Novembre 16, 2024

IL VINO, FRUTTO DELLA STORIA E DELLA SCIENZA

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Rosso, bianco o rosé. Dolce o secco e perché no, anche frizzante. Accompagna la cena, rilassa se sorseggiato ascoltando buona musica. Compagno di serate e consolatore nelle sconfitte. Si parla di vino. Cosa lo rende così irresistibile?

UN PO’ DI STORIA

L’origine del termine vino rappresenta ancora oggi, per linguisti e storici, un mistero da risolvere.

Per alcuni di loro, il termine deriva da “vena”, parola sanscrita, la quale significa “amare” e da cui avrebbe origine anche il greco “Venus”, Venere, la dea dell’Amore. Altri ritengono che abbia avuto origine dall’ebraico antico “iin”,  trasformatosi nel greco “oinos “. Altri ancora credono che potrebbe derivare dalla radice sanscrita “vi”, attorcigliare,  termine che evoca l’immagine della vite, pianta rampicante che ha proprio la prerogativa di attorcigliarsi.
L’annosa questione sulla paternità della parola “vino” era stata esaminata già ai tempi di Cicerone, il quale le aveva attribuito etimologia latina, facendo  derivare “vinum” da vir (uomo) e vis (forza). Questa teoria, però, oggi ha perso forza, in quanto si è più inclini a pensare che “vinum” abbia origine dal greco “Οίνός” , lemma attico-jonico da cui deriva invece “eno”, radice usata correntemente per indicare solo le attività collegabili al vino: eno-teca, eno-logia, eno-gastronomia.

Sul luogo di origine del vino, invece, si hanno meno dubbi: la terra natia sembra essere una regione del Caucaso, l’Iberia, corrispondente all’odierna Georgia, la quale orgogliosa, si proclama la “culla del vino“. Famosa per i kwevri, i vasi di terracotta interrati in cui veniva fatto fermentare il vino, è conosciuta anche per la scoperta una cantina di ben 8.000 anni, considerata la più antica del mondo.

Il termine georgiano per riferirsi al vino è “gwino”, il quale sembra avere uguale etimo della parola ittita “wiyan(a)”, della  proto-semitica “wyn” e dell’araba “wayn “. Qualsiasi sia l’origine del termine, la sua diffusione è sicuramente globale, infatti “vino” è uno di quelle parole che i linguisti definiscono “viaggianti”, cioè in grado di muoversi sia nello spazio, raggiungendo luoghi remoti e popolazioni diverse, che nel tempo, persistendo per molte epoche, generando dei legami orizzontali, dei ponti, tra culture distanti.

Per risalire alla natività del vino, fermiamoci per una breve tappa anche nell’antica Roma, dove Bacco, il dio dell’ebrezza, dell’estasi e del chiasso, conosciuto anche come Dioniso dai greci,  è celebre per gli eccessi e la sregolatezza. Nell’arte è spesso rappresentato come un giovane adornato da grappoli di uva e sempre accompagnato dall’immancabile bicchiere di vino. Nei diversi miti, che narrano la nascita e la diffusione del vino, è proprio Bacco a generarlo stringendo tra le proprie mani gli acini di uva, da cui fuoriesce la pregiata bevanda che conduce agli eccessi di cui egli è il dio.

DAI CHICCHI AL SUCCO… DELLA QUESTIONE

Non ci dispiacerebbe se fosse così semplice ottenere un buon calice di vino! Per fortuna o purtroppo , il procedimento che trasforma l’uva in vino è molto più elaborato ed interessante di così, e consta di più fasi:

