JOMO: la “gioia di perdersi qualcosa” per il proprio benessere
8 min readIl delicato rapporto tra Tecnologia e Umanità
Macchine volanti, colonie su Marte e robot al servizio dell’umanità: quando una donna o un uomo del XVIII secolo immaginavano l’anno 2024 questi erano i pensieri più comuni, che si possono trovare anche stampati su carta e illustrati in riviste futuristiche d’epoca. Lo sviluppo tecnologico che ha seguito la prima e la seconda rivoluzione industriale ha edificato e cristallizzato la convinzione di un’umanità capace di imprese impossibili, utopistiche e che non potevano essere anticipate neppure dall’immaginazione degli illustratori più sagaci. Pochi pensatori del tempo avevano ipotizzato la possibilità che questo sviluppo esponenziale potesse portare di fatto non a una maggiore libertà dell’essere umano ma piuttosto a un asservimento dello stesso alla sua più elevata creazione: il progresso tecnologico. In questa stessa epoca nascono i primi romanzi di matrice distopica e sci-fi: pensando a opere come “1984” di Orwell, al “Mondo nuovo” di Huxley e alle opere di Philip Dick, emerge una nuova visione della tecnologia, come un’arma a doppio taglio che rischia di espropriare l’essere umano della sua stessa libertà in virtù di uno sviluppo tecnico-scientifico “ottimale”.
II rischi dell’ iper-connessione
L’avvento della società dell’interconnessione implica di fatto la possibilità di ogni individuo di essere costantemente aggiornato sul mondo che vive e abita: grazie ai mass media e ai social network è possibile accedere facilmente con un tap sullo schermo o un click del mouse ad un numero spropositato di informazioni e di vite parallele di altre persone, che condividono e coabitano il nostro mondo. Il feed di Instagram e la bacheca di Facebook della maggior parte degli utenti del pianeta vengono quotidianamente invasi da una cascata di contenuti relativi alle fantastiche esperienze dei nostri amici e influencer preferiti, alle ultime notizie di cronaca locale e internazionale e dagli inviti agli eventi sociali più in voga del momento. Vivere in questa epoca, in particolare modo per le generazioni più giovani, implica entrare costantemente in contatto con una possibile sensazione di ansia connessa alla convinzione di trovarsi tagliati fuori dagli eventi importanti della vita, di non essere abbastanza aggiornati e in generale di farsi scivolare tra le dita molteplici informazioni e opportunità che non riusciamo a cogliere mentre siamo impegnati a vivere la nostra vita mediocre. Questa sensazione è stata definita FOMO, o Fear Of Missing Out, una forma di esperienza connessa al sentirsi tagliati fuori dal mondo sociale, e al timore pervasivo che gli altri possano vivere esperienze molto più interessanti e gratificanti delle nostre. Alcune ricerche riportano che il 56% degli utenti dei vari social network occidentali (Facebook, Instagram e Twitter in particolare) abbia sperimentato almeno una volta questa sensazione, che influisce negativamente in particolare sulla vita dei millennials, arrivando a coinvolgere il 69% della popolazione di utenti nella fascia 25-40 anni [1]. I rischi concreti di connessi a vivere ripetutamente questa sensazione, essendone potenzialmente esposti costantemente a causa dell’impiego massivo dei social network, riguardano lo sviluppo di forme di sofferenza psicologiche connesse alla sfera dell’ansia e della depressione. La FOMO riguarda due aspetti fondamentali: l’esposizione alla vita degli altri attraverso i mass media da una parte, e dall’altra la capacità profondamente umana di creare relazioni sociali significative che arrivano a definire l’individuo stesso. Risulta palese però, osservando il mondo odierno, che la FOMO non è tanto una deriva psicopatologica di qualche outsider della società, ma piuttosto un fenomeno estremamente diffuso e addirittura promosso dalla cultura mediatica e tecnologica contemporanea. Come la ricerca ci dimostra, le forme di sofferenza psicologica sono sempre figlie di un tempo e un contesto storico preciso e definito, e parlano spesso più della società dove emergono che di specifici squilibri neurobiologici: non ci dobbiamo sorprendere se vivendo in un mondo interconnesso sotto quasi ogni aspetto della propria vita che mira all’apparenza e alla performance, le forme di sofferenza che più angosciano e flagellano la società odierna riguardano la difficolta nel gestire gli innumerevoli eventi della vita, che arrivano ad evolversi in vere e proprie forme di ansia, la difficoltà nel gestire le proprie emozioni e il proprio ruolo sociale, che possono sfociare in forme depressive e infine il timore di essere tagliati fuori dal mondo sociale che ci costruisce e mantiene vivi, arrivando a sperimentare appunto la fear of missing out. [1]
