Il mondo del lavoro post Covid-19: il contributo dell’IA
5 min readL’emergenza Covid-19 ha messo in ginocchio l’economia mondiale costringendo i vari paesi a prendere delle misure drastiche per mettere al primo posto la salute del popolo.
Nessun settore è stato risparmiato e l’uomo non ha esitato a mettere in campo il suo più importante arsenale tecnologico per contrastare il virus. Durante l’emergenza le macchine dotate di intelligenza artificiale sono state d’aiuto e di supporto in molti settori, in particolare quello della salute: sono stati utilizzati robot per ridurre le interazioni tra il personale sanitario e le persone infette, per velocizzare le diagnosi dei pazienti ma anche per tenere gli ambienti sanitari sterili.
Anche DeepMind, un’impresa britannica di intelligenza artificiale, ha dato il suo contributo per sviluppare e combinare farmaci. In particolare ha utilizzato algoritmi IA per comprendere quali siano le proteine che potrebbero costituire il virus e ha pubblicato i risultati per aiutare gli altri a sviluppare idonei trattamenti. Ma non è tutto. Pensiamo anche ai droni che sono stati utilizzati in alcuni paesi per controllare gli spazi pubblici e all’imaging termico per poter rilevare a distanza la temperatura corporea delle persone ed eventuali sintomi.
La tecnologia fa passi da gigante, è in costante miglioramento e il suo contributo nella società è di indiscutibile importanza, ma c’è un’altra faccia della medaglia da tenere in considerazione: durante l’emergenza globale il settore economico e quello lavorativo sono stati colpiti duramente lasciando a casa milioni di lavoratori.
Quindi, in un futuro prossimo, considerando gli avvenimenti attuali e tenendo conto dell’ascesa tecnologica, come sarà possibile ridare il lavoro a coloro che l’hanno perso senza dover essere sostituiti da qualche robot? A causa dell’emergenza molte aziende sono state costrette a chiudere o a ridurre al minimo la propria attività lasciando molti dipendenti in cassa integrazione o addirittura senza lavoro.
Lo scenario che si prospetta nell’”era post- Covid” prevede il rientro di gran parte di questi lavoratori. Ma cosa succede se un’azienda in espansione ha recentemente investito nell’uso dei robot e attualmente si trova con le mani legate senza poter pagare altri lavoratori umani?
Recentemente è già stato dimostrato che un aumento dell’uso dei robot nell’industria, in un arco di 5 anni, ha portato a un calo del 3,2% dell’occupazione a livello di settore. Tendenzialmente, infatti, una volta che una società investe in un robot, è improbabile che l’azienda decida di ricoprire nuovamente quel ruolo con un lavoratore umano, per due motivi: l’investimento tecnologico potrà anche costare molto ma, nel lungo periodo, un robot costa meno di un lavoratore umano e, in secondo luogo, un investimento di questo genere rappresenta la carta vincente per restare competitivi sul mercato.
Pertanto l’unica soluzione plausibile sembra ricadere sulla necessità di creare un nuovo concetto di lavoro che sia in grado di proteggere i lavoratori al fine di stimolare l’economia e l’occupazione.
In questo caso la storia ci insegna: già in passato è capitato che le aziende che facessero mosse audaci in periodi difficili ne traessero giovamento trasformando le avversità in vantaggio. Basti pensare all’epidemia SARS alla quale viene attribuita la nascita dell’e-commerce, all’apprendimento automatico e all’analisi avanzata dei dati che ha aiutato e continuerà ad aiutare le aziende a rilevare nuovi modelli di consumo.
Un altro punto fondamentale da non trascurare è il concetto di “lavoro”. Il lavoro non è solo l’attività materiale o intellettuale grazie alla quale si producono beni o servizi, in cambio di una retribuzione, ma, nel senso più esteso, è anche un luogo al quale sono legati degli affetti e delle emozioni.
Con l’utilizzo di “macchine intelligenti” e con la nascita delle nuove professioni che possono essere svolte da casa, il numero di persone che lavoreranno da remoto aumenterà e il nostro “lavoro” sarà “casa” o qualsiasi altro posto che ci consentirà di produrre beni e servizi. Purtroppo, però, ad aumentare sarà anche il numero di disoccupati.
Secondo lo studio “Robots and Jobs: Evidence from US Labor Markets”, pubblicato da Daron Acemoglu del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e Pascual Restrepo della Boston University sul Journal of Political Economy, si dimostra che, negli Usa, l’aggiunta di un robot ogni 1.000 lavoratori ha ridotto il rapporto nazionale occupazione-popolazione di circa lo 0,2%. Ciò vuol dire che ogni robot in più aggiunto nella produzione ha sostituito, in media, 3,3 lavoratori a livello nazionale e allo stesso tempo ha ridotto i salari di circa lo 0,4%.
Quindi, secondo ciò che abbiamo detto fino ad ora, ci ritroviamo con l’occupazione a rischio a causa dell’avanzamento tecnologico. Questo è vero ma fino ad un certo punto. La domanda che dobbiamo porci è: il mio lavoro può essere sostituito?
Questa è una delle domande chiave perché è vero che i robot sanno essere più produttivi ed efficienti dei lavoratori umani ma non tutti possono occupare le posizioni lavorative esistenti.
La tecnologia moderna colpisce diversi lavoratori e in modi diversi: i più a rischio sono i blue collars, cioè quei lavoratori che hanno mansioni manuali, come gli operai, o impiegati che hanno un tipo di attività lavorativa ordinaria che può essere perfettamente sostituita da un robot. Invece, i white collars – designer, ingegneri – diventano più produttivi grazie a software sofisticati e quindi per loro la tecnologia diventa un aiuto per migliorare la loro attività.
Da questa situazione si deduce, quindi, che il panorama economico globale sta cambiando a partire dallo spostamento dei modelli di consumo fino alla modalità lavorativa ed il progresso tecnologico è inarrestabile. Tuttavia questo potrebbe rappresentare uno stimolo positivo per il miglioramento della nostra creatività, in particolare per quelle categorie di lavoratori più a rischio, al fine di potersi sempre reinventare ed, inoltre, potrebbe essere d’aiuto, questa volta per entrambe le categorie ( white collars e blue collars), per farci avvicinare a quei modelli lavorativi come quello finlandese o svedese dove è possibile mantenere una propria “work-life balance” grazie alla flessibilità lavorativa che , in questo caso, un robot potrebbe garantirci. In questo modo le ore lavorative per i lavoratori verranno ridotte senza che l’azienda perda punti in tema di produzione e qualità e senza licenziamenti.
Il progresso tecnologico, già in passato, ha cambiato vari settori e continuerà a cambiarli. L’emergenza Covid non è altro che l’ennesima sfida a cui veniamo sottoposti. L’unica cosa che il mondo può fare è trarne vantaggio affidandosi anche al settore dell’Hi – Tech e poi, chissà, magari proprio come nel caso della SARS, questo potrà essere davvero l’inizio di una nuova era lavorativa nella quale i robot saranno sempre più abili e l’uomo potrà finalmente raggiungere la propria “work-life balance” sempre sognata.
Sono Federica e sono laureata in scienze della mediazione linguistica in inglese, tedesco e cinese. Attualmente studio “European Public Administration” in Germania e in Francia. Sono appassionata di attualità, lingue, viaggi e innovazione tecnologica. Sono sempre alla scoperta di nuove culture e meccanismi socio-culturali. Adoro confrontarmi e condividere il sapere.
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