Il tunnel che porta i neutrini dal CERN al Gran Sasso
3 min readOggi vi racconto una storia piena di errori. Se volete sentirvi vecchi, pensate che sono passati dieci anni da questo avvenimento: era il 2011 quando, fra le altre cose, al Gran Sasso si cercava di scoprire qualcosa in più riguardo a delle particelle che compongono il nostro universo, sconosciute e sfuggevoli, dei mattoncini non semplici da studiare: i neutrini.
All’esperimento OPERA, sito appunto presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, in Abruzzo, si cercava di rivelare dei neutrini sparati al CERN di Ginevra. Ma come ho già detto, questa storia è piena di errori e il primo lo compiono gli scienziati: calcolando la velocità con cui i neutrini percorrono i 732 km che separano il CERN dal Gran Sasso, scoprono che questi dovrebbero avere una velocità superiore a quella della luce, assunto non consentito dalla teoria della relatività.
Tuttavia, ai tempi si credeva d’aver fatto una importante scoperta, di aver dato un colpo di scalpello alla meravigliosa opera d’arte scolpita da Albert Einstein. Quindi, presa evidentemente dall’entusiasmo per la scoperta che doveva sembrare epocale, l’allora ministro dell’Istruzione della Ricerca, Mariastella Gelmini, parlò di «avvenimento scientifico di straordinaria importanza», scivolando però su una frase: «Alla costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto l’esperimento, l’Italia ha contribuito con uno stanziamento oggi stimabile intorno ai 45 milioni di euro».
Se adesso, dopo dieci anni, sto scrivendo un articolo su questo è perché questa uscita infelice è rimasta impressa nella memoria degli italiani e non solo. In molti si chiedono come sia possibile concepire un tunnel lungo più di 700 km, altri invece si mostrano preoccupati: se il suddetto tunnel ovviamente non esiste, dove sono passati questi neutrini? Hanno attraversato città, persone? Sono pericolosi?
La verità è che i neutrini sono particelle che interagiscono molto debolmente; in termini tecnici si dice che hanno una bassissima sezione d’urto, al punto che milioni e milioni di neutrini, prodotti nell’Universo, attraversano la Terra da parte a parte e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Se volessimo immaginare il nucleo atomico e il neutrino come due oggetti, potremmo dire che se il nucleo è grande come un campo da calcio, il neutrino sarebbe grande come uno spillo poggiato al centro del campo.
Proprio perché sono debolmente interagenti, i neutrini non rilasciano una quantità di radiazione pericolosa per l’uomo. Come si può vedere dalla figura dunque, sfruttando questa proprietà, possono essere lanciati attraverso la Terra, ad una profondità di circa 11 km e, in buona parte, riuscirebbero ad arrivare al Gran Sasso. Dico in buona parte perché qualcuno potrebbe interagire e non arrivare a destinazione, così come molti potrebbero non fermarsi al Gran Sasso e continuare indisturbati il loro percorso. Solo pochi di questi sbattono contro uno dei 150 mattoncini da cui è composto il rivelatore OPERA.
Ma allora si può sapere a cosa serviva questo esperimento, se buona parte dei neutrini nemmeno li vediamo? In realtà, l’esperimento OPERA voleva dimostrare una proprietà molto particolare di queste bizzarre particelle: sotto determinate condizioni, possono cambiare pelle, passando da una “categoria” ad un’altra. Poiché si voleva studiare questa proprietà, al CERN ne sparavano di un tipo, e bastava rivelarne uno di un altro tipo per provare questa bizzarria. OPERA ne ha contati ben dieci e, quindi, ha verificato sperimentalmente questa proprietà. Il cambio di tipo, o in termini tecnici l’oscillazione di neutrini, implica che il neutrino abbia una massa, seppur piccola, e che quindi non può viaggiare alla velocità della luce. Per questo, non appena è stato annunciato che i neutrini fossero più veloci della luce, molti hanno storto il naso, poiché i due risultati non erano consistenti fra di loro, ed infatti hanno scoperto un errore tecnico responsabile della falsa scoperta.
Perché sì, si può sbagliare, ma si ha il dovere di capire le implicazioni di ciò che si dice e, nel caso, correggersi.
Sono un dottorando in fisica delle astroparticelle presso il Gran Sasso Science Institute. Spesso con la testa fra le nuvole, affascinato dai misteri dell’universo, ho sviluppato un interesse verso gli aspetti più umani della nostra esistenza. Credo che la divulgazione debba essere un momento educativo in cui ci si diverta imparando