Dicembre 21, 2024

Il Suq: breve viaggio alla scoperta dei tradizionali mercati islamici

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Il Suq conserva un fascino intramontabile che spinge inevitabilmente a chiederci quali siano le peculiarità che l’hanno reso tale.

Il vivace e colorato mercato islamico, conosciuto col termine arabo Suq (سوق), o col persiano Bazar (بازار), è parte del patrimonio culturale e religioso di numerosi paesi a maggioranza musulmana del Nord Africa e del Medio Oriente, forte di una storia antichissima durante la quale ha assunto le caratteristiche pervenute ai nostri giorni.

In epoca pre-islamica, i primi Aswaq (أسواق; pl. di Suq) sorsero come stazioni di commercio, mobili o permanenti, connesse ai caravanserragli ubicati lungo le antiche rotte commerciali che collegavano la penisola arabica con l’area mediterranea, da una parte, e con l’Indo-Pacifico, dall’altra.

Durante la vita del profeta Maometto (570-632), lo stesso termine prese anche ad indicare, al di là di un luogo fisico, un qualsiasi atto di scambio fra venditore e compratore sotto termini e condizioni pattuiti.

Nel corso dei secoli successivi, però, con l’espansione e con la solidificazione dell’Islam, il Suq acquisì la sua connotazione più comune divenendo parte integrante dell’assetto urbanistico in veste di luogo di mercato locale privilegiato (nella sua interezza o per identificare singole aree commerciali specializzate).

Al tempo presente, esso è ancora comunemente inteso come luogo di mercato tipicamente orientale pur assimilandosi, in taluni contesti, alla dimensione di mera attrazione turistica.

Un salto nel passato

Anche se la nascita dei primi Aswaq viene fatta risalire da alcuni studiosi al 3000-2000 a.C. come estemporanei punti di snodo dei fiorenti scambi commerciali dell’antichità, fu sotto le numerose dinastie islamiche, fra cui gli Omayyadi (661-750), gli Abbasidi (750-1258), i Selgiuchidi (1038-1194), i Mamelucchi (1256-1517), i Safavidi (1501-1736) e la longeva dinastia ottomana (1413-1914), che il Suq acquisì caratteristiche fisse e ricorrenti. Tali caratteristiche riflettevano motivazioni di ordine pratico ed economico ma senza mai disgiungersi dai profondi legami che univano la società alla religione islamica.

Il mercato sorgeva solitamente nelle prossimità della moschea principale, Masjid Al-Jamiʿ (مسجد الجامع), per essere facilmente raggiunto da tutti i credenti dopo la sacra preghiera comunitaria del venerdì, e presentava due strutture di base principali: l’estensione longitudinale che, nella forma di un corridoio coperto o semicoperto, trovava origine nei pressi della porta d’ingresso della città, oppure l’articolazione in una rete di stradine puntellata da cortili porticati. In entrambi i casi, esso confluiva o si dipanava intorno al centro della ‘città islamica’ rappresentando, insieme alla moschea, un luogo di ritrovo sociale prioritario dove comperare e fare affari ma anche, e soprattutto, scambiarsi informazioni e notizie correnti grazie al via vai di frequentatori locali ed esterni.

L’organizzazione del Suq tradizionale non era di certo casuale. Al contrario, essa prevedeva una precisa disposizione delle varie corporazioni di mestiere secondo principi al contempo civici e religiosi. Le professioni disagevoli o ingombranti erano ubicate in posizione periferica: ferrai, tintori, conciatori e vasai erano solitamente posizionati vicino la porta di ingresso della città. Analogamente, venditori di incenso, candele e profumi oppure librai, rilegatori, mercanti di pelle o fabbricanti di pantofole occupavano la porzione del Suq più vicina al centro in quanto arti ‘nobili’ e consone alla prossimità con la moschea. Nelle aree intermedie si organizzavano poi tutte le altre attività fra cui: la lavorazione dei tessuti, la produzione di utensili di rame, di selle da soma, di ceste, di lana filata e così via.

All’interno della trama di relazioni interpersonali caratterizzante i mercati islamici, almeno due aspetti curiosi possono essere sollevati. Diversamente da come si potrebbe pensare, il rapporto fra i commercianti, all’epoca organizzati in corporazioni, si basava molto più sulla pacifica convivenza che sulla competizione. La consuetudine di destinare spazi omogenei ad una singola arte o professione faceva sì che venditori di merci affini lavorassero a stretto contatto e che si creassero fra loro rapporti informali nutriti, nei momenti di pausa, dalla condivisione giornaliera del tè o del caffè.

D’altro canto, la disposizione spaziale su base corporativa aveva due ulteriori vantaggi: da una parte, facilitava la sorveglianza delle transazioni e il controllo di pesi e misure operato da un funzionario pubblico chiamato muhtasib (محتسب); dall’altra, permetteva ai clienti di comparare e valutare facilmente i prodotti prima di acquistarli.

