La vita inizia da un miliardo di esempi
6 min readÈ l’11 maggio del 1997, la guerra fredda è finita da pochi anni. Stati Uniti e Russia si affrontano di nuovo, questa volta, però, davanti ad una scacchiera. La Russia schiera Gary Kasparov, probabilmente il più grande scacchista in carne e ossa mai esistito. Gli Stati Uniti mettono in campo Deep Blue, un’intelligenza artificiale sviluppata da IBM con l’esplicito compito di battere Kasparov.
È il sesto fatidico match tra di loro. C’è una pressione nell’aria incredibile. I commentatori dell’epoca parlano di “the brain’s last stand”, l’ultimo baluardo di difesa del cervello umano (mica male!). Il risultato? Lo conosciamo tutti: vince Deep Blue. È la più sonora batosta mai inferta all’intelligenza umana se non perché gli scacchi rappresentano il vertice dell’intelletto.
Pensiamoci, il più grande scacchista mai esistito viene sconfitto da un computer che è infinitamente meno potente di quello che abbiamo in tasca e che per lo più utilizziamo per postare, commentare o chattare. Ne ha fatta di strada la tecnologia in vent’anni, eppure, non ce ne siamo nemmeno (quasi) accorti. E quanta ne farà nei prossimi venti?
Fra vent’anni i nostri figli si staranno affacciando sul mondo del lavoro con una tecnologia che cresce esponenzialmente. Cosa diciamo a questi ragazzi? Che è inutile che si trovi uno sbocco lavorativo? E che nella migliore delle ipotesi fra vent’anni le macchine faranno meglio quello che potrebbero fare loro, più velocemente e magari a costo zero? Nella peggiore delle ipotesi, invece, le macchine ci soggiogheranno e si vedranno dei cervelli in vitro.
Fortunatamente in tanti, come me, non credono che sia questo il paradigma. Si parla tanto dell’era dell’intelligenza artificiale ma oggi sarebbe più corretto parlare dell’era dell’intelligenza aumentata. Per capire meglio il concetto di intelligenza aumentata torniamo alla gara di Kasparov-DeepBlue e proviamo a fare un passo in avanti.
Della famosa partita un po’ tutti ne sono a conoscenza, ma quello che non tutti sanno è ciò che è accaduto il giorno dopo. È il 12 maggio del 1997, Garry si sveglia nella sua stanza d’albergo e rosica. Ma rosica tanto. Non gli va proprio giù il fatto di essere stato battuto da una stupida e ignorante macchina, programmata da chissà che nerd, nel suo basement nell’Oklahoma.
“Lui è il grande campione e ci deve essere stato un trucco: ci deve essere un grande maestro dietro le quinte che fa finta di essere un algoritmo”. Con questa idea nella mente Gary Kasparov, nel corso dell’anno successivo, crea un nuovo torneo di scacchi in stile freestyle dove uomo e macchina collaborano e si sfidano.
Nel 2005 si svolge un particolare torneo in cui si sfidano e si affrontano i cosiddetti “centauri”: delle squadre miste di intelligenza artificiale e intelligenza umana. Lo scopo è proprio quello di cercare di capire chi avrà la meglio e quale combinazione funzionerà bene.
Già da tempo era acclarato che fosse impossibile battere un’intelligenza artificiale realmente forte. Quindi in realtà la risposta – se procediamo secondo la logica – dovrebbe essere abbastanza ovvia.
Facciamo un esempio: se io ora volessi fare un doppio a tennis e decidessi di giocare con Federer, sicuramente non sarà il mio supporto ad aumentare le sue probabilità di vittoria, anzi, probabilmente Federer vorrà giocare da solo contro due avversari piuttosto che avere di fianco un giocatore come me che non può che limitarlo.
Ecco, negli scacchi non fu questo ciò che accadde. Un campione di scacchi assieme ad un’intelligenza artificiale, non solo vinceva regolarmente contro le singole intelligenze artificiali ma a vincere questo torneo furono due ragazzi – due giocatori mediocri che non sono passati alla storia se non per questo – assieme a tre computer che singolarmente erano tutti e tre molto limitati e deboli, rispetto all’algoritmo più importante di allora che si chiamava Hydra.
Se ci pensiamo è pazzesco. È la prima dimostrazione che se uniamo l’intelligenza artificiale con quella umana otteniamo qualche cosa che è molto più grande della somma delle singole parti.
Questi due ragazzi facevano giocare la partita ai tre computer e in caso di accordo (fra algoritmi) optavano per la loro proposta.