Il ruolo della solitudine
In un momento storico in cui la possibilità di intessere relazioni con gli altri è ai suoi massimi storici, emerge un’importante lacuna nel comprendere come gestire tutte queste possibilità di connessione e contemporaneamente nel tentare di mantenere in piedi le poche relazioni di valore che possediamo. La letteratura psicologica e sociologica vede nelle relazioni sociali sia il nucleo del problema che la sua possibile soluzione: in quanto animali sociali infatti soffriamo a causa delle nostre relazioni e ci curiamo grazie alle nostre relazioni. La domanda che ci si inizia a porre negli ultimi 10 anni di ricerca però è la seguente: all’interno di mondo così interconnesso che ruolo ha la solitudine? Tendenzialmente questa parola evoca più significati negativi e nocivi che positivi, confondendo lo scomodo e devastante sentimento del sentirsi soli in un mondo di relazioni, con la possibile ricerca di un momento personale, intimo e sicuro. Alla luce di quello che ci siamo detti, anche la solitudine si rivela essere una dinamica profondamente relazionale: da una parte esiste una solitudine non desiderata, dove mi sento solo in relazione agli altri che mi rifiutano o non mi considerano; dall’altra esiste una solitudine ricercata e desiderata in cui la persona necessita e preferisce mettersi in relazione non all’altro ma a se stesso per esplorarsi, conoscersi e trovare ristoro e serenità [2]. Numerose ricerche dimostrano come la solitudine ricercata e la capacità di coltivare uno spazio personale può portare numerosi benefici, da una migliore creatività e produttività, a un maggiore resilienza e regolazione emotiva, migliorando di pari passo il proprio benessere psicofisico [3].
Joy of Missing Out
In un’epoca di pura interconnessione e presenza costante dell’altro, sembra possa essere utile e preferibile in alcune situazioni riportare l’attenzione anche su se stessi: proprio in questi ultimi anni numerose ricerche scientifiche si stanno concentrando non solo sulla FOMO, ma anche e soprattutto sul fenomeno opposto, la cosiddetta JOMO, o Joy Of Missing Out, che viene identificata come quell’esperienza emotivamente positiva e appagante del tagliarsi volontariamente fuori dal mondo sociale per un periodo limitato di tempo con l’obiettivo di ristabilire una maggiore connessione con se stessi, i propri bisogni e la propria individualità [2]. Accade a volte di sentire la necessità di rifiutare quell’invito in discoteca preferendo invece la compagnia di un bel libro o di un film decisamente più interessante di quei vostri vecchi compagni di scuola. Capita mai di abbandonare volontariamente il telefono in stanza da letto per potersi dimenticare del mondo esterno e godersi finalmente una cena rilassante in dolce compagnia? Tutti questi sono semplici esempi della possibilità di coltivare momenti di disconnessione consapevole dal sistema sociale di riferimento, per recuperare una propria dimensione di benessere e serenità. Questo fenomeno riguarda diverse capacità individuali nel gestire i propri bisogni e le proprie emozioni. In primis implica la possibilità di allontanarsi e disconnettersi dal mondo dei social network per un periodo definito senza sperimentare FOMO e la capacità di strutturare il proprio tempo in modo consapevole e intenzionale. Inoltre riguarda la possibilità di emanciparsi dalla tendenza a confrontare la propria vita con quella che gli altri mostrano sui social network o che ci raccontano. Ognuno di noi vive quotidianamente una miscuglio indistinto di emozioni positive, pensieri negativi, sensazioni scomode e esperienze sorprendenti ma seleziona accuratamente le singole esperienze da condividere nei social network: è più probabile che le persone condividano avvenimenti positivi rispetto a quelli negativi, creando nell’osservatore l’illusione che la loro vita sia tendenzialmente immune da problemi, sacrifici e ostacoli. Riconoscere questa “parzialità” della narrazione autobiografica delle persone che ci appaiono nella home o nella bacheca permette un minore confronto negativo tra la propria caotica vita e quella apparentemente perfetta dei nostri followed. La Joy of Missing Out riguarda inoltre la capacità di ascoltare e identificare i propri bisogni riducendo il rischio di trascurare le proprie emozioni e i propri desideri sopratutto quando questi dovessero essere compromessi dalle pressioni interne e esterne. Un ultimo aspetto non banale riguarda la possibilità di rifiutare inviti sociali riducendo i sensi di colpa ad essi connessi accettando di poter preferite in alcune situazioni la solitudine ricercata.
