Ottobre 31, 2024

La scienza del sonno

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Quello del sonno è un universo sconfinato e pieno di misteri. Cerchiamo di capire per quali ragioni passiamo 1/3 della nostra vita a dormire

Il sonno ha ispirato una quantità impressionante di poeti, scrittori e artisti, da Omero a Goya, da Shakespeare a Baudelaire, da Cicerone ad Edgar Allan Poe. Dalla notte (per l’appunto) dei tempi il sonno suscita un fascino macabro, conturbante, onirico e delicato sulla nostra specie. Ma quanto ne sappiamo realmente dal punto di vista scientifico? Che cosa si nasconde dietro a uno dei fenomeni più affascinanti che pervade la nostra esistenza?

L’idea di dormire può incutere sensazioni contrastanti. Se da un lato c’è chi ama profondamente il sonno e aspira a farne la propria ragione di vita, avvolto tra materasso e coperte come un panino, dall’altra c’è chi lo rifugge per ascoltare il canto d’amore dei grilli e riflettere sul senso dell’esistenza, mentre la frenesia della città si spegne e si risveglia quel senso panico di appartenenza all’Universo. Le persone che appartengono a queste due categorie (la cui determinazione in realtà afferisce a una certa influenza genetica) in gergo assumono i connotati di “gufi” e “allodole”. Ma al di là delle nostre inclinazioni esistenziali e dei nostri amori impossibili con il letto, il ritmo biologico della vita e la scienza del sonno parlano chiaro e ci spiegano come quantità e qualità del sonno, scandite secondo determinati ritmi, siano essenziali per preservare la nostra salute e la nostra integrità mentale.

Dormiamo per assolvere un ricchissimo ventaglio di funzioni. Il sonno offre una copiosa costellazione di benefici: ci dà la possibilità di sprofondare in un bagno alchemico che addolcisce memorie dolorose e stimola la creatività; rafforza il sistema immunitario, equilibra l’insulina e il glucosio nel sangue, mantiene in salute il nostro microbiota intestinale. Non è un caso che la natura abbia destinato 1/3 della nostra vita al sonno. E non solo la nostra: a dormire sono anche insetti, anfibi, rettili, uccelli, pesci e persino alcuni organismi unicellulari come i batteri presentano delle fasi di attività e inattività simili alle nostre fasi di sonno-veglia.

Cosa c’è di più bello di un gatto che dorme? Nulla!

L’esperimento che portò a intuire che il ciclo sonno-veglia fosse scandito e memorizzato all’interno dell’organismo fu eseguito nel 1729 dal geofisico francese Jean-Jacques Dortous de Marain, il quale stava studiando i movimenti delle foglie di una specie eliotropica. Dopo aver osservato il comportamento della Mimosa pudica provò a chiuderla 24 ore in una scatola buia per privarla dei raggi di Sole. Osservandola ogni tanto, avendo premura di non illuminarla troppo, ebbe modo di notare che la Mimosa continuava a muoversi, come se fosse ancora inondata dalla luce del giorno.

Un esperimento molto più estremo venne condotto nel 1938 da Nathaniel Kleitman insieme al suo assistente, Bruce Richardson. I due accolsero l’idea folle di recarsi alla Mammoth Cave, nel Kentucky, una delle grotte più profonde di tutto il pianeta. Qui diedero forma alla loro nicchia vitale, alloggiando in uno spazio cinto da secchi d’acqua e altri ostacoli per impedire a qualche ospite indesiderato di disturbare il loro sonno. Naturalmente portarono con sé delle scorte di cibo e acqua, insieme a strumenti per valutare la temperatura corporea e altri parametri.

L’esito dell’esperimento fu un successo: dopo 32 giorni non solo uscirono con una barba di tutto rispetto, ma anche con dei risultati scientifici validi. Entrambi infatti, nonostante il buio quasi totale e perenne, rispettarono un pattern prevedibile e ripetuto, caratterizzato da una veglia di circa 15 ore, seguita da 9 ore di sonno. Scoprirono che ciascuno di loro possedeva un “giorno interiore”, relativo all’età. Richardson, che aveva meno di 30 anni, sviluppò un ciclo sonno-veglia tra le 26 e le 28 ore, mentre quello di Kleitman, poco più che quarantenne, era di poco superiore alle 24 ore.

