L’ANTROPOLOGIA DEL MANGIARE – 2
6 min readTorniamo a parlare del cibo come cultura dell’umanità
L’antropologia del mangiare e del cibo o Food Studies sono importanti poichè in quanto «elemento culturale primario» il cibo è un ottimo punto di partenza per conoscere gli altri. E per tenere traccia delle innumerevoli impronte che i movimenti dell’uomo hanno dato al mondo.
Il cibo comunica, parla, crea legami, si pensi che compagno deriva dal latino cumpanis, cioè condividere il pane con qualcuno, comunica sentimenti di conoscenza, amicizia, intimità. Nella gerarchia sociale ci fa capire l’età, il genere e lo status di un individuo.
Le culture, così come le abitudini, che siano esse alimentari o di altro tipo, cambiano nel tempo, si muovono e si evolvono, come e insieme alle persone. Già nella metà del secolo scorso Lévi-Strauss individua ed esempio nella semplice cottura del cibo un elemento fondante dell’ordine culturale, il mediatore del passaggio di una società dallo stadio naturale a quello delle regole sociali.
Sempre per Lévi- Strauss ad esempio Il fuoco è elemento di mediazione fra uomo e natura fino a stabilire un legame tra “cotto”e “socializzato”.
La globalizzazione , per tornare a noi, ci ha portato in un mondo dove più di una persona ogni 35 è migrante, le appartenenze sono per natura sempre più ibride e sradicate ma possono contribuire alla mescolanza e alla nascita di nuove affiliazioni.
E in conseguenza di ciò che ci concentriamo sempre più sul cibo in relazione all’uomo, sulle storie delle singole persone, sul significato che la cucina ha per costoro. Rispondere alle tante domande sulle molteplici abitudini e usi e osservare questi cambiamenti è il lavoro che svolge l’antropologia del cibo o anche antropologia del mangiare
Essa ha la possibilità di rispondere a strane o inusuali domande o scoperte storiche e simboliche.
Ecco alcuni esempi e campi di indagine.
Il primo esempio è nella patria della soppressata e della ‘nduja ovvero in Calabria, precisamente a Lungro, provincia di Cosenza, dove il Mate , bevanda simile al tè ma più aspra e aromatica, è protagonista come in Argentina, o forse anche più.
Qui la cultura, e la coltura, del mate si tramandano da generazioni; la bevanda viene consumata come da tradizione, quella medesima che vediamo fare agli argentini : in compagnia, senza alcun device elettronico per gustarlo con convivialità, nella zucca e con la “bombilla” la cannuccia di metallo utilizzata per berlo.
Lungro è un paese arbëreshë, albanofono, in cui la yerba mate è tra i prodotti più consumati, diventando una vera e propria eccellenza del luogo. Al punto da meritarsi anche un museo dedicato all’interno del borgo chiamato “la Casa del mate” e addiriturra in suo onore una giornata: il primo agosto.
La curiosità degli antropologi ha voluto indagare sul perché in questo comune da poco meno di 3000 anime vive e sopravvive questa cultura, per tradizione, così lontana dall’identità nostrana.
Ed è cosi che scopriamo che il merito è della comunità locale, di origini albanesi, che a fine 1800 è emigrata in Argentina, prima inviando prodotti locali ai parenti rimasti in Calabria, poi tornando nel Paese d’origine, in particolar modo dopo l’Unità d’Italia, portando con sé anche tradizioni e usanze tipiche nella nazione dell’albiceleste.
Il cibo ha fatto il giro lungo, per fermarsi proprio lì, attraverso ben tre culture diverse e così nel flusso migratorio che ha portato molti arbëreshë di Lungro in Argentinae poi di nuovo in Iitalia, si sono consolidati i valori di convivialità. Proprio a Lungro di Calabria.
Nel secondo esempio possiamo citare gli innumerevoli studi sulla capacità di panificare che ha avuto un’importanza sostanziale nella civiltà umana.
Per gli antropologi conoscere il pane implica il indagare quali sono le sostanze di cui è fatto, le tecniche e i saperi necessari alla sua produzione e al suo consumo e, infine, le reti di relazioni sociali e i significati culturali che caratterizzano le tante forme che assume.
