Le donne amazigh del Marocco: fra vulnerabilità e conquiste
9 min readUno sguardo sull’etnia amazigh
L’etnia amazigh (pl. imazighen), o berbera, è fra le più antiche del Nord Africa. La sua presenza precede di numerosi secoli la comparsa del cristianesimo, intrecciandosi a svariate civiltà del passato: fenicia, cartaginese, romana, bizantina e araba-musulmana.
Storicamente, gli imazighen vivevano organizzati in tribù lungo una vasta area del continente nordafricano comprendente gli attuali Egitto, Libia, Algeria, Tunisia, Marocco, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria e Burkina Faso.
Nel tempo, la loro distribuzione ha subito delle variazioni e, attualmente, la maggioranza delle comunità berbere risiede in Marocco, dove queste ultime rappresentano circa il 40% della popolazione. Al contempo, la loro presenza persiste in Algeria (20% della popolazione), in Libia (8% della popolazione) e in Tunisia (2% della popolazione); mentre gruppi minori vivono nell’Oasi Siwa in Egitto e fra i Tuareg nomadi di Mali e Niger.
La lingua madre degli imazighen non è l’arabo, bensì una lingua camito-semitica (o afro-asiatica) chiamata ‘tamazight’ la cui forma scritta si basa su un sistema alfabetico detto ‘libico-berbero’, diverso sia da quello latino che da quello arabo. La proliferazione di questa lingua si manifesta chiaramente nella compresenza di dialetti differenti su base geografica: ad esempio, il tuareg parlato nel Sahara o la lingua cabila dell’Algeria settentrionale. In Marocco, ne convivono addirittura tre: il tashelhit al sud, il tamazight al centro e il tarifit al nord.
Nella loro lingua natia, ‘imazighen’ si traduce come ‘persone libere’ ed è preferibile alla denominazione ‘berberi’ che trae origine da una variazione di ‘barbari’, atta a designare anticamente popolazioni dalla lingua incomprensibile (ai greci e ai romani).
L’avanzata arabo-islamica avviata nel VII secolo d.C. ha poi determinato la progressiva islamizzazione delle comunità amazigh a cui si è accompagnato l’incontro/scontro con l’arabo in quanto lingua della Rivelazione e di espletamento delle preghiere e dei rituali religiosi.
Ad oggi, la conoscenza dell’arabo è alquanto diffusa presso gli imazighen che vivono, sempre più numerosi, nei centri urbani; mentre resta parzialmente estranea alle comunità dei villaggi rurali più marginali.
Figura 1: Esempio di scrittura tifinagh accanto all’arabo e al francese in pannelli pubblicitari
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Tifinagh_writing.JPG
La vulnerabilità delle donne amazigh in Marocco
Nel contesto marocchino, dove le comunità berbere sono più consistenti, le donne sono soggette a più forme di vulnerabilità: esse appartengono a quella che viene considerata una minoranza etnica, risiedono (in parte) in zone periferiche e isolate, e si scontrano con gli strascichi di un pregnante sistema patriarcale.
La prima forma di vulnerabilità è legata alla più generica appartenenza etnica che ha determinato, tanto per le donne che per gli uomini, varie manifestazioni discriminatorie nel corso della storia. L’identità amazigh infatti ha convissuto per secoli con la cultura arabo-islamica in maniera latente fino ad essere subordinata alle contingenze storiche del XX secolo.
In questo contesto, durante il protettorato francese in Marocco (1912-1956) sembrava che la cultura amazigh stesse finalmente trovando un riconoscimento formale. Sennonché, ciò faceva parte di una più ampia strategia di divide et impera finalizzata al controllo francese del territorio marocchino tramite l’assimilazione storica, culturale e religiosa degli imazighen a presunte radici europee.
La conquista dell’indipendenza, ufficializzata il 18 novembre 1956, non ha però apportato una svolta migliorativa. Il crescente nazionalismo marocchino infatti, puntando sulla omogeneizzazione del tessuto sociale in veste arabo-islamica, ha silenziato le origini pre-islamiche degli imazighen, così come le loro plurisecolari tradizioni orali e rituali e la madrelingua tamazight.
