Novembre 21, 2024

La vita in uno Star Destroyer: se la gravità nei film fosse reale

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Cosa accadrebbe se immaginassimo di costruire una gigantesca astronave simile ai celebri incrociatori stellari del film Star Wars?

Le pellicole di fantascienza ambientate nello spazio rappresentano ormai da decenni una cospicua parte della letteratura cinematografica. Epiche battaglie con armi futuristiche, mondi lontani ed enormi astronavi dalle forme più disparate stimolano la nostra immaginazione, traghettandoci verso un Universo ancora ignoto ed affascinante. Talvolta film e serie tv sul tema “science fiction” sembrano così convincenti da portarci a credere che la vita nello spazio possa davvero svolgersi così come viene rappresentata. Sarebbe sicuramente entusiasmante entrare all’interno di un piccolo veicolo spaziale, sedersi comodamente al posto di comando e, cinture allacciate, volare via dalla Terra pilotando l’astronave tra le stelle come un go-kart.  Ma è davvero così semplice?

La risposta è ovviamente no. La fantascienza ha il suo più grande pregio nell’esulare dalla realtà quotidiana; essa aggiunge una componente surreale, spesso basata sulle nostre conoscenze pregresse, per dar forma a qualcosa di nuovo nello sfogo della nostra fantasia. Certo, capita spesso che la fantascienza riesca ad anticipare l’avvento di nuove tecnologie, proprio grazie a quel pizzico di intuito che è alla base del progresso, ma che poi deve essere alimentato e modellato dal pensiero critico del metodo scientifico.

Sebbene non vada dimenticato che la fantascienza sia pura finzione, pensata per intrattenere e deliziare, può essere interessante riflettere sulle assurde conseguenze del trasformare alcuni eventi dei nostri film preferiti in realtà. Ed in pieno spirito nerd, voglio dedicare questa riflessione ad uno dei franchise più famosi degli ultimi 40 anni, ovvero Star Wars.

Era una fredda sera di febbraio prima del lockdown; io ed il mio collega/coinquilino, da poco rientrato da una missione in Antartide, stavamo sorseggiando una birra in attesa che il nostro spezzatino con julienne di verdure arrivasse alla cottura desiderata. Sullo sfondo, appoggiato sul mobile accanto all’ingresso, si stagliava fiero uno dei miei ultimi acquisti: un modellino in costruzione di Star Destroyer, uno degli incrociatori dell’armata imperiale nella serie Star Wars dalla caratteristica forma triangolare. Con le sue dimensioni non del tutto indifferenti (oltre 110 cm) attirava continuamente i nostri sguardi. Inutile dire che, tra una chiacchiera e l’altra, l’argomento della discussione è presto sfociato proprio sull’astronave e (forse con qualche dose alcolica di troppo) sulla possibilità di costruire realmente un oggetto del genere per viaggiare nello spazio interstellare.

Sorvoliamo gli inutili dettagli tecnici di DOVE e COME costruire un’astronave colossale sulla Terra (considerando che, stando alle descrizioni trovate in rete, uno Star Destroyer dovrebbe raggiungere una lunghezza di oltre 1500 m, circa cinque navi da crociera in fila), senza contare la quantità di energia necessaria per farla sfuggire dall’attrazione del nostro pianeta. Concentriamoci sulla reale possibilità di vivere all’interno di un incrociatore di tali dimensioni; immaginiamo per un attimo di essere comandanti dello Star Destroyer, nella cabina di comando della nave, impegnati a dare ordini all’equipaggio.

Probabilmente, il primo problema che dovremmo porci sarebbe quello di riuscire a camminare o, ancora più semplicemente, capire come stare in piedi.  Non possiamo infatti dimenticare l’effetto di quella forza che “move il Sole e l’altre stelle”; non l’Amore, come citava Dante nel verso che conclude la Divina Commedia, ma la gravità, l’ultima delle quattro interazioni fondamentali della natura che governa l’Universo su larga scala.

Siamo abituati a percepire la gravità del nostro pianeta attraverso l’accelerazione che ci fa “cadere verso il basso”. Ogniqualvolta lanciamo un oggetto, saltiamo o banalmente saliamo una rampa di scale, avvertiamo questo effetto di ritorno che ci porta inevitabilmente a toccare il suolo. Poiché la nostra vita, anche e soprattutto dal punto di vista biologico, è basata proprio sulla struttura della gravità terrestre, può sembrare naturale pensare che anche a bordo di un’astronave le cose non siano tanto diverse. Purtroppo non è così: la forza di gravità è fortemente legata alle dimensioni e alla forma dell’oggetto che la esercita su di noi.