  • La pigiatura è la prima fase ed è differente se si vuole produrre un rosso o un bianco, anche se, in entrambi i casi, viene utilizzata l’uva nera. Per produrre un bianco, la buccia dell’acino viene immediatamente separata dalla polpa, nel caso del rosso, invece, necessario usare le vinacce, ovvero tutto ciò che resta dell’acino dell’uva insieme al mosto fermentato o parzialmente fermentato, quindi le bucce degli acini sono conservate, in modo che cedano i loro  particolari aromi e colori durante il processo della fermentazione.
  • La vinificazione, ovvero la fermentazione del mosto, oltre ad essere il secondo passo per giungere al nettare degli dei, è anche tra le più antiche forme di biotecnologie documentate. Questa fase ha infatti come protagonisti i lieviti, in particolare Saccharomyces, microrganismi che si trovano naturalmente sulla buccia del frutto. Questi microrganismi trasformano gli zuccheri dell’uva, che usano come nutrimento, in alcol etilico e anidride carbonica (prodotti di scarto), grazie alla glicolisi e alla fermentazione alcolica. Questo processo serve per ottenere energia e liberarsi dei prodotti catabolici,  viene attuato abitualmente dai lieviti laddove ci sia disponibilità di zuccheri. La durata della vinificazione può richiedere dalle 24 ore ai 7 giorni donando, ovviamente, gusto,  fragranza e aroma diversi in base al tempo di fermentazione e alla qualità del vitigno utilizzato. È in questa fase che si decide il destino del nostro vino: se lo si vuole più dolce, la fermentazione deve essere fermata presto e devono essere eliminati tutti i lieviti attraverso  la centrifugazione e la filtrazione; se invece si preferisce un vino secco, la fermentazione avrà tempi più lunghi. Il processo porterà ad esaurire totalmente o quasi gli zuccheri disponibili e ciò comporterà altre reazioni, le fermentazioni superiori, grazie agli amminoacidi, regalando nuove e diverse molecole aromatiche.
  • La svinatura, necessaria se sono presenti le vinacce, è il passaggio che ne permette la separazione dal mosto, attraverso il pompaggio dai tini alle botti. Nonostante abbiano donato colore e aromi al mosto durante la fermentazione, non hanno ancora esaurito le loro potenzialità: possono essere usate per produrre aceto e grappe o, essere utilizzate come mangime. Nelle botti, il vino termina lentamente i processi di fermentazione, che sono notevolmente più lenti man mano che i substrati per le reazioni diventano meno disponibili.
  • Infine, si procede con diversi travasi e passaggi di filtrazione per eliminare quanto più possibile i lieviti e altre particelle in sospensione nel vino, per poi, finalmente, procedere all’imbottigliamento.
Fonte: Pexels

LA CHIMICA DEL VINO, FRUTTO DEL TEMPO

L’acino d’uva è stato così  trasformato in vino e chiuso in una bella bottiglia pronta per essere stappata.

Saccharomyces ha trasformato il glucosio e il fruttosio in altro, per rendere unico questo succo. Ma, esattamente, oltre all’alcol etilico e all’anidride carbonica, di cui accennato sopra e di cui è facile intuire la funzione, quali altre componenti caratterizzano il vino?

Acqua

Sicuramente, una di queste è l’acqua, che in realtà rappresenta la componente principale della bevanda e deriva dalla polpa degli acini. La sua presenza va dall’80% al 90% del volume, ed ha il compito di legare tutte le altre componenti tra loro in modo armonioso.

Etanolo e glicerolo

Il secondo componente in quantità è l’alcol etilico, l’etanolo, generato dalla fermentazione alcolica, è responsabile dell’ebrezza data dal vino. La sua quantità viene misurata come percentuale sul volume ed è chiamata titolo alcolometrico, generalmente varia dal 9% al 16% del volume totale della bevanda. Un secondo prodotto della fermentazione è il glicerolo, che aiuta l’etanolo a creare il corpo del vino, conferendogli un carattere “morbido”.

Zuccheri

Da non dimenticare il contributo degli zuccheri: il glucosio, il fruttosio, lo xilosio, l’arabinosio ed il saccarosio,  senza i quali non potrebbe avvenire la magia; sono contenuti nella polpa dell’uva e vengono totalmente utilizzati nelle reazioni chimiche che avvengono durante la vinificazione.

Acidi

Dalla fermentazione alcolica, in particolare dall’ossidazione dell’acetaldeide, deriva l’acido acetico. La sua concentrazione va tenuta entro certi limiti, in quanto può alterare negativamente la fragranza del vino. I suoi effetti vengono solitamente contrastati aggiungendo anidride solforosa, già presente dopo la fermentazione, in grado di legarvisi annullandone gli effetti.
Oltre a contrastare gli effetti dell’acido acetico, l’anidride solforosa  è in grado di conservare il vino, evitando che avvengano alterazione a causa del tempo. Comunque è sempre preferibile fare in modo di tenere l’acido acetico al di sotto della soglia di 0,5 g/l, per evitare di aggiungere anidride solforosa in eccesso, poiché si tratta di una molecola tossica per l’organismo.

L’acido tartarico, l’acido malico e l’acido succinico, naturalmente contenuti nell’uva, sono i principali responsabili delle caratteristiche note acidule del vino.

Polifenoli

Oltre al gusto, non scordiamoci che i vini si differenziano gli uni dagli altri per il colore e l’aroma.Il colore del vino è influenzato dalla presenza di molecole note come polifenoli: per il vino rosso gli antociani e i tannini; mentre per il vino bianco i flavoni, le catenine, i leucoantociani e la clorofilla.Oltre al colore alcuni tra i sopracitati polifenoli come i tannini, le catenine e i leucoantociani, aiutano a costruire il gusto del vino, donando la sensazione di astringenza che lo caratterizza.