I benefici della JOMO
La JOMO dunque può essere concepita sia come una forma di “antidoto” emotivamente pragmatico alla FOMO che come un’esperienza consapevole e volontaria di gestione del proprio tempo, dei propri bisogni e delle proprie emozioni. Numerosi studi recenti però sottolineano l’importanza di distinguere esplicitamente la JOMO dal ritiro sociale dimostrando che non basta allontanarsi dalla vita con i pari per coltivare il proprio benessere, in quanto l’isolamento non rappresenta intrinsecamente una panacea ai mali della società odierna: se la persona cristallizza il ritiro sociale come la principale strategia di gestione delle proprie emozioni rischia di fatto di incorrere in nuove forme di sofferenza ben più serie della FOMO, come forme di ansia sociale e di depressione [2]. La JOMO non deve essere intesa quindi come un tentativo di fuggire dalla società o dalla realtà quanto piuttosto come la ricerca di una dimensione di decompressione e recupero delle energie: le ricerche dimostrano che più è elevato il livello di intelligenza emotiva e di Mindfulness (consapevolezza non giudicante della propria esperienza nel momento presente) della persona, meno questa sarà esposta al rischio di sviluppare forme di sofferenza connesse al ritiro sociale e di conseguenza più sarà probabile che questa sperimenti esperienze positive e significative anche grazie alla solitudine ricercata. Come dimostrato dalla ricerca scientifica la Mindfulness rappresenta dunque una dimensione di fondamentale importanza per poter fare esperienza della JOMO, e di conseguenza per poter imparare a notare, esplorare, accettare i propri bisogni e le proprie emozioni scegliendo di volta in volta in base alle proprie esigenze se aprirsi alla relazione sociale o ricercare maggiore spazio per se stessi. Nella vita di tutti i giorni esiste un delicato equilibrio tra individui e mondo sociale che viene continuamente negoziato e messo in dubbio, tra difficoltà e sfide quotidiane che ci mettono in condizione di scegliere quale destino preferire. Quotidianamente siamo posti di fronte a due scelte, che spesso avvengono a un basso livello di consapevolezza: la possibilità di arenarci di fronte alle splendide vite mostrate dagli altri da una parte, e la chance di prendere in mano la propria esistenza, poco per volta, ricavando pazientemente un equilibrio dinamico tra i propri spazi personali e relazionali. Essendo i social networks degli strumenti di connessione e non il fine ultimo della connessione, più diventiamo consapevoli di queste tendenze individuali e più saremo liberi nel scegliere di volta in volta l’alternativa che più ci può dare benessere.
Bibliografia e Sitografia
- Roberts, J. & David, M. (2019, July). The Social Media Party: Fear of Missing Out (FoMO), Social Media Intensity, Connection, and Well-Being
- Barry C., Smith e., Murphy M., Halter B., Briggs J., (2023) JOMO: Joy of missing out and its association with social media use, self-perception, and mental health, Telematics and Informatics Reports, Volume 10
- https://www.forbes.com/sites/amymorin/2017/08/05/7-science-backed-reasons-you-should-spend-more-time-alone/?sh=41b889431b7e
Sono Andrea Craighero e sono Psicologo, Psicoterapeuta in formazione e insegnante di tecniche Mindfulness. Attualmente lavoro nell’ambito della migrazione e della salute mentale, ma sono anche un avido lettore, uno scomodo viaggiatore e un apprendista tatuatore. Tante cose in testa, tanta fame nel petto. Ho studiato all’Università di Padova e alla Tilburg University (Paesi Bassi) e mi sto specializzando come psicoterapeuta all’ Institute of Constructivist Psychology (ICP). Ho sempre cercato di lavorare nell’ambito della marginalità e dell’interculturalità sia come clinico che in un progetto di photoreportage che nel 2019 mi ha portato a vivere per un mese nelle montagne nel Nord dell’Albania.