perché poi sai che rischi di non tornare più, quindi vedo tante persone che non lo fanno e tante che lo fanno ma poi non riescono più a tornare.

Per chiudere ti chiederei di consigliare una o più letture a chi voglia approcciarsi in maniera divulgativa alla scienza del sonno.

Sicuramente un libro che mi sento di consigliare è Perchè Dormiamo di Matthew Walker, uno dei più famosi ricercatori sul sonno. Nel libro c’è un’analisi di “quanti soldi costa dormire poco”: quanto costa alle aziende, quando costa alle persona, quanto costa agli stati. È molto interessante, e a volte l’ho riportata anche parlando con persone di altri campi, perché questi sono numeri, che aiutano ad avere vedere un’idea chiara di tutti i motivi per cui è importante dormire piuttosto che perdere ore di sonno.

Ringraziamo Giulio per l’interessante chiacchierata e speriamo di leggere presto dei successi del suo progetto. Nel frattempo, non ci resta che dormire sonni tranquilli, stando attenti a farlo nel modo giusto!

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