È così che in Marocco l’uso pressoché totalizzante dell’arabo e del francese nella vita amministrativa, professionale ed economica ha creato una barriera per tutti i membri della comunità, specialmente per coloro che, per motivi geografici, sono meno in contatto con la lingua araba.
In questo fragile contesto, le donne amazigh sono state ulteriormente sfavorite per il fatto di essere statisticamente meno istruite e meno predisposte agli spostamenti rispetto agli uomini. Ciò le ha poste di fronte a numerosi problemi di comunicazione per accedere ai servizi essenziali (come sanità e istruzione) dominati dall’arabo e dal francese. In tempi recenti, l’esempio più calzante di questa discriminazione linguistica riguarda l’ambito giuridico: nonostante le conquiste ottenute (come si vedrà) nel XXI secolo, l’unica lingua consentita nei tribunali resta l’arabo; il che costituisce un ulteriore intralcio alla volontà di una donna berbera che non conosce l’arabo di denunciare un qualsivoglia abuso.
In seconda analisi, l’alta (seppur in calo) concentrazione degli imazighen in aree rurali o montuose del Marocco ha generato significative distorsioni fra loro correlate, quali: arretratezza infrastrutturale, povertà generalizzata e alti livelli di analfabetismo. Ciò è stato in buona parte motivato dalla carenza di investimenti pubblici nella costruzione di scuole o strutture ospedaliere necessarie. Prive di una scuola secondaria locale, ad esempio, è probabile che le figlie restino in casa piuttosto che intraprendere complicati viaggi verso villaggi confinanti.
Inoltre, in assenza di vie di collegamento efficienti verso gli ospedali di città, era frequente fino a poco tempo fa per le donne partorire in casa oppure, specialmente nel caso di donne anziane con limitata mobilità, affidarsi a cure mediche tradizionali obsolete.
Al contempo, la marginalizzazione delle aree rurali non ha favorito l’emergere di opportunità lavorative alternative alle attività agricole di cui le donne berbere, tra l’altro, sono protagoniste. Essendo tali mezzi di sostentamento poco remunerativi, ciò ha perpetuato la condizione di indigenza di alcune famiglie berbere.
In terza analisi, persistono, particolarmente nelle aree rurali, norme culturali basate sui ruoli di genere che motivano, in parte, l’abbandono scolastico di adolescenti e giovani donne. Infatti, è ancora possibile che esse si sposino prima di aver compiuto la maggiore età, aggirando con scappatoie la legge sull’età minima legale per contrarre matrimonio (18 anni), e che diano priorità alle cure domestiche piuttosto che all’istruzione.
Ad uno sguardo ampio, e al di là dei ruoli di genere, un aspetto è particolarmente degno di nota: alle cure familiari si accompagna spesso per le donne berbere delle aree rurali il carico di lavoro di capofamiglia, a maggior ragione quando gli altri membri adulti della famiglia cercano un lavoro più redditizio in città, lasciandole sole. In questi casi, le donne non si occupano unicamente della prole e del mantenimento della casa ma si rendono attivamente responsabili della continuazione delle attività agricole o pastorizie in piena autonomia.
Conquiste verso l’emancipazione
Il processo di emancipazione delle donne berbere è estremamente peculiare poiché si trova a cavallo fra il movimento culturale pro-amazigh (che vede uomini e donne impegnati nel riconoscimento della loro identità etnica) e le varie manifestazioni del femminismo marocchino (in cui le voci di donne arabe e berbere si incontrano per rivendicare la parità di genere).
Per quanto riguarda il movimento pro-amazigh, esso affonda le sue radici negli anni ‘60 ma, a causa delle politiche repressive dell’allora re marocchino Hassan II (1961-1999), prende vigore soltanto negli anni ‘80 e ’90, con epicentro la città di Agadir. A questo stadio, tuttavia, esso non si estende oltre rivendicazioni di tipo culturale e artistico e coinvolge soltanto intellettuali provenienti dai contesti urbani.
