L’infinito
5 min readChe cos’è l’arte? Questa è una domanda su cui prima o poi tutti si interrogano. Esistono diversi motivi per cui l’essere umano ha creato l’arte: per evocare una risposta emotiva, per ricordare eventi ed emozioni passati, per comunicare ed educare.
In breve, l’arte è qualcosa che creiamo per capire chi siamo. Arte significa comunicare oltre le parole. Esprimere l’inesprimibile.
“Un atto di coscienza che consiste nell’osservazione diretta ed analisi della propria interiorità rappresentata da pensieri, sentimenti, desideri, pulsioni, stimoli prodotti del pensiero stesso, come pure il senso dell’identità di una persona”, direbbe Wikipedia, a proposito dell’arte.
Fino a 30 o 40 mila anni fa, gli esseri umani non avevano tempo per questo tipo di introspezione. Abbiamo passato una vita intera a cacciare, combattere, rifugiarci al caldo e stare al sicuro.
Successivamente, però, qualcosa è cambiato. Un nuovo tipo di essere umano ha imparato ad esprimersi. Non più gravate dalla costante caccia, le tribù si fermarono e si diedero stabilità. Si sedettero a guardare i loro fuochi proiettare lunghe ombre sulle pareti di profonde caverne e, con questa prima pausa, pensarono a qualcosa di più della sopravvivenza. Raccolsero dei bastoncini bruciati e iniziarono a disegnare.
In realtà, quando parliamo di arte e creatività scopriamo di non avere le idee molto chiare a riguardo. La creatività sembra misteriosa poiché quando abbiamo idee creative è molto difficile spiegare come le abbiamo ottenute; facciamo spesso ricorso a nozioni vaghe come “ispirazione” e “intuizione” per provare a spiegare la creatività.
Non siamo neppure a conoscenza di come svolgiamo alcune attività come la comprensione del linguaggio (il muro del significato), il riconoscimento di suoni e così via. Intanto, abbiamo tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale sempre più in grado di replicare tali attività.
Esiste una branca dell’intelligenza artificiale che si chiama “creatività computazionale”. La creatività computazionale è un argomento molto acceso con questioni ancora aperte al dibattito. Ad esempio, molti ricercatori fanno riferimento al test di Turing per simularne il livello di “intelligenza”.
In altre parole, se un certo numero di persone non è in grado di determinare quali opere sono state generate dal computer e quali sono state generate dall’uomo, questo significa che l’algoritmo sta performando bene. Altri ricercatori, invece, sostengono che il test di Turing sia inappropriato per valutare l’intelligenza, e quindi la creatività di un algoritmo.
Ritengono tuttavia sia più efficace porsi la seguente domanda: “Dato un set di opere, le persone apprezzerebbero quelli prodotti da un computer tanto quanto quelli prodotti dall’uomo?” In alcuni domini la risposta è affermativa. Ad esempio, la creazione o la modifica di un’immagine.
In altri domini, come la creazione di un simpatico scherzo o di un’opera teatrale risulta molto improbabile. Quindi, si potrebbe sostenere che i test di intelligenza in stile Turing potrebbero venire a valere sempre meno.
Fino a non molto tempo fa se mi avessero chiesto che cos’è Watso, mi sarebbe venuto in mente “Elementare Watson!”. Oppure il biologo Statunitense che ha vinto il premio Nobel per la medicina dopo aver scoperto la struttura molecolare del DNA: James Dewey Watson.
In realtà Watson, quello del 21 esimo secolo, è un computer. Un computer dotato di un algoritmo realizzato da IBM niente affatto elementare. È particolare per la sua capacità di comunicare servendosi del nostro linguaggio naturale; ossia del linguaggio con cui io adesso sto comunicando con voi. Nel 2011 Watson è riuscito a battere i due migliori concorrenti al gioco americano “Jeopardy!”.
È la capacità di imparare che ha cambiato il corso della storia su questo pianeta. Anche le piante, a modo loro, imparano. Tutti gli animali, seppur in gradi diversi, imparano. Ma nessuno ci riesce bene quanto l’essere umano. Eppure, ogni giorno che passa, sta diventando chiaro che l’evoluzione non sia finita qui. Infatti le macchine stanno imparando ad imparare, e Watson è una di queste.
Il linguaggio è quel sistema, quella struttura per cui un essere umano pensa e trasmette il suo pensiero. Inoltre è il mezzo con cui viaggia l’arte e la creatività; è una somma limitata di strumenti (suoni, parole, gesti ecc.) che possono combinarsi in maniera pressoché infinita. Una combinazione tendente all’infinito.
Se noi parliamo del concetto di infinito, un computer andrebbe immediatamente in tilt. Non soltanto dal punto di vista del linguaggio naturale ma anche con il linguaggio matematico. Ciò significa che ci sono cose che evidentemente i computer ancora non sanno fare. Hanno imparato bene a predire e a riconoscere ma non hanno imparato a svolgere alcune funzioni essenziali come ridere, piangere, provare gioia e dolore. Possono creare delle belle immagini, dei bellissimi suoni, certo, ma non ne sono consapevoli.
Dunque se la consapevolezza, come suggerisce Wikipedia, è un elemento fondamentale per la creatività, possiamo dire che gli algoritmi non sono creativi? O per lo meno, non lo sono come gli esseri umani? Potrà mai un computer generare ed immedesimarsi in una poesia?
Ci viene qui in aiuto un ragazzo di 21 anni che si chiama Giacomo e che vissuto 200 anni fa.
Leopardi, nel 1819, ha 21 anni e scrive una poesia che ha una bella pretesa; ossia quella di essere una poesia sulla poesia, cioè quella capacità del linguaggio umano di concepire (di generare) e di percepire (di attraversare) l’infinito. E la cosa straordinaria è che lui ci riesce.
Questa è la poesia italiana più famosa al mondo. Proviamo allora a percepire l’infinito attraverso le parole di Leopardi. E perché no, ce la facciamo leggere proprio da Watson. Ascoltiamola interamente
La cosa interessante è che lei non sa di aver fatto una battuta. A noi ci fa ridere, ma lei non ride. Anche se l’algoritmo non ha letto malissimo, a differenza di noi, non prova nulla.
La chiave sta proprio nel non perdere il senso e la capacità di valutare ciò che è arte e ciò che è banale. A mio parere l’arte va oltre i limiti, trasmette sensazioni, definisce nuovi significati e trasforma il modo in cui pensiamo e sentiamo.
Se ridere non è solo un’espressione dello stato d’animo ma coinvolge arte e creatività allora le macchine non hanno nulla a che fare con l’arte.
LINK UTILI:
Toward Computation Creativity
Artistic Creativity in AI
Le reti neurali tra creatività e arte
Sono un ricercatore presso Co.Mac – CFT, un importante gruppo italiano che opera nell’ambito degli impianti industriali. Laureato in ingegneria Meccanica con specializzazione in Meccatronica al Polimi. Attualmente studio automazione con particolare focus verso gli algoritmi di intelligenza artificiale e le sue applicazioni nel mondo reale.
Comunicare significa donare parte di noi stessi, ed è questo il motivo per cui la divulgazione scientifica è una delle mie più grandi passioni.