Il mondo e la complessità- parte 4
6 min readi sistemi complessi e come cambia il mondo
Eccoci finalmente giunti all’ultima parte del nostro viaggio nel mondo della complessità! Nella puntata precedente (il-mondo-e-la-complessita-parte-3) abbiamo accennato ad alcune delle manifestazioni caratteristiche di un sistema complesso. Porre la nostra attenzione a questo tipo di dinamiche ci è utile per “allenare lo sguardo” di fronte ad un mondo in rapido cambiamento. Ed infatti il tema da cui siamo partiti per questo nostro lungo viaggio è proprio questo: il cambiamento.
Ritorniamo li.
Quando immaginiamo un cambiamento che si può verificare nel futuro, il nostro cervello è più propenso a pensarlo in termini lineari. Cosa voglio dire? Ad esempio, mi metto a dieta e programmo di perdere un kilo alla settimana: la prima settimana ho perso un chilo, la seconda due, la terza tre e così via, se sono abbastanza bravo… la progressione è lineare: 1, 2, 3 (idealmente). Ci risulta molto più naturale confrontarci con i cambiamenti che si verificano in questi termini, perché il nostro cervello, di preferenza, se li immagina così.
La realtà però spesso è diversa. Come appena detto, i sistemi complessi evolvono, in condizioni ottimali, secondo un andamento esponenziale e questo, inevitabilmente, si scontra con le nostre aspettative, mettendoci a disagio. Percepiamo il fenomeno come un imprevisto, quando in fondo non lo è, perché è solo la nostra aspettativa che lo rende tale.
Ovviamente in certi casi l’effetto sorpresa piò essere motivo di meraviglia: come nel caso dell’evoluzione tecnologica a cui l’uomo ha assistito negli ultimi seicento anni.
Ecco quindi l’importanza di “allenare o sguardo” per saper cogliere e leggere correttamente questi segnali; ma su questo torneremo a breve. Prima vorrei ricapitolare alcuni concetti che ci possono aiutare a distinguere ciò che è complicato (modo di vedere usuale) da ciò che è complesso.
Partiamo da qui: Quanti elementi possono essere contenuti in un sistema complicato? Da pochi a molti. E un sistema complesso? Solo da molti.
Cosa possiamo dire sul tipo di elementi che sono presenti nei due sistemi? Un sistema complicato è composto da un insieme di elementi semplici. Un aereo è composto di lamiere, cavi elettrici, ecc. Certamente anche componenti molto sofisticati, come le turbine per la propulsione, ma anche queste sono scomponibili in elementi molto più semplici: in pratica leghe di metallo, circuiti stampati ecc.
Un sistema complesso è costituito a sua volta da elementi che sono complessi: ogni singolo uomo o donna che abitano la nostra società è un sistema complesso.
E quali relazioni esistono tra gli elementi dei singoli sistemi? Nei complicati, le relazioni sono lineari. Tornando all’aereo, ogni singolo sistema, radar, motori, stabilizzatori di volo, ha il suo schema di funzionamento e di interazione con gli altri sistemi. Come abbiamo visto invece, i sistemi complessi non seguono logiche lineari e spesso evolvono in modo imprevisto. Ne deriva che se i sistemi complicati sono altamente prevedibili, (altrimenti chi si fiderebbe più a montare su un aereo!?!?) quelli complessi non lo sono per niente; pensate a quanto possono essere poco affidabili, nel medio periodo, le previsioni meteo.
Pensate che un aeroplano si possa trasformare in qualcos’altro? Non credo, infatti i sistemi complicati non hanno capacità di evolversi. Qualcuno potrebbe obiettare che esistono sistemi che auto-apprendono: software ad esempio. Bisogna chiarire che questa capacità è abilitata da un algoritmo e quindi limitata dagli stessi limiti che l’algoritmo impone. In parole semplici, la macchina sceglie di auto-apprendere perché glielo ha permesso il programmatore, in base ad uno schema ben definito; non c’è una vera autonomia di scelta.
I sistemi complessi hanno questa autonomia, anzi possiamo dire che sono naturalmente soggetti ad una spinta evolutiva (pensiamo ai sistemi biologici ad esempio).
Per quanto detto negli ultimi due punti, è evidente che mentre i sistemi complicati sono altamente controllabili, visto che in genere è l’uomo che li ha progettati, quelli complessi non lo sono per niente o minimamente.
Continuiamo. I sistemi complicati, in genere, sono caratterizzati da connessioni in serie, tra gli elementi, in quanto seguono un logica lineare. Vi ricordate l’esempio della catena di montaggio, che abbiamo visto nella scorsa puntata? In genere, la ridondanza dei processi è limitata. Chi ricorda l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima in Giappone? Essenzialmente si è trattato di un problema di ridondanza dei sistemi di sicurezza: le barriere protettive anti-tsunami erano state progettate per contenere eventi che andavano oltre l’immaginabile; il giorno dell’incidente, si verificò qualcosa che superò l’immaginazione. La ridondanza nei sistemi complicati è progettata dall’uomo, è artificiale e quindi vincolata da parametri che impone l’uomo stesso.