In seguito, dopo una prima apertura mostrata dal re Hassan II nel 1994, il passo più importante è quello compiuto dal figlio e attuale monarca Muhammad VI. Egli annuncia, nell’ottobre 2001, la fondazione dell’Institut Royal de la Culture Amazighe impegnato a valorizzare la lingua e la cultura amazigh attraverso la loro integrazione nella sfera pubblica (servizi pubblici, educazione, attività parlamentari, giustizia, sanità, comunicazione).
Il passaggio verso rivendicazioni di natura economica e politica avverrà soltanto sulla scia del Movimento 20 Febbraio (la manifestazione marocchina delle rivolte arabe del 2011). A partire da questo momento, le famiglie berbere provenienti dalle aree remote del paese cominciano ad avanzare richieste materiali volte allo sviluppo infrastrutturale dei villaggi, mentre giovani imazighen delle aree urbane si impegnano a favore dei temi di giustizia, uguaglianza e parità di genere.
Sul fronte dei movimenti femministi, essi erano già sviluppati ed attivi in Marocco prima del Movimento 20 Febbraio del 2011 e vi si potevano distinguere due correnti, l‘una laica e l’altra islamica. Sennonché, all’indomani delle rivolte arabe, viene a buona ragione rilevata non soltanto la natura urbana ed elitaria delle varie manifestazioni del femminismo marocchino ma anche l’assenza delle voci femminili berbere.
In questo contesto, il primo vero passo che ha permesso alle donne berbere marocchine di trovare una voce distinta è l’ufficializzazione della lingua tamazight (accanto all’arabo) nell’art. 5 della riforma costituzionale del 2011. Finalmente legittimate ad impiegare la loro lingua natia senza remore, esse hanno potuto esprimersi con maggiore libertà facendo conoscere una parte di storia rimasta lungamente assente nella storiografia ufficiale.
L’avvio di una corrente femminista specificatamente amazigh ha tratto nutrimento dai contributi di varie personalità del mondo accademico e tramite il lavoro di organizzazioni non governative e cooperative. Il femminismo amazigh si pone come obiettivo quello di superare la visione unilaterale delle donne berbere “bisognose e analfabete” (riportando alla luce, ad esempio, le gesta di figure femminili del passato) e di offrire strumenti atti a rafforzare la loro agency nel panorama nazionale contemporaneo.
Sadiqi Fatima, Susan Schaefer Davis, Silvia Gagliardi, Cynthia Becker sono soltanto alcuni dei nomi di donne attivamente impegnate nel promuovere l’emancipazione delle donne berbere marocchine su più livelli.
Sul piano culturale, viene valorizzato il ruolo delle donne nelle vesti di ‘custodi’, essendo esse le esecutrici di arti plurisecolari: dalla tessitura, alla ceramica, ai gioielli, alla decorazione del corpo, alle danze, alla letteratura orale.
Nei tappeti e nei tessuti da esse realizzati, ad esempio, si ripetono motivi decorativi in grado di rievocare le simbologie pre-islamiche di femminilità, maternità e fertilità. Analogamente, le donne berbere possono vantare una mole di poesia e letteratura orale impregnata di riferimenti a divinità pre-islamiche oppure a eroine amazigh: fra queste, la regina Kahina (o Dihya) orgogliosamente ricordata come guerriera e leader militare impegnata a resistere, prima di soccombere, all’avanzata araba in Nord Africa del VII secolo d.C..
Sul piano economico, la corrente femminista evidenzia come le donne amazigh stiano cominciando a trarre profitto dal moderno marketing online tramite la promozione e la vendita di prodotti artigianali. Se in precedenza le donne si affidavano ai familiari maschi o ad intermediari disposti a viaggiare per vendere i manufatti, oggi esse lavorano in maniera indipendente all’interno delle cooperative dove vengono formate ad utilizzare i mezzi informatici per scopi commerciali.
