Il progetto Kaspar
5 min readNegli anni Ottanta, Kerstin Dautenhahn ha intrapreso un percorso di ricerca diretto allo sviluppo di giocattoli robotici terapeutici atti ad incoraggiare i bambini autistici all’interazione con gli altri. Nel 2005, questa indagine si è declinata nel Kaspar Project, avviato da Dautenhahn presso l’università dello Hertfordshire, con l’obiettivo di costruire un robot dotato di due funzioni interconnesse.
Kaspar è progettato anzitutto come un “mediatore sociale”, inteso come un facilitatore delle interazioni tra i bambini autistici e i loro interlocutori; utilizzato non solo con i bambini, con più o meno difficoltà comunicative, ma anche da terapisti, insegnanti e genitori. Il secondo ruolo di Kaspar, strettamente connesso al primo, è quello terapeutico ed educativo volto a stimolare lo sviluppo delle competenze sociali di questi bambini.
L’obiettivo a cui intende contribuire Kaspar è quello di supportare i bambini autistici nell’acquisizione e nel potenziamento di abilità sociali che per questi ultimi risultano problematiche. Si tratta, per esempio, di comprendere le emozioni altrui e reagire in modo appropriato alle manifestazioni emozionali dei propri interlocutori, ma anche di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, giocare rispettando il ruolo e il turno di ciascuno, imitare gli altri o imparare a cooperare.
Il progetto terapeutico ed educativo articolato intorno a Kaspar si fonda sull’idea di offrire al robot una “presenza sociale” evidente e rassicurante, cioè costruita su comportamenti interattivi facili da leggere e da prevedere. Su questa base Kaspar è stato sviluppato come un robot umanoide delle dimensioni di un bambino di tre anni circa, il cui aspetto non è “eccessivamente” realistico.
Dautenhahn e il suo team hanno assicurato a Kaspar la divergenza da un eccessivo realismo mediante un’estrema semplificazione dei tratti facciali, la quale equivale anche a una rimarcata riduzione della complessità dei messaggi sociali trasmessi dal robot. Per la costruzione del suo viso si è optato per una maschera di silicone color carnagione, priva di dettagli, che traducano in modo definitivo tratti quali l’età, il genere o il tono emozionale.
Questa deliberata “imprecisione” intende avere un doppio effetto; da un lato vuole consegnare ai bambini un’ampia libertà di interpretazione, che può permettere di immaginare di ritrovare in Kaspar il personaggio con cui preferiscono interagire. Dall’altro lato mira a lasciare ai progettisti un ampio margine di manovra per sviluppare – anche a livello di programmazione – una pluralità di versioni “personalizzate” o su misura, definite in base alle esigenze degli utenti (bambini) e dei contesti in cui il robot è chiamato ad operare.
Questo approccio ha avuto un significativo successo con i bambini autistici, i quali appaiono interagire estremamente volentieri con Kaspar fin dal primo incontro. Nella versione standard il robot, oltre a poter muovere tronco, braccia e testa, può aprire e chiudere bocca e occhi. Queste ridotte possibilità di movimento gli offrono espressività evidente. La postura, la voce e il movimento degli occhi, bocca e braccia consentono a Kaspar di esprimere, in modo “minimale” e facilmente interpretabile, alcune emozioni di base, principalmente gioia, tristezza e sorpresa.
Kaspar stimola i bambini autistici a partecipare a molti giochi interattivi, di solito difficili per loro perché coinvolgono attività legate ad imitazione, avvicendamento dei ruoli (turn-taking) ed accettazione congiunta (joint attention). L’implementazione di diversi scenari di gioco ha consentito al team di Dautenhahn di effettuare studi sulle potenzialità terapeutiche ed educative del robot rivolti non solo ai bambini autistici, ma anche ad altri bambini con bisogni speciali.
L’applicazione principale di Kaspar concerne il suo ruolo di mediatore sociale nelle relazioni che i bambini intrattengono con i terapeuti, gli insegnanti o altri bambini. In questo contesto il robot è spesso usato per insegnare ai bambini ad esprimere le proprie emozioni di base e a riconoscere le espressioni emotive degli altri.
Gli studi suggeriscono che l’espressività “minimale” di Kaspar, riducendo le difficoltà di interpretazione, proponga a questi bambini una modalità di interazione sociale sufficientemente prevedibile e rassicurante da consentire loro di mettersi in gioco e sperimentare.
Il rivestimento epidermico del robot (RoboSkin) gioca un ruolo fondamentale; consente ai bambini di imparare ad esercitare la forza appropriata nel contatto fisico durante l’interazione con i loro pari. I bambini autistici, che a volte soffrono di ipersensibilità al tatto, spesso hanno difficoltà nel modulare appropriatamente la forza con cui toccano gli altri. Anche in questo caso, Kaspar offre loro un contesto di interazione sociale protetto, facilmente comprensibile e rassicurante.
Quando i bambini non padroneggiano la propria forza fisica, l’interazione non viene interrotta e loro non sono esposti al rifiuto. Kaspar invia un messaggio chiaro – “Ahi! Fa male!” – senza arrabbiarsi o escludere i bambini dal gioco, diversamente da quanto spesso accade nelle interazioni con i loro pari.
Kaspar viene impiegato anche in contesti terapeutici ed educativi ideati per bambini autistici “ad alto funzionamento” (high functioning). Lo scenario prevede la loro partecipazione con altri bambini ad un gioco, proiettato su uno schermo digitale, che richiede di imitare i movimenti compiuti dal robot.
Con la mediazione di Kaspar i bambini sono stimolati a giocare insieme rispettando turni e ruoli. Il robot pare essere anche uno strumento educativo efficace per permettere ai bambini con bisogni speciali di scoprire il proprio schema corporeo attraverso l’imitazione del comportamento del robot. In questo tipo di gioco, il piccolo robot umanoide, toccando e nominando l’una o l’altra parte del proprio corpo – naso, orecchio, braccio eccetera – incoraggia i bambini a fare lo stesso.
Il robot non ha mai reazioni negative o di esclusione quando il bambino interagisce con lui in modo inappropriato. Le reazioni chiare e prevedibili dell’agente robotico, con basse probabilità di fraintendimento, rassicurano i bambini ed offrono un sostegno significativo al loro particolare processo di sviluppo delle competenze sociali.
Questo carattere rassicurante – tipico anche delle interazioni con gli animali da compagnia – è comune a molti robot utilizzati in ambienti terapeutici, come Paro o altri sistemi robotici, impiegati per aiutare persone che sono state vittime di ictus o di incidenti che improvvisamente ne hanno compromesso la capacità di eseguire compiti quotidiani di base. In questi contesti, in cui la riabilitazione motoria e cognitiva è inseparabile dalla riabilitazione sociale, diversi studi mostrano come molti pazienti preferiscano eseguire i propri esercizi di riabilitazione sotto la supervisione di un robot piuttosto che di un infermiere umano, la cui presenza può generare vergogna o imbarazzo in momenti dove il confronto con gli altri risulta difficile.
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Sono un ricercatore presso Co.Mac – CFT, un importante gruppo italiano che opera nell’ambito degli impianti industriali. Laureato in ingegneria Meccanica con specializzazione in Meccatronica al Polimi. Attualmente studio automazione con particolare focus verso gli algoritmi di intelligenza artificiale e le sue applicazioni nel mondo reale.
Comunicare significa donare parte di noi stessi, ed è questo il motivo per cui la divulgazione scientifica è una delle mie più grandi passioni.