Per i sistemi complessi invece la storia è diversa. Questi sistemi sono naturalmente ridondanti. Pensate al sistema economico di un paese. Tanti soggetti economici che operano in settori distinti. Alcuni possono essere in relazione l’uno con l’altro, altri no. Il fallimento di un’azienda può trascinare alla rovina altri soggetti, ma può anche giovare ad un’altra azienda. Il declino di un settore può avvenire a causa dell’emergere di un settore totalmente nuovo, seguendo le stesse leggi che regolano l’evoluzione dei sistemi biologici. Vi ricordate, qualche decennio fa i leader di mercato nel settore delle macchine da scrivere? Tutti scomparsi o riconvertiti nel giro di qualche anno a causa dell’avvento del personal computer. Questo è il mondo della complessità!
Torniamo quindi alla metafora che ho usato già più volte. Nella prima parte di cammino che abbiamo fatto insieme, vi ho detto che vi avrei fatto fare un po’ di ginnastica oculare per imparare a ri-focalizzare lo sguardo su una realtà che è profondamente cambiata, ma che noi continuiamo a guardare utilizzando le stesse abitudini collettive di pensiero.
Vi ho anche detto che questa dissonanza che, abbiamo visto, in parte accompagna l’uomo da millenni, oggi è molto più accentuata per il cambiamento radicale, abbiamo visto esponenziale, che sta investendo la nostra società.
L’essere umano quando non riesce a dare un senso agli eventi che lo circondano prova disagio. Una delle filosofie più antiche che ha investigato l’ambito della sofferenza umana è, senza dubbio, quella buddista.
Per la filosofia buddista, la sofferenza nasce da: “una qualsiasi emozione che disturbi la pace mentale della persone che la prova”. In pratica non è quello che viviamo in se e per a generare sofferenza, perché la sofferenza nasce principalmente nei nostri processi di pensiero.
Ciò che il buddismo aveva intuito millenni fa, oggi è ampiamente accettato anche da buona parte della psicologia.
E’ quindi il cattivo uso del pensiero, o meglio un uso non funzionale, che genera in noi disagio. Ma quali sono questi cattivi processi di pensiero? Il buddismo ne elenca parecchi. In questa sede ne menzionerò solo alcuni.
I primi due sono quelli più conosciuti: bramosia ed avversione, ovvero attaccarsi alle cose o agli eventi; in altre parole, non accettare che tutto cambia continuamente. Viviamo costantemente nell’illusione che si possa raggiungere nella nostra vita una qualche forma di equilibrio stabile, quando questo equilibrio, nella realtà è più simile ad un equilibrio dinamico. Un po’ come un aereo in volo. Al passeggero sembra che tutto sia quasi immobile, nella realtà i sistemi di stabilizzazione sono continuamente impegnati a correggere assetti e rotta.
La sofferenza però nasce anche dal non comprendere l’essenza delle cose. E’ il motivo per cui vi ho proposto questo viaggio. Continuando ad utilizzare le nostre vecchie abitudini collettive di pensiero, proviamo a leggere la realtà utilizzando modelli che non sono più funzionali; lo riscontriamo nelle nostre relazioni, nel mondo del lavoro, nella perenne crisi economica con cui conviviamo in questi ultimi anni, che è principalmente una crisi di modelli oltre che di valori.
Ovviamente qual’ è, secondo il buddismo, una concausa di tale malessere? La pigrizia. Mettere in discussione le nostre certezze ci costa fatica. E’ quello che gli psicologi chiamano: uscire dalla nostra zona di comfort. La società attuale ci chiede di imparare ad allargare sempre più questa zona di comfort, fino ad includere territori più ampi del nostro essere. Evolvere vuol dire anche questo.
Quelli, poi, che si opporranno al corso degli eventi solo per orgoglio, probabilmente saranno i primi ad esserne travolti. Il mondo della complessità ci insegna anche questo.
Ricordate! Come ebbe a dire un secolo e mezzo fa in tipo di nome Darwin:
“Non è la più forte della specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.“
Conoscere serve proprio a questo.
Mi piace definirmi un ingegnere umanista. Ho una laurea in ingegneria meccanica ad indirizzo gestionale, ma la mia vera passione è l’essere umano, la mia filosofia di vita: “uomo conosci te stesso”. Osservo, studio, sperimento, condivido, perché come disse un tizio: “poter condividere è poesia nella prosa della vita” (S. Freud)