Fra le cooperative attive, le più prominenti si dedicano alla produzione di tappeti e di olio di argan. In particolare, la fortuna dell’olio di argan marocchino è legata alla cospicua presenza di alberi nella parte meridionale del paese: dal frutto deriva l’olio (tramite macinatura dei semi più interni, misti ad acqua) il quale è usato per fini curativi, nutrizionali e cosmetici e, per questo, ricercatissimo.
Figura 2: Donne berbere impegnate nella fase di scorticamento manuale delle noci di argan per estrarne le mandorle
Fonte: https://www.simplementargan.com/la-tradizione-dellargan/
Infine, le donne amazigh non hanno mancato di farsi sentire sul piano politico. Ne è un esempio il movimento delle donne Soulaliyate (derivante da ‘soulala’ che in arabo significa ‘linea di discendenza’) nato nel 2007 per rivendicare pari diritti fra uomini e donne sia nella ripartizione delle terre collettive marocchine sia nel legittimo risarcimento in caso di espropriazione. In questo modo, le donne di estrazione rurale si sono opposte (in maniera rivoluzionaria) al diritto consuetudinario che le aveva da sempre tenute escluse dal diritto di eredità della terra.
Fuori dal mondo accademico, infine, il femminismo amazigh si manifesta ampiamente nel ruolo svolto dalle ONG (per menzionarne solo alcune: Tamaynut, Tinhinan Khemisset, Voix de la Femme Amazighe, Association Tamghart, Imlisi) che operano per sensibilizzare al rispetto dei diritti umani e della parità di genere su più fronti: dall’impiego effettivo della lingua scritta tamazight, all’eliminazione dell’analfabetismo rurale, all’accesso delle donne berbere a cariche decisionali, alle protezioni legali contro gli abusi domestici.
Si può concludere augurandosi che la maggiore conoscenza delle donne amazigh, delle loro credenze e consuetudini, e la valorizzazione delle tecniche di empowerment da esse adottate possano contribuire a restituire loro voce, riconoscimento e apprezzamento in direzione di una ben compiuta emancipazione.
Immagine in evidenza estratta da: https://funci.org/amazigh-women-the-genuine-guardians-of-language-and-culture-in-morocco/?lang=en
Fonti Consultate:
Ennaji, M. (2020) Managing Cultural Diversity in the Mediterranean Region. Cambridge Scholars Publishing.
International Work Group for Indigenous Affairs (2022) The Indigenous World 2022: Morocco, iwgia.org. Available at: https://www.iwgia.org/en/morocco/4639-iw-2022-morocco.html (Accessed: 12 March 2024).
Laghssais, B. (2023) Amazigh Feminism Narratives: Aspirations, Agency, and Empowerment of Amazigh Women in the Southeast of Morocco, TDX (Tesis Doctorals en Xarxa). Ph.D. Thesis. Universitat Jaume I. Available at: https://doi.org/10.6035/14106.2023.752792.
Laghssais, B. and Comins-Mingol, I. (2023) ‘Beyond vulnerability and adversities: Amazigh women’s agency and empowerment in Morocco’, The Journal of North African Studies, 28(2), pp. 347–367. Available at: https://doi.org/10.1080/13629387.2021.1990048.
Sono una laureanda magistrale in lingue, istituzioni ed economie dei paesi arabi, con una forte propensione per le lingue e le culture straniere. Ho conseguito una precedente laurea triennale in mediazione linguistica, vivendo per un semestre ad Edimburgo, e ho completato un tirocinio presso la rivista accademica “The International Spectator” di Roma, assistendo la social media manager e svolgendo attività di editing. Il mio interesse per i paesi arabi nasce sia dal fascino per l’elegante calligrafia della lingua scritta che dalla curiosità di conoscere la storia e le peculiarità di questa vasta e variegata regione del mondo.