Guardando al rapporto fra commercianti ed acquirenti, anche in questo caso, era comune che si creassero relazioni amicali a seguito di potenziali lunghe trattative durante le quali, pur nell’interesse economico dei venditori, era forte il richiamo ai valori islamici i quali imponevano loro di non esporsi alla truffa, al raggiro o all’inganno come regola di vita.

L’arte della negoziazione, a volte estenuante, è certamente una caratteristica sopravvissuta ai nostri giorni di cui ci si rende conto facilmente viaggiando nelle medine, i centri urbani delle antiche città islamiche. Ai visitatori stranieri è spesso suggerito di ‘mercanteggiare’ proponendo cifre più che dimezzate rispetto al prezzo preliminare poiché la ‘pacifica lotta al miglior affare’ non è che una consuetudine nel contesto del Suq.

Particolare del Suq di Marrakech (Marocco)

Il Suq e la ‘modernità’

Molti Aswaq storici sono sopravvissuti grazie a rimaneggiamenti, restauri e ammodernamenti riuscendo a mantenere caratteristiche strutturali, architettoniche o decorative tradizionali. Basti pensare alla separazione spaziale dei mestieri mantenutasi nel labirintico Suq di Marrakesh (Marocco) al cui interno è possibile distinguere il mercato dei tintori, il mercato delle pelli, il mercato dei tappeti, il mercato delle spezie e così via.

Oppure, si pensi alla peculiare ristrettezza degli spazi, pensati per l’esclusivo passaggio pedonale e di animali da soma, intenzionalmente mantenuta, fra i molti altri, nel Suq Wafiq di Doha (Qatar). Si pensi infine agli eleganti soffitti del Gran Bazar di Isfahan (Iran) la cui successione di cupole poggiante su ornamentali archi a sesto acuto rievoca la tradizionale Qaysariyya, una piccola area del Suq semi-indipendente e chiusa nelle ore notturne adibita alla vendita di oggetti preziosi.

Tuttavia, la ‘modernità’ ha apportato dei cambiamenti, specialmente negli usi e nei significati connessi ai mercati islamici tradizionali. Da una parte, alcuni Aswaq non sono più adibiti a luoghi di mercato: l’edificio Wakalat Al-Ghouri situato al Cairo (Egitto), ad esempio, sorto come antica pensione in età mamelucca (nel 1504) per albergare mercanti ed ospitare scambi commerciali, è oggi diventato un istituto culturale per la preservazione delle arti e dell’artigianato locale. Altri mercati, di epoca remota, sono stati invece convertiti in mere attrazioni turistiche, come nel caso del celebre Suq Okaz di Mecca (Arabia Saudita) le cui rovine rievocano il più importante mercato all’aperto pre-islamico, risalente al 501 d.C.

Dall’altra parte, pur mantenendo immutata la consueta funzione commerciale, gli odierni Aswaq hanno fronteggiato i mutamenti derivati dalle dinamiche di mercato moderne. Alle fasi di industrializzazione si sono infatti accompagnati importanti modifiche nell’assetto urbanistico della tradizionale ‘città islamica’ e nello stile di vita dei suoi abitanti. La necessità di accogliere una popolazione in aumento, e con rinnovati bisogni, è stata alla base dell’espansione urbanistica ben oltre le mura della ‘città vecchia’, o medina. In questo modo, il trasferimento di una parte cospicua delle famiglie benestanti verso nuovi e ben forniti centri urbani ha causato col tempo un parziale decadimento del ruolo del Suq come epicentro della vita quotidiana cittadina e come strumento privilegiato di coesione comunitaria.

Bazar Honar di Isfahan (Iran)

Conclusione

Fortunatamente, lungi dal decretarne il tramonto, la modernità ha conferito al mercato islamico nuova ragion d’essere favorita dall’emergere dell’imponente fenomeno del turismo di massa e, con esso, dai rapporti interpersonali che vedono protagonisti i curiosi spettatori stranieri desiderosi di conoscere la cultura locale e di acquistare prodotti artigianali autentici.

In questo modo, le attività commerciali degli Aswaq continuano a rappresentare un’importante forma di sostentamento per le famiglie locali grazie, in buona misura, alla presenza di visitatori stranieri i quali hanno parzialmente permesso di vincere la forte concorrenza delle catene di distribuzione moderne e dei competitivi prodotti importati che, in alcuni contesti, hanno causato l’allontanamento dei residenti locali dai mercati tradizionali.

È possibile dunque concludere che l’onnipresente lavoro di artigiani, commercianti e venditori, davanti agli occhi ammirati dei turisti o dei persistenti frequentatori locali, continua ad alimentare l’esistenza e la necessità del Suq di radice islamica mantenendo un collegamento fra la ‘modernità’ e la ‘tradizione’ e sancendo il suo intramontabile valore storico, architettonico e culturale.

Fonti consultate:

Awad, Jihad Abdullatif. «Islamic Souqs (Bazaars) in the Urban Context: the Souq of Nablus». Kansas State University, 1989.

Tewfik, Magdy. «The Architectural Originality of the Arab Traditional Souk». In Ekistics, Maggio/giugno-Luglio/agosto 1992., Vol. 59:130–34. Residence and Community. Athens Center of Ekistics, 1992.

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