Molecole aromatiche

Nel vino sono contenute anche altre molecole aromatiche, che conferiscono profumo e gusto alla bevanda e che possono essere suddivise in tre categorie:

  1. Sostante aromatiche primarie, presenti nell’uva;
  2. Sostanze aromatiche secondarie, prodotte dalla fermentazione;
  3. Sostanze aromatiche terziare, prodotte dalla maturazione del vino.

Quindi, maggiore sarà il tempo che passerà tra la fase di pigiatura e la fase dell’imbottigliamento,  e più aromi, colori e fragranze andranno ad arricchire il prodotto finale.

Sali organici ed inorganici

Nell’uva sono anche contenuti sali di acidi organici come tartrati, citrati e malati e sali inorganici come cloruri, solfati e fosfati che contribuiscono al corpo e alla sapidità del vino.

Anidride carbonica

Infine parliamo delle bollicine,  o meglio dell’anidride carbonica: tra i prodotti di scarto delle reazioni dei lieviti, risulta essenziale. In generale, definisce il sapore finale del vino, vivacizzandone il colore e contrastando, con una nota dura, la rotondità e la morbidezza acquistata grazie alle altre componenti descritte finora.

LA LETTURA DEL CALICE GRAZIE ALL’EFFETTO MARANGONI-GIBBS

Abbiamo visto come si produce il vino, sappiamo quali sono le componenti che lo rendono il “nettare degli dei”, ora dobbiamo imparare le regole base per berlo consapevolmente.

Far roteare il vino nel calice, per esempio, non ci dona solo un’aria da veri sommelier, ha uno scopo ben preciso: serve ad aiutare l’ossigenazione delle sue componenti. Più un vino è invecchiato più questo passaggio, in gergo la decantazione, risulta importante e dovrebbe avvenire in più tempo possibile, affinché tutte le note aromatiche, sia al gusto che all’olfatto, emergano durante la degustazione.

Allo stesso tempo, permette di “leggere” la gradazione alcolica di quanto stiamo per bere, infatti quando il vino scivola lungo le pareti del bicchiere disegna degli “archetti”, grazie alla combinazione del fenomeno della capillarità con il fenomeno della tensione superficiale, proprietà per la quale i liquidi tendono a ridurre al minimo la propria superficie esposta.

Immaginiamo di far roteare un calice di vino, lungo le sue pareti si formerà un unico sottile film di liquido a formare un anello o menisco. In questo sottile film, l’etanolo evapora molto più velocemente dell’acqua,  comportando una diversa concentrazione di etanolo nel menisco e nel restante vino nel calice, la quale induce una diminuzione della tensione superficiale del menisco che tende, per capillarità, ad andare verso l’alto lungo le pareti del calice. 

Dopodiché, per effetto della forza di gravità inizieranno a scendere delle gocce, chiamate “lacrime”, che andranno a formare i famosi archetti, aiutandoci a dare una stima della gradazione alcolica del vino.

File:Wine legs shadow crop.jpg
Fonte: Wikipedia – Wine legs shadow crop

Il fenomeno appena descritto è noto come “Effetto Marangoni-Gibbs” , dai nomi del fisico italiano che per primo applicò al vino le teorie del fisico James Thompson, riguardo la tensione superficiale e gradiente di massa per i fluidi, e da uno dei padri della termodinamica che si interessò dello stesso argomento.

Dalla quantità di archetti che si sono formati, sarà facile stimare se stiamo per bere un vino poco alcolico, che formerà pochi e larghi archetti, o un vino con una gradazione alcolica superiore al 13%, che riuscirà invece a disegnare molti archetti stretti. Tutto questo con un semplice gesto.

Non è certo sufficiente per definirsi fini intenditori di vini, la conoscenza di questa bevanda richiede ulteriori approfondimenti e molte altre parole andrebbero spese per darle il giusto merito. Se ci si ferma a riflettere, il vino ha vinto il succedersi delle epoche, i cambiamenti dei gusti, è riuscito ad avere la meglio sul tempo non passando mai di moda sulle tavole, restando un regalo gradito, diventando una scusa per incontrarsi tra amici, e riesce ancora a far parlare di sé.

Una bottiglia di buon vino invecchia bene,  il concetto di vino, invece, sembra non invecchiare mai.

PER APPROFONDIRE:

Il vino nella storia

Il vino: una bevanda millenaria

Gli archetti del vino: a scientific approach

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