La Giornata internazionale dei popoli indigeni compie 30 anni
6 min readL’espressione “giornata internazionale” ci fa venire in mente il Giorno della Memoria, la Giornata mondiale per la lotta contro il cancro, la Giornata internazionale della donna, la Giornata della Terra, la Festa del Lavoro; il 9 agosto si celebra una ricorrenza meno nota, ma sicuramente altrettanto importante, la Giornata internazionale dei popoli indigeni. Istituita nel dicembre del 1994 dall’UNESCO, un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che si occupa di educazione, scienza e cultura, questa giornata ha come obiettivo la celebrazione della diversità culturale in riferimento alla popolazioni indigene e alle loro condizioni di vita prima e dopo l’arrivo dei colonizzatori. In particolare i popoli indigeni americani prendono come riferimento l’arrivo di Cristoforo Colombo e questa giornata nasce infatti come una sorta di contro-celebrazione al Colombus Day.
Il Colombus Day è una commemorazione dell’approdo di Cristoforo Colombo in America nel 1492 e, infatti, il navigatore genovese è spesso identificato come simbolo del colonialismo americano. Originariamente era festeggiata proprio il 12 ottobre e le prime testimonianze della sua celebrazione risalgono al 1792, nel tricentenario della scoperta del Nuovo Mondo. Col passare del tempo sempre più città iniziarono a onorare questa giornata, così che a partire dal 1937 venne ufficialmente istituita come festa nazionale e dal 1971 viene celebrata il secondo lunedì di ottobre. Durante i festeggiamenti per il 500° anniversario nel 1992 la giornata non fu solo luogo di festeggiamenti ma anche di un animato dibattito sulla conquista europea dell’America e sulle sue conseguenze, in molti casi devastanti. Un dibattito che si era già aperto negli anni 80’ poiché i diritti degli indigeni erano pressoché ignorati a tutti i livelli.
Chi sono gli indigeni?
Il termine indigeno deriva dal latino arcaico indigma, composto di indu (in, dentro) e geno (generare) ed è utilizzato per indicare una persona nata nel luogo in cui vive, una persona autoctona per dirlo alla greca. Questo vocabolo è stato specificatamente utilizzato in relazione alla colonizzazione europea, per indicare i nativi dei luoghi occupati, in contrapposizione ai conquistatori europei. In quest’ottica indigeno assume una connotazione negativa e spregiativa: infatti per gli esploratori e i colonizzatori le popolazioni già insediate nei territori appena scoperti erano semplicemente comunità di selvaggi che dovevano essere sottomessi, educati e civilizzati.
Oggi il termine ha perso la sfumatura di superiorità occidentale e viene utilizzato in maniera neutra per indicare le popolazioni native di determinati luoghi in cui hanno vissuto, in alcuni casi, fin dalla preistoria. Infatti, tra di esse, oltre alle popolazioni originarie americane, si annoverano tutte le comunità indigene del mondo, dagli Inuit del Circolo polare artico ai Tuareg del deserto del Sahara.
Ci sono circa 476 milioni di indigeni che vivono in 90 Paesi che danno vita a 5000 culture diverse e utilizzano la maggior parte di tutte le lingue parlate al mondo. Nonostante la loro sconfinata varietà culturale, queste comunità rappresentano appena il 6,2 % della popolazione mondiale e al contempo il 19% della popolazione più povera.
I popoli indigeni si distribuiscono su tutto il globo terrestre e spesso abitano in luoghi estremamente remoti che conservano quasi intatta la propria biodiversità. Secondo un report pubblicato su Indigenous World 2022 dell’organizzazione IWGIA – International Work Group for Indigenous Affairs, la Cina è il Paese con la più numerosa popolazione indigena – essendo anche al secondo posto nella classifica mondiale dei Paesi più popolosi – con 125,3 milioni di persone, seguita dall’India – primo Paese per popolazione al mondo – con 104 milioni e al terzo posto troviamo l’Indonesia con 60 milioni. Tuttavia, la Cina non riconosce ufficialmente l’esistenza di tutti i popoli indigeni, ma riconosce 55 differenti nazionalità etniche, mentre in India oltre 700 gruppi etnici sono riconosciuti ufficialmente.
È interessante notare che, se si confronta la popolazione indigena rispetto alla popolazione totale dei singoli Paesi, in Groenlandia e nella Polinesia Francese quasi l’intera popolazione è rappresentata da indigeni, rispettivamente con l’89% e l’80%. I popoli indigeni rappresentano un notevole fetta della popolazione in molti Stati dell’America Latina e dell’Africa. Mentre per l’Europa, ad eccezione dei Sami, ossia i lapponi, in Scandinavia, non ci sono dati recenti disponibili, ad esempio per Baschi e Tatari di Crimea.
