Il più piccolo mattone: i preoni e la ricerca oltre il quark
6 min readDai primi anni di scuola ci viene insegnato che la struttura in cui è organizzata la materia, composta da elettroni, protoni e neutroni è l’atomo, dal greco: “indivisibile”. Già in poche righe è evidente una contraddizione: ciò che viene descritto come indivisibile è in realtà costituito da sotto-strutture che con le loro proprietà ne definiscono il comportamento. Implicitamente, infatti, ciò che si insegna è la storia di un errore umano, nato dall’assunzione di una verità conclusa da fatti intrinsecamente limitati dalla capacità di analisi. Il linguaggio non si è evoluto insieme alla nozione della parola stessa diventando obsoleta per il suo scopo. Questa parola resta comunque lì, tra le pagine del vocabolario, a ricordarci di non trarre conclusioni affrettate. Un risultato va sempre ben espresso: misura, errore e conclusione. Ciò nonostante, spesso, per amor di semplificazione, si tende a saltare i primi due passi, rimanendo con delle conclusioni che se non ben accurate possono portare ad “additare” come elementare ciò che in realtà nasconde in sé altri piccoli componenti. In questo scenario appare quindi opportuno chiedersi se i quark rappresentino o meno gli elementi fondamentali della materia, i costituenti elementari di tutto, o se anch’essi nascondano al loro interno delle sotto-strutture da scoprire.
Storia delle sotto-strutture
Siamo a cavallo tra Ottocento e Novecento quando Thompson scoprì l’elettrone, Rutherford il protone e qualche anno dopo Chadwick dimostrò l’esistenza del neutrone.
Questi esaltanti risultati ed il progredire della tecnologia motivano l’inizio di una vera e propria caccia alle particelle in ricerche ai ciclotroni, camere a bolle e protosincrotroni (sincrotroni per protoni). Durante gli anni 50 e 60 le scoperte di nuove particelle si susseguivano ferocemente, inondando sperimentali e teorici che accatastavano in lunghe e complesse tabelle un insieme confuso di particelle dai nomi sempre più fantasiosi (π, K, Λ, Ξ , … ). Il mondo particellare si dimostra più ricco e variegato di quanto aspettato, tanto da dover mettere in ordine questo insieme di elementi che avevano ancora molto da rivelare, nascondendo al proprio interno i quark.
L’ipotesi dei quark, come particelle elementari costituenti gli adroni (particelle dalla massa media), è stata formulata all’inizio degli anni Sessanta indipendentemente da Murray Gell-Mann, Yuval Ne’eman e George Zweig. In questa ipotesi i mesoni sono costituiti da un doppietto quark-antiquark mentre i barioni da tripletti di quark. La teoria riconduce il gran numero di adroni a stati legati di particelle elementari (eccitati e non) e tutto assume un ordinamento.
L’introduzione dei quark nel modello da vita a quello che oggi chiamiamo “Modello Standard” le cui previsioni sono state in larga parte dimostrate sperimentalmente. I quark insieme ai leptoni (elettroni, tauoni, muoni ed i rispettivi neutrini) sono dei fermioni (particelle dallo spin semintero) e sono i costituenti della materia. Suddividiamo i fermioni in tre famiglie ciascuna delle quali include quattro membri. La famiglia più leggera, ad esempio, è costituita dal neutrino elettronico, l’elettrone, il quark “up” (u) ed il quark “down” (d ). Le altre due famiglie sono progressivamente costituite da elementi più massivi. L’universo è quindi costituito da tre famiglie di fermioni ma il perchè siano tre e non quattro o ancor di più resta un quesito aperto.
Eppure tra particelle, antiparticelle, cariche di colore, bosoni vettori e neutrini esotici il modello racchiude in sé ben 56 particelle fondamentali. In pratica inizia a mostrare gli stessi sintomi visti in precedenza: un’esplosione demografica che poco si accorda con le dottrine storiche filosofiche che tendono a limitare i costituenti basilari della materia.
Da qui, l’ipotesi che quelle che nel modello standard identifichiamo come particelle elementari non lo siano affatto e siano uno stato legato di mattoncini ancor più piccoli che costituiscono la materia. Il primo modello che include una sotto-struttura dei quark è stato formulato negli anni settanta dall’indiano Jogesh-Pati che introdusse i preoni. Esattamente come i quark compongono gli adroni, i preoni compongono i quark definendo le loro proprietà come il colore, massa o carica. In piena analogia con quanto descritto in precedenza, lo stato composto può essere eccitato, il che spiegherebbe elegantemente l’esistenza delle tre famiglie. Il muone ed il tauone sarebbero uno stato eccitato dei componenti dell’elettrone come i quark s e c lo sarebbero del quark d.