Ma la magia avveniva quando c’era il disaccordo, ossia quando i tre computer avanzavano mosse completamente differenti. A questo punto entravano in scena i due ragazzi, analizzavano la partita a 360° con dei criteri differenti da quelle delle intelligenze artificiali cercando di capire e di interpretare il perché gli algoritmi avessero indicato delle valutazioni diverse rispetto alle mosse da fare.
In questo modo prendevano una decisione loro. Questo portò alla vittoria del torneo. Non fu una vittoria né dell’intelligenza artificiale, né di quella umana. Fu una vittoria del processo di collaborazione dei due sistemi.
Fu vero nel 2005 negli scacchi tanto quanto lo è oggi, nel 2021, in qualunque ambito in cui noi possiamo pensare di applicare l’intelligenza artificiale. E questo deriva da alcuni limiti costitutivi legati a come è pensata oggi l’AI.
Innanzitutto, un primissimo limite è quello che si è soliti esprimere attraverso il seguente motto: “Life begins at a billion examples”. La vita (artificiale) inizia da un miliardo di esempi. Questo non è un segreto per nessuno: le reti neurali robuste necessitano di addestrarsi su un set di dati molto corposi, milioni se non addirittura miliardi di dati.
Pensiamo a come apprende l’uomo, vale lo stesso anche qui?
In realtà noi non abbiamo bisogno di accedere a milioni di esempi per arrivare ad un buon livello di affidabilità, in aggiunta siamo anche flessibili. L’intelligenza artificiale non riesce ad uscire dal solco tracciato dal suo apprendimento poiché per sterzare, un sistema che si è addestrato su milioni e milioni di dati, ci vorrà molto tempo in quanto non bastano pochi dati (verrebbero considerati come anomalie). Noi esseri umani siamo in grado di considerare l’unicità delle situazioni e valutarle caso per caso.
Il secondo limite di cui dovremmo essere consapevoli è legalo al fatto che l’AI eccelle in modo supremo nei cosiddetti sistemi chiusi, ossia quei sistemi (scacchi, Go, dama ecc.) che seguono delle regole che sono uguali da 1500 anni.
Provate a cambiare una stupidissima regola; aggiungete una riga alla scacchiera, rendetela rettangola o invertite torri coi cavalli. Un campione di scacchi non avrebbe nessun problema ma neanche un giocatore mediocre si troverebbe in difficoltà ad adattare il proprio modo di giocare. L’algoritmo, invece, andrebbe in panne, diventerebbe un bambino che non ha mai visto una scacchiera perché non è in grado di generalizzare il proprio apprendimento. Mentre ad un bambino (in carne e ossa) gli basta vedere una o due volte un cane per farsi un’idea di come sono fatti i cani (per generalizzare).
L’algoritmo non ha solo bisogno di tanti dati: se cambiano le regole del gioco deve necessariamente essere riaddestrato di nuovo. L’AI (ristretta) non funziona laddove le regole cambiano minuto per minuto, basti pensare alle auto a guida autonoma.
Questo non vuol dire che sono da buttare via, anzi, è grazie a queste tecnologie che abbiamo fatto un salto in avanti nell’elaborazione di dati ed estrapolazione di informazioni utili per svariate applicazioni.
Ci sono altri limiti come il black box effect e i bias che sono sotto osservazione e approfondimento e che, insieme agli altri due, rappresentano un problema centrale di quasi tutte le università e i centri di ricerca.
L’Intelligenza Artificiale pura è l’insieme di discipline matematiche, informatiche ed ingegneristiche che consente di svolgere compiti ritenuti un tempo appannaggio esclusivamente umano, indirizzando problemi che vengono risolti dall’uomo tramite la propria intelligenza.
In questo contesto, si riconosce all’algoritmo una propria autonomia: una volta effettuato l’addestramento, il sistema volontariamente inizia l’azione nel suo ambiente e persegue degli obiettivi senza confrontarsi con nessuno.
Al contrario, l’Intelligenza Aumentata integra e supporta la pianificazione, l’analisi ed il pensiero umano, mantenendo inalterata la visione dell’uomo come “attore” al centro dell’interazione uomo-macchina. In tal senso, la vita inizia per davvero e l’intelligenza esplode da un miliardo di esempi.
LINK UTILI:
Is augmented intellgence the best perspective on AI?
Thinking machines: the search for Artificial Intelligence
Sono un ricercatore presso Co.Mac – CFT, un importante gruppo italiano che opera nell’ambito degli impianti industriali. Laureato in ingegneria Meccanica con specializzazione in Meccatronica al Polimi. Attualmente studio automazione con particolare focus verso gli algoritmi di intelligenza artificiale e le sue applicazioni nel mondo reale.
Comunicare significa donare parte di noi stessi, ed è questo il motivo per cui la divulgazione scientifica è una delle mie più grandi passioni.