Il pane rappresenta per l’uomo il riscatto dalla fame ma anche la capacità di dominare la natura.
Nella civiltà contadina il pane è il simbolo per eccellenza dei cicli stagionali e si inserisce in tutta quella serie di riti che servono a riscattare da quel senso di insicurezza e precarietà su cui si basava il vivere quotidiano.
Gli ingredienti possono cambiare anche a seconda dei destinatari del suo consumo, ricchi o poveri, ma anche in base alla loro simbologia, questo vale in special modo per i pani votivi e cerimoniali.
È facile capire come il pane influenzi una cucina, ecco perché quando cambiano gli ingredienti, le tecnologie della cottura e la preparazione, vengono compromessi e cambiano non solo le relazioni sociali, ma anche la produzione agraria, la salute e la cultura stessa.
Un terzo esempio, di campo di indagine dell’antropologia del mangiare semplice da approcciare è lo studio di diversi stili alimentari ( e i relativi cambiamenti ) dettati da motivi religiosi (musulmani, ebrei, cristiani) o da elementi etici (vegetariani, vegani, etc.) che fanno distinzione fra cibi buoni per il corpo, cibi buoni per la mente e cibi buoni per l’anima.
Sono queste le differenze che vengono studiate dall’antropologia del mangiare per cercare di capire come si formi anche l’immagine esterna che ogni classe sociale propone di se.
Basti pensare come in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta le classi dominanti erano orgogliose di essere le protagoniste dell’assioma “grasso è bello”; oggi invece è l’essere “magri e snelli” a rappresentare il modello di riferimento del corpo, e per converso l’obesità e l’essere grassi sono letti con una valenza particolarmente negativa.
La moderna cucina sempre presente nei media esalta il consumo di cibi carichi di grassi e zuccheri, decisamente voluttuosi, dall’altro crea un forte senso di colpa e di pentimento per chi è in sovrappeso e obeso, condannandolo come malato sociale.
Ecco che ci si rimpinza morbosamente di pietanze gustose e piene di sapori forti per poi autopunirsi con ore e ore di sfiancanti esercizi ginnici da praticare in palestre iperattrezzate e costose.
Ultimo esempio di indagine è l’estetizzazione del cibo visto come “bello da mangiare e vedere”, in un sistema di pensiero alimentare che qualcuno ha definito “barocco alimentare”: identificato con il bello, l’appariscente, lo strabiliante, il colorato e il meraviglioso.
E legato a questo fenomeno c’è la trasformazione della cucina da tradizione ad innovazione e di come le persone vengono fascinate da esso.
Possiamo certamente concludere che le relazioni tra cibo, modo di procurarselo e modo di consumarlo, sono in stretta connessione con le risorse dei luoghi abitati dagli uomini, dei rapporti sociali, della cultura, delle migrazioni e degli atteggiamenti mentali di ogni popolazione.
Esso rappresenta uno dei tratti evolutivi che hanno accompagnato e accompagnano l’uomo nel suo cammino.
Si può definire sicuramente il rapporto cibo-uomo come un rapporto culturale bi-direzionale.
Oggi, in questo mondo globalizzato, queste relazioni sono più che mai in trasformazione : dalla coltivazione, alla raccolta, alla conservazione e infine la preparazione del cibo; gli aspetti sociali, psicologici e antropologici a cui il “mangiare” è collegato hanno subito profondi mutamenti e l’antropologia del mangiare e del cibo si pone l’obiettivo di scoprire nuove implicazioni che se ne stanno nascoste dietro ad ogni alimento.
Mi sono laureata in Lettere con indirizzo antropologico-geografico presso l’Università di Salerno. Ho conseguito due master: in Marketing presso lo IED di Milano e in Logistica Internazionale presso l’Università di Firenze. Ho fatto della Antropologia e della Etnografia una passione ed un lavoro. Attualmente sono docente di italiano nella scuola secondaria di primo grado, occupandomi di antropologia sociale e culturale della preadolescenza. Leggere è la mia passione, scrivere il mio impulso irrefrenabile.