Le origini molecolari del movimento
7 min readIl corpo umano, si sa, è una macchina straordinaria, avvolta da un mistero e da una complessità incredibili. Nel momento in cui sto scrivendo questo articolo, la muscolatura della mia mano si coordina alla perfezione per consentirne il movimento. Le aree cerebrali dedite alla concentrazione sono in fermento, il traffico circolatorio è in pieno svolgimento per distribuire le sostanze nutritive dove occorrono di più. Ma non solo: la retina continua a trasmettere al cervello, incessantemente, tutto ciò che si apre al suo campo visivo, attraverso il nervo ottico; la pelle è sensibile alle variazioni di umidità e temperatura e vi si adatta prendendo ordini dall’ipotalamo, il termostato dell’organismo, il quale stabilisce una temperatura diversa a seconda del distretto corporeo.
Se la temperatura esterna calerà bruscamente i vasi sanguigni si restringeranno. Questo fenomeno, chiamato vasocostrizione, ha lo scopo di conservare il sangue per gli organi di primaria importanza e garantire loro la giusta dose di nutrimento, a discapito di mani e piedi. Viceversa, se la temperatura esterna aumenterà, si verificherà la vasodilatazione, ossia l’aumento del calibro dei vasi per consentire al calore di disperdersi.
E ancora: il rilascio di adrenalina, a seguito di momenti di tensione, determinerà l’aumento della gittata cardiaca per inondare i muscoli di sangue e prepararli al movimento, a reagire, scappando o combattendo. La reazione allo stress è un processo fondamentalmente arcaico, regolata dalla parte più antica del nostro cervello: il sistema limbico, che reagisce agli eventi stressanti risvegliando gli ancestrali meccanismi che si attivano per sopravvivere. Più in basso, i reni continuano a filtrare il sangue per trasformarlo in pre-urina, che sarà convogliata, attraverso dei canali chiamati ureteri, presso la vescica, una sacca relativamente elastica che la conserverà fino al momento della minzione.
E’ affascinante e inquietante allo stesso tempo sapere come tutto ciò che vive sia la conseguenza di aggregati di cellule e reazioni chimiche. Ciò che noi siamo abituati a percepire come un ente indipendente e a sé stante, come un uomo o un gatto, è in realtà soltanto una maschera che riveste, del tutto inconsapevole, la vera vita interiore dalla quale noi dipendiamo, sancita da miliardi di cellule diversificate tra loro; sono esse a determinare i nostri umori, il nostro benessere e le nostre malattie, a consentirci di muoverci, riflettere, ottenere energia dal nutrimento, e lo fanno interfacciandosi quotidianamente con altre cellule simili a loro o completamente diverse. E’ noto, ad esempio, come interazioni poligeniche possano rendere più sensibili a determinati stimoli, che sul lungo termine possono provocare l’insorgenza di patologie come la depressione (ne abbiamo parlato qui).
Ora che vi ho spaventato a sufficienza, possiamo andare oltre e rispondere a una domanda molto interessante. Come fanno le mie dita a muoversi per scrivere? La risposta a questa domanda è da ricercarsi nel linguaggio molecolare che costituisce il crocevia tra impulso nervoso e contrazione muscolare, che consente il movimento. Per dare un’idea della complessità della cosa, questa volta entrerò nel dettaglio, cercando comunque di semplificare.
Anatomia del muscolo per il movimento
Le cellule muscolari, che sono le cellule che determinano il movimento, contengono il reticolo sarcoplasmatico, una sorta di recinto cellulare. All’interno di questo recinto ci sono delle cisterne nelle quali vengono immagazzinati gli ioni calcio presenti nella cellula. Il recettore rianodinico, disposto sul loro perimetro, funge da “cancello” per regolare l’uscita delle sostanze. Il guardiano del cancello, che lo tiene quasi sempre chiuso, è il recettore diidropiridinico. Tenete bene a mente il calcio perché ci tornerà utile tra poco. La membrana della cellula muscolare accoglie in un’insenatura la nobilissima estremità del nervo, il bottone sinaptico, andando a costituire un’elegante struttura che prende il nome di giunzione neuromuscolare.
Quando decidiamo di compiere un movimento, in un nanosecondo il cervello invia il segnale alla giunzione neuromuscolare, attraverso le fibre nervose. La sinapsi rilascia l’acetilcolina, che si lega al recettore nicotinico nel muscolo. Questo comporta l’ingresso di sodio nel muscolo, che depolarizza la membrana (in quanto il sodio è un elemento elettricamente positivo) e ciò allerta il recettore diidropiridinico, estremamente sensibile ai cambiamenti di voltaggio, che apre il recettore rianodinico e fa uscire fuori il calcio. Scrivo ancora una volta i passaggi necessari per il rilascio di calcio:
1-Il cervello stimola il rilascio di acetilcolina dalla sinapsi.
2-L’acetilcolina si lega al recettore nicotinico nel muscolo.
3-Come conseguenza di ciò il sodio entra nella cellula e con la sua carica positiva depolarizza la membrana.
4-L’alterazione del voltaggio della membrana agisce sul recettore diidropiridinico, legato al recettore rianodinico.
5-Il recettore rianodinico viene aperto e il calcio esce fuori, libero come un fringuello.
