La malattia e la cura : L’antropologia medica
5 min readL’antropologia medica e lo studio del concetto di malattia e cura
Innanzitutto il termine salute deriva dal latino “salus” che significa salvezza e contiene altri diversi significati ossia salute intesa come condizione psicofisica dell’organismo e salute intesa come benessere.
La malattia è una condizione abnorme ed insolita che può colpire un organismo vivente e vegetale, caratterizzata da disturbi funzionali o comportamenti inconsueti volti a compromettere l’integrità e la sopravvivenza dell’individuo stesso, condizione che può essere transitoria o reversibile. ( Treccani)
Secondo il WHO la definizione ufficiale di salute da essa formulata è: “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non soltanto l’assenza di malattia” (1948) una risorsa nella vita quotidiana e non come obiettivo da perseguire in modo astratto.
Come tutti gli aspetti della vita umana presi in considerazione dall’antropologia culturale, anche quello della salute e della malattia è stato avvicinato dagli antropologi in una prospettiva “relativista”.
Se l’antropologia medica nasce proprio con l’obiettivo di indagare l’esperienza e la rappresentazione della sofferenza e della malattia all’interno delle diverse società umane (Pizza 2005), ha poi cercato di coniugare queste ricerche con la ricostruzione di processi sociali, culturali, economici e politici storicamente determinati.
È immergendo il corpo nella cultura e nella storia che ne possiamo mettere in discussione il carattere “naturale”.
D’altra parte anche in Europa vi erano altre concezioni del corpo, della salute e della malattia, che poi sono state confinate nella superstizione o nella magia, e oggi rienute assurde.
Le discipline antropologiche ci hanno permesso di riflettere criticamente sulla tradizione intesa come concetto mutevole e dinamico. Poichè le tradizioni possono non solo cambiare ma arricchirsi e ibridarsi.
Tutte le culture hanno una concezione complessa del disagio fisico e psichico e gli antropologi hanno dato il nome a tutto ciò : “sistemi medici”.
I quali rispondono a un tentativo più o meno coerente di spiegare e curare i disturbi sia fisici che mentali.
Nell’antropologia si sono sviluppate delle sottodiscipline, come Etno-medicina che si occupa della gestione della malattia fisica o Etno-psicologia ovvero lo studio dei disturbi psichici.
Il modo antropologico cerca di accostarsi alle concezioni della salute e della malattia evidenziando come non vi sia una medicina che possa considerarsi svincolata dal contesto sociale e culturale entro la quale viene praticata.
In molte culture dell’Africa per esempio non è pensabile curare le malattie fisiche e mentali senza chiamare in causa il contesto sociale della loro manifestazione.
Si pensi agli studi di Victor Turner, che descrive un rito curativo, chiamato Ihamba praticato dagli Ndembu dello Zambia nell’Africa Centro-meridionale.
Gli Ndembu fanno risalire certe malattie all’azione di un qualche antenato adirato con un individuo o con la sua famiglia. La cura-rito dello ihamba è una sorta di “terapia di gruppo” durante la quale i parenti del paziente devono manifestare in maniera pubblica i loro contrasti reciproci o il proprio risentimento nei riguardi del malato.Alla cura è presente tutto il villaggio: il male ha un origine sociale. La sofferenza fisica è dunque l’effetto di un “disordine” sociale.
Per quanto riguarda invece l’approccio in Occidente, prevale l’idea che lo stato di malattia fisica abbia solo cause di tipo organico, cioè biologico : si chiama paradigma “biomedico”. Una volta diagnosticata una malattia, soprattutto se grave, la persone ammalata viene inquadrata come soggetto “altro”, separata dalla comunità familiare e lavorativa.
In questa dualistica differenza si nota che nelle culture dell’Africa non è pensabile curare le malattie fisiche e mentali senza chiamare in causa il contesto sociale della loro manifestazione mentre nel mondo occidentale prevale l’idea che lo stato di malattia fisica abbia solo cause di tipo organico, cioè biologico.
Esistono dunque sistemi medici che sono la risposta organizzata che i vari gruppi sociali elaborano nei confronti della malattia.
L’antropologia e le scienze sociali affrontano e indagano le questioni della salute e della malattia ma anche del senso della guarigione e dei sistemi di cura.
In particolare l’Etnomedicina, citata in precedenza, studia e annota i diversi sistemi di approccio locale al problema della malattia, della cura e della guarigione, soprattutto con riferimento ai grandi sistemi elaborati dalle tradizioni culturali.
La concezione di malattia stessa ha una connotazione non solo diversa ma estremamente differente a seconda delle culture, esempio evidente sono gli studi sul concetto di malattia mentale nella medicina cinese, nelle culture tribali africane o nel sistema Ayurvedico.
Il concetto stestto di sofferenza è in generale per molti paesi africani un compagno fedelissimo della vita quotidiana. In molti casi si sopravvive prima di vivere. Spesso la sofferenza è collettiva, ed in altri casi è personale o familiare. In ogni caso, che il dolore o la sofferenza siano personali o collettivi, le loro conseguenze vengono condivise da tutti.
Anche in casi di malattie non trasmissibili, la credenza tradizionale, significando la malattia come
manifestazione del male, ritiene che la sua evenienza non si circoscrive a chi si ammala,
ma tendente alla propagazione.
L’utilità degli studi antropologici ed etnomedici è evidente nel mondo globalizzato, dove proprio la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha pensato e introdotto modelli biologici dove la dualità tra sistemi medici occidentali o biomedici si integrano con quelli tradizionali o tribali.
Ed ecco perchè risultano importanti per esempio gli studi e le analisi di tutti i rituali curativi ad esempio quelli in cerchio intesi come terapia di gruppo che sono tipici alle società native del Nord America, delle danze africane, del Dreamtime aborigeno australiano che ci svela la necessità di accompagnare l’individuo che, solo non riesce ad affrontare il percorso che lo può riportare alla salute.
Il concetto di medicina tradizionale
Rispetto all’individuo, le medicine tradizionali indiana e cinese spostano di nuovo l’asse sulla persona lasciando la comunità estesa più sullo sfondo. In una visione, per certi aspetti più simile alla medicina “biomedica”.
Ma nelle medicine tradizionali, la percezione del proprio corpo è un sapere che va sviluppato, mentre rimane poco esplorato nella medicina occidentale.
Queste medicine fanno un passo oltre: insegnano ad ascoltare il proprio corpo, i suoi bisogni, a percepire con centinaia di sensi “segreti” che cosa sta accadendo all’interno del nostro sistema biologico e coerentemente con il mondo esterno.
Il “silenzio del corpo” c’è quando tutti gli organi sono in armonia, registrando quindi l’assenza della malattia e del dolore.
Il ruolo dell’antropologia medica
L’apporto che le scienze sociali con i loro studi forniscono è quello di mostrare diverse visuali dell’approccio a malattia e alla cura, “al malato” e alla loro coestitenza nonchè utilità all’interno di contesti culturali mondiali .
Mi sono laureata in Lettere con indirizzo antropologico-geografico presso l’Università di Salerno. Ho conseguito due master: in Marketing presso lo IED di Milano e in Logistica Internazionale presso l’Università di Firenze. Ho fatto della Antropologia e della Etnografia una passione ed un lavoro. Attualmente sono docente di italiano nella scuola secondaria di primo grado, occupandomi di antropologia sociale e culturale della preadolescenza. Leggere è la mia passione, scrivere il mio impulso irrefrenabile.