Dalla teoria alla pratica
Nel tempo sono stati avanzati altri modelli che includono delle sotto-strutture di quelle che attualmentesono definiti come particelle elementari, tutti accumunati dalla necessità di includere nella descrizione come questi stati legati restino tali. Va quindi introdotta una nuova forza attrattiva che assuma questo arduo compito. Nel modello a preoni questo ruolo è assunto dalla forza attrattiva di ipercolore, mediata dagli ipergluoni. L’introduzione di una nuova forza può sembrare una complicazione di un modello nato per semplificare, ma la forza debole a breve raggio d’azione potrebbe essere in realtà un caso specifico di forza di ipercolore e le particelle Z, W+, W0, W− (mediatori della forza elettrodebole) potrebbero essere composte anch’esse da preoni. Con quest’ipotesi le forze fondamentali resterebbero quattro: gravità, elettromagnetica, forte e di ipercolore.
La formulazione della teoria delle stringhe ha portato la teoria dei preoni ad essere sempre più screditata superando l’ipotesi di una natura particellare dello stato più elementare. Eppure anche di quest’ultima teoria, la carenza di conferme sperimentali riporta ad oggi in auge la possibilità dell’esistenza dei preoni. Rimanendo comunque un modello estremamente complesso da dimostrare sperimentalmente.
La scoperta di una sotto-struttura all’interno di particelle proviene da esperimenti di scattering. In poche parole si prende l’oggetto che vogliamo studiare e lo facciamo scontrare con qualcos’altro. Se l’oggetto è composto da sotto-strutture possiamo romperlo confermando così la sua natura composta. Intuitivamente è sensato pensare che maggiore sia l’energia di scontro maggiore è la probabilità di rompere l’oggetto. Due macchine si distruggono a velocità molto alte, come in autostrada, ma ogni buon romano sa che un bacetto alla macchina davanti per uscire dal parcheggio non fa male a nessuno! Perciò i limiti di questo tipo di esperimenti è proprio nella massima energia raggiungibile. Ad esempio l’energia massima di collisione ad LHC è di 13 TeV. Questo concetto può essere riassunto in una semplice formula: Δq Δx > 1 dove Δq è il momento trasferito (variabile strettamente connessa all’energia ) e Δx la minima lunghezza sondabile. In sostanza la dipendenza inversa di queste variabili racchiude quanto detto in precedenza: ad energie maggiori si possono sondare distanze minori. Perciò, per essere sensibili ad una possibile sotto-struttura dell’elettrone, abbiamo bisogno di energie molto più alte di quelle attualmente disponibili, il che rende questo problema privo di risposte, almeno fin quando la tecnologia non ci permetterà di scendere a scale maggiori di energia (e quindi molto minori di spazio).
Il limite più stringente che abbiamo alla natura elementare delle 56 particelle che compongono il Modello Standard è fornito dalle misurazioni del momento magnetico dell’elettrone. Il valore sperimentale osservato è μe = 1,0011596577, in ottimo accordo con le previsioni teoriche previste nell’ipotesi in cui l’elettrone sia una particella elementare (μt = 1,0011596553). Si noti che la divergenza tra i valori è solo dopo la nona cifra decimale, il che ci dice chiaramente che la scala di distanze caratteristica della struttura interna dell’elettrone deve trovarsi al di sotto di 10–16 centimetri. Una distanza insondabile con gli strumenti attuali. Il problema quindi resta aperto e quando/se i proni venissero supportati sperimentalmente nulla potrebbe assicurarci che siano effettivamente particelle puntiformi elementari, a meno di non andare a scale di ordini maggiori. Un problema ricorsivo che incuriosisce da secoli e non prospetta nessuna conclusione perchè alla fine anche Holmes aveva torto: nulla sembra essere così elementare, Watson.
Laureata in fisica a Roma mi sono specializzata in fisica delle particelle ad alte energie, collaborando con gli esperimenti di LHC. Mi diletto in arti figurative e grafiche e mi diverto sfruttando questa passione per sintetizzare concetti che si astraggono dietro delle formule. Nel mio percorso ho capito che nulla è difficile una volta compreso. Le giuste parole sbloccano un percorso nella mente di chi ascolta e solo percorrendo quel percorso un concetto resterà impigliato addosso. Da qui il potere delle parole.