Innanzitutto occorre fare una distinzione essenziale: un conto è parlare di forza gravitazionale, un conto è parlare di campo e potenziale gravitazionale. Anche se spesso i concetti vengono confusi, campo e potenziale si riferiscono all’effetto causato nell’Universo circostante dalla presenza di un singolo oggetto, per esempio la Terra. La forza è invece l’interazione reciproca che avviene tra due oggetti, ad esempio la Terra e noi stessi; come tale essa dipende da entrambe le quantità in gioco. In parole spicciole, la forza gravitazionale tra Terra e Luna è miliardi di volte maggiore della forza tra Terra ed essere umano, sebbene il campo gravitazionale generato dalla Terra abbia sempre la medesima espressione.

Veniamo al secondo punto fondamentale: la gravità sulla superficie del nostro pianeta.  L’interazione gravitazionale viene definita di tipo centrale, ovvero la forza che noi avvertiamo aumenta man mano che ci avviciniamo al centro della nostra sorgente (in questo caso la Terra). Inoltre, l’intensità di questa interazione, a parità di distanza, è la stessa in ogni direzione. Poiché il pianeta ha più o meno una forma sferoidale (sebbene ci sia chi ancora sostiene il contrario, cit.), un essere umano avverte la stessa forza di gravità in ogni punto sulla superficie. Ecco perché fare una passeggiata in piano a Milano o farla a Londra, in termini di fatica per le nostre gambe, ha lo stesso risultato.

La forma di uno Star Destroyer è tutto fuorché sferica; calcolare il campo gravitazionale e la forza che agirebbe su un povero soldato delle truppe Imperiali è molto complicato; soprattutto considerando la struttura complessa della nave spaziale. Con qualche semplificazione e l’aiuto di una piccola simulazione numerica, sono riuscito a determinare in linea di massima che cosa accadrebbe stando dentro o nei pressi della nave spaziale.

Inutile dire che, considerando la massa totale dell’incrociatore, smisurata ai nostri occhi ma irrisoria se confrontata alla massa della Terra, il campo gravitazionale complessivo risulta circa un milionesimo di quello generato dal nostro pianeta. In pratica nessuno di noi avvertirebbe nulla, ma fluttuerebbe allegramente tra i corridoi della nave. Tuttavia, procedendo nel nostro folle viaggio mentale, proviamo a chiederci cosa accadrebbe se il triangolone spaziale avesse una gravità media dello stesso ordine di grandezza di quella sulla superficie del nostro pianeta, una decina di metri al secondo quadrato.

Per il lettore interessato, di seguito qualche dettaglio in più; i due grafici sottostanti mostrano la struttura dell’accelerazione di gravità avvertita ad un metro di altezza rispetto al pavimento. Nel primo, viene rappresentata l’accelerazione agente lungo la direzione dell’asse del triangolo (la lunghezza della nave). Le zone nere indicano una spinta verso il fondo della nave mentre le zone gialle denotano una spinta verso la punta del triangolo. Il colore rosso corrisponde invece alle regioni dove la forza di gravità è minore.  Nel secondo grafico ho riportato l’accelerazione che sentiremmo verso destra (giallo) o sinistra (nero) nelle varie aree dell’incrociatore.

Accelerazione di gravità nel modello di Star Destroyer lungo la direzione verticale (sinistra) ed orizzontale (destra) percepita ad un metro dal pavimento

Tirando le somme, stare sul fondo o sulla punta della nave ci farebbe schizzare verso il suo centro; analogamente, manovrare una torretta sui bordi sarebbe piuttosto complicato perché questa verrebbe spinta verso l’interno dell’astronave. Nelle vicinanze dei bordi sono addirittura presenti zone dove, a distanza di pochi metri la gravità raddoppia o dimezza; immaginate che, allungando un braccio, la punta di quest’ultimo viene tirata con il doppio della forza rispetto al resto del corpo.  Insomma, tutt’altra storia rispetto ai movimenti fluidi mostrati nei film.

Se questa psichedelica elucubrazione ci ha insegnato qualcosa (oltre all’avvertimento di non dare mai un pc in mano ad un fisico), potremmo dire che per quanto affascinante e maestosa, la forma dello Star Destroyer non sarebbe certo la più adatta per una futura astronave dedicata al viaggio interstellare. Ora scusate, ma devo tornare ai miei calcoli per capire se sarebbe saggio cucinare un piatto di spaghetti al centro della Morte Nera.

Passo e chiudo

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