Il ritmo circadiano (da “circa” ossia “quasi” e “diem” ossia giorno) è scandito da un orologio biologico situato nel cervello, chiamato nucleo soprachiasmatico, costituito da 20.000 cellule cerebrali. “Soprachiasmatico” significa sopra un punto di incrocio, è posto infatti sopra il crocevia tra i nervi ottici, che provengono dai bulbi oculari. La sua funzione è quella di trasmettere i segnali luminosi percepiti dagli occhi per poi inviarli alla parte posteriore del cervello, dove saranno processati.

La formula chimica della melatonina

Il nucleo soprachiasmatico comunica con il cervello attraverso la melatonina, la quale scorre nel sangue e raggiunge la ghiandola pineale. Una maggiore emissione di melatonina nel circolo sanguigno, favorita durante le ore notturne, avvisa l’organismo che è giunta l’ora di abbandonarsi alle braccia di Morfeo. In animali notturni come grilli o volpi questo ormone viene rilasciato soprattutto di giorno. Sì, lo stesso vale per i nostri amati e cari pipistrelli, come quello che stava appollaiato sul trespolo per fatti suoi prima di finire nelle fauci di un cinese che avrebbe inconsapevolmente scritto la storia del mondo. In modo parallelo l’adenosina è una sostanza che si accumula durante le ore di veglia. La conseguenza di un accumulo massiccio dell’adenosina è una sorta di spinta chimica che induce la sonnolenza. Tendenzialmente il picco di adenosina si registra tra le 12 e le 16 ore di veglia.

La caffeina è la seconda merce più scambiata al mondo dopo il petrolio. Interferisce con la produzione di adenosina, disattivando i recettori che l’accolgono e la fanno funzionare. In altre parole è come se fosse un muro che impedisce all’adenosina di espletare il suo sporchissimo lavoro. Il problema è che la caffeina possiede un’emivita (in farmacologia è il tempo necessario a un farmaco affinché la sua dose venga dimezzata) molto alta: dalle cinque alle sette ore; questo significa che l’organismo ha bisogno di molto tempo per smaltirla.

Quello del sonno è un universo sconfinato e pieno di misteri. Cerchiamo di capire per quali ragioni passiamo 1/3 della nostra vita a dormire

Nel momento in cui la caffeina viene smaltita la barriera che ha creato crolla. A questo punto l’adenosina, che si era accumulata fino ad allora progettando un attentato alla nostra concentrazione, ha via libera ed esplode, legandosi impetuosamente ai recettori provocando l’insorgenza di una stanchezza irresistibile, che verrà eventualmente contrastata assumendo altro caffè. Questa è la ragione per cui nasce la dipendenza da caffeina.

Sul sonno ci sarebbe ancora molto da dire, ma per oggi ci fermiamo qui. Se apprezzi i nostri contenuti seguici su Instagram, su Facebook e condividi i nostri articoli! Inoltre, se ti è piaciuto questo articolo e ti interessa l’argomento, ti invito a consultare l’intervista che abbiamo fatto a Giulio Bernardi, un ricercatore che si occupa proprio di questo.

2 thoughts on “La scienza del sonno

  1. mi sta intrigando da un po’ di tempo questa curiosità: quando ci si addormenta i sensi si perdono con una sequenza predefinita, a caso o tutti assieme? mi sa consigliare dove potrei trovare una risposta? grazie Lorenzo

    1. Ciao Lorenzo! La tua è una domanda interessante, non saprei darti una risposta precisa in merito. Ma per “aggirare il quesito” ti direi che il primo senso a spegnersi, essendo funzionale all’addormentamento, immagino che sia la vista. Al netto di vari “sogni ad occhi aperti”, non mi è mai capitato di addormentarmi senza chiudere gli occhi

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