Quali sfide devono fronteggiare?
Come detto sopra, queste comunità non rappresentano gruppi dominanti all’interno delle società in cui sono state inglobate, di conseguenza hanno spesso subito, e in certi casi subiscono tutt’ora, la mancanza di rappresentazione a livello politico e sociale e affrontano anche gravi difficoltà economiche e di sopravvivenza derivate dalle nuove dinamiche socioeconomiche mondiali.
L’accesso limitato alla sanità e all’istruzione causa infatti un rilevante accorciamento della vita rispetto alle popolazioni non indigene, fino a 20 anni in meno. Inoltre, le lingue degli indigeni si trasmettono principalmente oralmente e, non essendo insegnate nelle scuole, rischiano di scomparire: si stima che una lingua indigena scompaia ogni due settimane. Inoltre, avendo perso il controllo del territorio ormai occupato da governi e aziende che ne sfruttano le risorse e danneggiano l’ambiente a cui gli indigeni sono fortemente legati, sono costretti ad abbandonare la loro terra – che rappresenta l’80% della biodiversità mondiale – perdendo i legami con i loro antenati e i loro rituali ancestrali legati al territorio, nonché le fonti di cibo e sostentamento.
A causa dello sfruttamento territoriale, gli indigeni sono stati sottoposti a sradicamento e ricollocazione, come è accaduto agli Indiani d’America relegati nelle riserve. Alcune comunità hanno subito anche un processo di assimilazione forzata. In Canada nel XX secolo i bambini indigeni erano tolti alle famiglie d’origine e sistemati in collegi federali per essere “civilizzati” ai costumi canadesi: non era permesso parlare la propria lingua natia o esprimersi culturalmente. Anche in Australia ci furono fenomeni di questo genere. L’altra faccia della medaglia invece è rappresentata dal cosiddetto colonialismo green. Con questo termine, infatti, si fa riferimento alle modalità con cui i Paesi del nord del mondo hanno deciso di creare “fortezze” per la conservazione dell’ambiente nei Paesi del sud per la lotta al cambiamento climatico. Questo ha portato all’espropriazione di territori indigeni allo scopo di incorporarli in parchi nazionali, come accaduto in Tanzania, Uganda, Kenya, Nepal e Cambogia.
I diritti dei popoli indigeni
Un importante passo in avanti è stata la Dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni del 2007, composta da 46 articoli, che garantisce il diritto agli indigeni di autodeterminarsi e di godere di pari diritti rispetto alle popolazioni non indigene. Da notare che, quando venne richiesto il voto esplicito sulla dichiarazione, il 13 settembre 2007, ci furono 143 favorevoli, 11 astenuti e 4 contrari, ossia Stati Uniti d’America, Canada, Australia e Nuova Zelanda, Paesi che hanno avuto origine proprio come colonie dell’impero britannico e in cui la maggior parte della popolazione è rappresentata da popolazioni non indigine nonostante l’enorme varietà culturale presente al loro interno. Quasi un decennio più tardi, nel 2016, anche queste quattro nazioni diedero il proprio supporto alla Dichiarazione. La Dichiarazione fornisce linee guida per la promozione e la protezione dei diritti dei popoli indigeni. Vengono tutelati moltissimi diritti: autodeterminazione, identità spirituale, linguistica e culturale, proprietà intellettuale, partecipazione politica, tutela legale, sanità, protezione sociale, istruzione, proprietà della terra, libertà dalla discriminazione (per citarne alcuni).
UNESCO, ONU e moltissime organizzazioni internazionali si impegnano affinché i diritti degli indigeni vengano tutelati e rispettati, anche nell’ottica di una migliore vita sul nostro pianeta. Infatti queste popolazioni sono state in grado di vivere in modo assolutamente ecosostenibile integrandosi pienamente con il territorio e le sue risorse. Negli anni ci sono state molte azioni legali che hanno portato al riconoscimento delle comunità e alla riappropriazione delle terre, garantendo agli indigeni la possibilità di perpetrare il proprio stile di vita e la propria cultura.
Questa giornata internazionale è stata creata appunto per diffondere consapevolezza e conoscenza di queste comunità, per trovare sempre più sostenitori in modo che non si estinguano privando l’intera umanità di una ricchezza e varietà culturale inestimabile.
Sono laureata in traduzione e interpretariato con specializzazione in inglese e in russo. Adoro viaggiare per entrare in contatto con culture diverse e comprenderne gli usi e i costumi, infatti ho vissuto per un certo periodo a San Pietroburgo. Tra i miei maggiori interessi ci sono lo studio delle lingue, il cinema e la danza.