I buchi neri: laboratori naturali
5 min readConfermata la loro esistenza nel 2019 grazie all’Event Horizon Telescope, i buchi neri sono da sempre stati, fin dal momento della loro formulazione teorica nella Relatività Generale, oggetto di enormi domande, stupore e scetticismo; anche Einstein, padre della Relatività Generale, era dubbioso della loro effettiva esistenza. In tale teoria, infatti, questi oggetti assumono comportamenti molto bizzarri e creano non pochi problemi dal punto di vista matematico. Infatti, a essi spesso ci si rivolge con il termine “singolarità”.
Ma che cosa è un buco nero? Con questo termine indichiamo una regione dello spaziotempo nella quale è presente una densità di massa tale che nemmeno la luce riesce a scappare dalla sua attrazione gravitazionale. Tale regione è delimitata da quello che viene chiamato “orizzonte degli eventi”, una superficie che segna il confine tra l’interno e l’esterno del buco nero. Chiunque si trovi al suo esterno, astronauta o raggio di luce che sia, può decidere, anche se attratto dalla forza gravitazionale, di oltrepassare tale orizzonte o di allontanarsene.
Chiunque si trovi, invece, all’interno del buco nero, verrà condotto senza possibilità di opporre resistenza verso il suo centro, verso la singolarità.
Questi oggetti, che nella maggior parte dei casi possiamo rappresentare come sfere, hanno dimensioni legate alla loro massa e il loro raggio è chiamato raggio di Schwarzschild, in riferimento al buco nero “più semplice” che possiamo incontrare, quello originato da una semplice massa M priva di carica elettrica e in assenza di rotazione.
Come la deviazione delle orbite della luce può creare effetti ottici illusori, anche i buchi neri sono protagonisti di alcuni comportamenti bizzarri. Uno tra i tanti è il seguente: un osservatore A esterno a un buco nero può, senza alcun tipo di impedimento, procedere verso l’orizzonte degli eventi e attraversarlo fino a raggiungere la singolarità. Tuttavia se questo suo viaggio fosse osservato da un altro osservatore B fermo ed esterno al buco nero, questo non vedrebbe mai A oltrepassare l’orizzonte degli eventi ma solo avvicinarsi a esso sempre più lentamente. A cosa è dovuto questo paradosso? L’orizzonte è un luogo sul quale la luce ormai non può tornare indietro, può restare ferma o entrare, quindi la luce che mi farebbe vedere A stare con i piedi sulla soglia del buco nero, ovvero sull’orizzonte, non può arrivare al mio occhio e l’ultimo raggio luminoso che arriva a B è quello di A ancora un attimo fuori. In realtà, questo non è un paradosso fisico: si è scoperto che il problema nasce dalla scelta delle coordinate che B utilizza per vedere A. Queste non sono adatte a descrivere un fenomeno tanto estremo come quello che riguarda il passaggio dentro all’orizzonte.
Un fiume che non si può risalire
Per comprendere meglio ciò che succede sull’orizzonte, immaginiamo un pesce che segua la corrente di un fiume: se il pesce può nuotare a una velocità V1 più grande di quella dell’acqua del fiume, è sempre capace di risalirne la corrente. La regione dopo l’orizzonte è una parte di fiume dove la velocità dell’acqua V2 è più grande di quella del pesce, V2>V1, per cui anche se questo si girasse per risalirne la corrente, non potrebbe più vincerne la forza trascinante.
Se la velocità del fiume V2 è maggiore della velocità del pesce V1, come dopo l’orizzonte degli eventi, il pesce non può più opporre il suo moto a quella della corrente e non potrà uscire dall’orizzonte
Estrarre energia da un buco nero
Una soluzione delle equazioni di Einstein, che descrive un buco nero rotante, fu scoperta nel 1963 da Roy Kerr. La peculiarità di questi buchi neri è quella di essere circondati, nella parte esterna dell’orizzonte, da una regione chiamata ergosfera. In questa regione, che non è presente attorno ai buchi neri di Schwarzschild, non è possibile stare fermi: è possibile combattere la attrazione verso l’orizzonte ma si è obbligati a co-ruotare con il movimento del buco nero. Questo fenomeno è alla base del cosiddetto “Processo di Penrose” che permetterebbe di estrarre energia dai buchi neri.
Se immaginiamo una particella che proviene da lontano, di energia E1, una volta arrivata nella ergosfera, può decadere in due particelle, una di energia negativa -E2 e un’altra di energia positiva E1+E2; possiamo verificare che la somma delle energie delle due particelle figlie è pari alla energia della particella madre. Se la particella di energia E1+E2 si allontana dal buco nero, cosa che può fare in quanto è in una regione esterna all’orizzonte, avremmo estratto della energia a spese del buco nero che trova la sua energia diminuita, a causa della presenza della particella di energia negativa -E2. C’è un limite a questo processo, infatti la parte di energia che si può estrarre è solo una parte di quella totale del buco nero, a forza di estrarre energia ad un certo punto la ergosfera scomparirebbe rendendo impossibile continuare tale operazione.
A quanto detto finora, sembra quindi che nulla possa uscire da questi micidiali e misteriosi oggetti. In verità c’è una possibilità. Sull’orizzonte stesso è possibile che si creino, da perturbazioni del vuoto, coppie di particelle e antiparticelle: una delle due con energia positiva e direzione verso l’esterno, l’altra con energia negativa e direzione verso l’interno. Tutte queste particelle che si allontanano dall’orizzonte costituiscono la famosa Radiazione di Hawking, la cui controparte di energia negativa, procedendo verso l’interno del buco nero, contribuisce ad abbassarne l’energia portandolo alla evaporazione.
Questi sono solo alcuni dei fenomeni che, grazie alla natura estrema di questi luoghi dell’universo, permettono agli scienziati di combinare i risultati della Relatività Generale e della Meccanica Quantistica; sono dei laboratori dai quali, studiando misteri così profondi e affascinanti, è difficile uscire.
Fonti:
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Ergosphere_of_a_rotating_black_hole.svg
Sono Antonio Sandroni, laureato in Fisica Teorica all’università di Bologna. Attualmente lavoro in una società di Marketing e comunicazione ma la mia vera occupazione è camminare sui ponti che collegano il sapere tecnico-scientifico a quello umanistico, esplorando l’universo tramite la fisica, la poesia e la letteratura, le quali sono vele dello stesso vascello che naviga l’Universo. “Non entri qui chi non è geometra” diceva Platone, perché tutto il sapere è volto a conoscere la geometria e la direzione del cosmo.