Finita qui? No, certo che no. Che fine fa il calcio? Anche in questo caso occorre entrare nel dettaglio. Le cellule muscolari sono costituite da due proteine essenziali: la miosina e l’actina. La miosina, affinché la contrazione avvenga, deve legarsi all’actina e “trascinarla” verso di sé. Ciò comporta l’accorciamento del muscolo, quella che noi chiamiamo contrazione. Il problema è che lo spazio nel quale dovrebbe avvenire il contatto tra miosina e actina (che sarebbe un sito di legame che si trova sull’actina) di norma è coperto. La miosina non può afferrare l’actina quando vuole, ma soltanto quando non ci sono ostacoli tra le due. Gli ostacoli in questo caso sono rappresentati da una proteina filamentosa, la tropomiosina, sulla quale sono ancorate delle proteine globose chiamate troponine.
Potremmo immaginare le tropomiosine come una porta e le troponine come le maniglie. Il calcio che abbiamo liberato si aggancia alla maniglia (le troponine) e, sollevandosi, trascina la porta con sé (le tropomiosine). Adesso che abbiamo liberato lo spazio che separa la miosina dall’actina possiamo contrarre il muscolo, giusto? Non proprio. La miosina può effettivamente afferrare l’actina, ma se non interviene un altro elemento la contrazione perdura più del dovuto. Ed è esattamente la ragione per cui nei morti si verifica il fenomeno del rigor mortis. L’ultimo attore di cui stiamo parlando non è altro che una molecola di ATP, che consente alla miosina di distaccarsi dall’actina e tutti vissero felici e contenti.
E indovinate un po’ come viene prodotta l’ATP? Attraverso le leggendarie vie enzimatiche che caratterizzano il nostro metabolismo, che consistono in una serie di numerosissime reazioni cataboliche durante le quali il glucosio viene convertito prima in Acetil-CoA e soltanto nell’ultima fase, quella della fosforilazione ossidativa (che avviene nella membrana mitocondriale) in ATP. Naturalmente tutti gli enzimi coinvolti nella conversione di un prodotto a un altro devono essere concepiti geneticamente, possono subire delle modifiche dopo essere stati assemblati e a volte usano altre sostanze (di solito vitamine) come substrati per agire. Tutto questo avviene per consentirci il movimento, per quanto semplice o complesso possa essere, come piegare il mignolino o accarezzare il gatto, che puntualmente ci morderà in segno di riconoscenza.
Da dove deriva l’energia per muoversi?
Dopo essere stati morsi dal vostro micio decidete di consolarvi con un cibo delizioso, ricco di colesterolo come tutti i cibi deliziosi del mondo. Il colesterolo all’interno dell’organismo è veicolato dalle lipoproteine, dei “vascelli” formati sia proteine che da lipidi che lo traghettano insieme ad altri grassi lungo il torrente circolatorio. La maggior parte delle lipoproteine viene assemblata nel fegato, l’organo più multitasking del corpo umano, e anche il più grande. Il fegato è lo stesso organo impiegato nella produzione della bile, una sostanza che verrà riversata nell’intestino per tamponare l’onda acida che proviene dallo stomaco.
L’ambiente intestinale è essenzialmente basico e il suo “microclima” è tale per cui alcuni batteri, che costituiscono la microflora intestinale, riescano ad adattarvisi e a proliferare. L’azione di questi organismi viventi è fondamentale per la fermentazione delle fibre, dei composti non digeribili ma in grado di aumentare la digeribilità degli alimenti. Le fibre stimolano la peristalsi intestinale (l’insieme di movimenti che spingono il cibo lungo il canale digerente) e riducono il colesterolo nel sangue attraverso un processo molto interessante.
Abbiamo già parlato degli acidi biliari, abbiamo detto che servono a neutralizzare l’acidità che dallo stomaco potrebbe invadere l’intestino durante il processo digestivo. Ebbene, il precursore di questi acidi biliari è proprio il colesterolo. Nel momento in cui il nostro intestino inizia a produrre fibre, queste vanno a limitare l’assorbimento degli acidi biliari. L’organismo decide dunque di intensificare la produzione di bile per garantirne un maggiore assorbimento, e questo comporta la captazione del colesterolo sanguigno, che viene estromesso dai vasi per essere processato.
Inoltre le fibre interferiscono con il processo di costruzione biochimica ex novo del colesterolo, disattivando gli operatori molecolari impiegati nella catena di montaggio. Lo scopo ultimo della digestione è proprio quello di distribuire i nutrienti a tutte le cellule; quindi il cibo ingerito viene scomposto nelle sue unità minime, ad esempio il glucosio, e queste, attraverso la circolazione, raggiungono tutte le cellule, che a partire dal glucosio stesso costruiranno l’ATP, la molecola essenziale affinché la contrazione muscolare, e dunque il movimento, possa avvenire.
Studio biotecnologie mediche. Sono un appassionato di scienze e filosofia e amo l’arte in tutte le sue forme. Sono profondamente convinto che la Bellezza debba essere il baluardo che guida ed emoziona il mondo, pertanto è necessario conoscerne le declinazioni culturali e inebriarsene. Membro del Cicap e del circolo scacchistico estense