I riti di passaggio : modernità ancestrale
3 min readIl concetto venne usato per la prima volta dall’etnologo e studioso del folklore Arnold Van Gennep, che lo sviluppò in un suo lavoro, I riti di passaggio (1909). Secondo la sua definizione, per altro fin troppo ampia e a volte criticata, questi riti accompagnano i cambiamenti di statuto, di età, di occupazione, di luogo e segnano le stagioni e le diverse fasi cicliche del calendario, dunque la nascita, la pubertà, il matrimonio e la morte.
Ciascuno di questi eventi rappresenta le fratture e le discontinuità che si producono lungo il corso temporale e sociale dell’esistenza.
Quindi un rito di passaggio può essere definito come “un atto simbolico che permette di affrontare queste cesure e transizioni attraverso una gestione sociale dell’angoscia che ne deriva e una loro rappresentazione ad uso della collettività”. Un rito di passaggio è tale quando vengono rispettate alcune importanti formule : la presenza di un officiante, il riconoscimento da parte della società che assiste, la percezione di cesura di chi vi prende parte.
Se nei paesi del continente asiatico ,sudamericano ma soprattutto africano, questi ritiri sono ancora parte integrante della vita di comunità, spesso intrecciandosi con la religione, anzi frequentemente inglobati da alcuni sistemi religiosi in modo indissolubile; in Europa già dall’inizio del XX secolo si è assistito ad un sostanziale ridimensionamento se non addirittura alla scomparsa o meglio allo svuotamento delle motivazioni per cui un determinato passaggio rappresentasse una discontinuità o una divisione con la realtà immediatamente precedente, possiamo pertanto parlare di una evoluzione non di una vera scomparsa.
Numerosi orientamenti indicano questa evoluzione, si pensi a feste e celebrazioni profane legate a un calendario desacralizzato (carnevale, commemorazioni, festival) o alle tappe della vita professionale.
I riti che possiamo definire contemporanei sottolineano l’ingresso in gruppi particolari oppure l’accesso a una nuova tappa di un percorso formativo, in ambito professionale piuttosto che un momento di passaggio quasi naturale. Tra i rituali più recenti figurano il piantare un albero alla nascita di un bambino, i piccoli festeggiamenti che accompagnano il primo giorno di scuola o anche l’ultimo indipendentemente dal grado o ancora il pensionamento. Dal punto di vista antropologico non possiamo ignorare il matrimonio che consegna alla società una “famiglia” e anche dei potenziali genitori.
Non meno importante è il compimento dei 18 anni, questo limite infatti è posto indifferentemente dalle varianti dovute ad esperienze personali o capacità fisiche.
Se volessimo dare un occhio più attento al nostro paese, uno degli ultimi riti di passaggio era la leva obbligatoria dismessa nel 2005 : il ragazzo tornava dalle famiglie come un uomo fatto e formato pronto ad entrare nel mondo degli adulti.
Dunque analizzando i dati la sola vera cesura che permane nella società moderna pare essere il passaggio da giovane ad adulto. Tuttavia si nota la marcata tendenza a non arrivare ad una rottura con la dimensione familiare dovuto all’allungamento della vita e all’immobilità forzata dei giovani; si arriva infatti ad avere una convivenza estesa fra varie generazioni nello stesso nucleo familiare e questo però può portare ad esiti estremi che trascinano a volte i giovani verso la creazione di “riti” autonomi spesso pericolosi: train surfing, stalking, challenge estreme, ecc.
Si tratta di forme autonome e private in cui manca il ruolo officiante della società, che è presenza necessaria per la classica forma del rituale.
Se questo da una parte depaupera il rito stesso dall’altra non toglie ad esso il senso per chi vi partecipa.
Non è dunque possibile parlare di una fine dei riti di passaggio.
Nella società postindustriale, come dice Pierre Centlivres , in cui domina l’individualismo, la disgregazione delle appartenenze identitarie si muove in parallelo a un accresciuto bisogno di rituali, spesso eseguiti al di fuori del quadro istituzionale delle Chiese e delle collettività politiche.
Mi sono laureata in Lettere con indirizzo antropologico-geografico presso l’Università di Salerno. Ho conseguito due master: in Marketing presso lo IED di Milano e in Logistica Internazionale presso l’Università di Firenze. Ho fatto della Antropologia e della Etnografia una passione ed un lavoro. Attualmente sono docente di italiano nella scuola secondaria di primo grado, occupandomi di antropologia sociale e culturale della preadolescenza. Leggere è la mia passione, scrivere il mio impulso irrefrenabile.
Interessantissimo grazie