Le scimmie possono imparare a parlare?
6 min readNel 2011 usciva nelle sale cinematografiche L’alba del pianeta delle scimmie, un film diretto da Rupert Wyatt. Le vicende narrate ruotano intorno a Cesare, uno scimpanzé che eredita dalla madre gli effetti dell’ALZ-112, un farmaco prodotto per potenziare le capacità cognitive, stimolando i recettori neurali. Nel corso del film Cesare attraversa una travagliata storia che lo porterà ad essere riconosciuto come capo carismatico di una tribù di scimmie anch’esse intelligenti. Lo strumento essenziale che lo contraddistingue da una scimmia normale è la conoscenza del linguaggio dei segni, insegnatogli dal “padre adottivo” Will Rodman, il creatore del medicinale. Le sue capacità comunicative cresceranno nell’arco della saga, fino a consentirgli di sviluppare e utilizzare fluentemente il linguaggio umano. Ma è davvero possibile per uno scimpanzé imparare a parlare?
L’uomo ha sempre visto le scimmie come gli animali più simili a se stesso. In fondo, come ci insegna la teoria evoluzionistica di Darwin, condividiamo con esse un antenato comune, ossia l’ominide. Le nostre cugine pertanto sono sempre al centro di studi scientifici per scoprirne le potenzialità, che sono spesso molto soddisfacenti e curiose.
Scimmie: capacità straordinarie
Una di queste riguarda la capacità di modificare degli strumenti. E’ stato osservato che gli scimpanzé di Fongoli, in Senegal, sono in grado di servirsi di strumenti di caccia abbastanza diffusamente, proprio come faceva l’essere umano nel corso della preistoria. Sono stati osservati degli scimpanzé scegliere con molta cura e attenzione i rami, per poi ripulirli dalle foglie, lavorarli con i denti e con le mani per trasformarli in una sorta di lance con le quali cacciare galagidi, piccoli primati notturni. Una scena in cui le scimmie scagliano le lance è presente anche nel film Apes revolution – Il pianeta delle scimmie (2014). Ulteriori lavorazioni degli strumenti sono state riscontrate nella pesca delle termiti. Per raccoglierle gli scimpanzé infilano un bastone nel termitaio e raccolgono gli insetti con un ramoscello; se il termitaio è posto nel sottosuolo allora il bastone viene infilato in profondità e, dopo aver lavato con la lingua un bastoncino più piccolo, quest’ultimo viene inserito all’interno di quello più grande e usato come “pennello” per pescare le termiti.
Un’altra prova di intelligenza scimmiesca è fornita dal fatto che, a differenza di quanto sostenevano Bischof e Köhler, questi animali, insieme a tanti altri, non vivono esclusivamente nella sfera del presente, ma sono in grado di concepire e fare previsioni per il futuro. Gli oggetti con i quali lavorano, infatti, spesso vengono conservati per un loro eventuale riutilizzo. E’ il caso dello scimpanzé Santino, in uno zoo svedese, osservato a raccogliere sassi e levigarli con pazienza, per poi accumularli e, in tempi non sospetti, lanciarli contro la folla di visitatori. Non potendo sfruttarli per un utilizzo immediato è lampante l’intento di pianificazione da parte di queste creature. Anche in oranghi e bonobo sono stati riscontrati comportamenti di accumulo finalizzati a un riutilizzo successivo.
Abbiamo appurato che le scimmie sono mammiferi intelligenti, in grado di conservare, utilizzare oggetti e creare immagini mentali nelle quali collocare il futuro. Ma la domanda che ci siamo posti all’inizio di questo articolo vale un milione di euro. Le scimmie sono o non sono in grado di parlare?
Per rispondere a questa domanda è utile rifarsi a Washoe, un esemplare femmina di scimpanzé a cui è stato insegnato, proprio come nella fortunata serie di film citata in precedenza, il linguaggio dei segni americano (ASL). La scimmia fu immersa totalmente in un ambiente sociale composto da umani che comunicavano utilizzando soltanto questo linguaggio in sua presenza. In quattro anni Washoe acquisì circa 130 segni, ne inventò qualcuno da sola e riuscì ad ottenerne una padronanza tale per cui, ad esempio, il segno utilizzato per “aperto”, che inizialmente aveva appreso per in relazione alle porte, venne utilizzato in seguito per richiedere l’apertura di scatole, cassetti, libri illustrati e via discorrendo. Al termine dell’esperimento Washoe aveva imparato a utilizzare circa 250 segni diversi, alcuni dei quali fu persino in grado di trasmettere ad altre scimmie. Tuttavia ulteriori studi condotti fra gli anni sessanta e settanta hanno dimostrato chiaramente che gli scimpanzé in cattività riescono a comunicare informazioni piuttosto complesse mediante una combinazione di gesti e movimenti espressivi che gli studiosi non sono ancora stati in grado di decifrare.
Il Lip-smacking
Per quanto riguarda il linguaggio è utile fare un’osservazione. Nei macachi e nei babbuini gelada è stato osservato il comportamento del lip-smacking, che consiste nell’eseguire movimenti con la bocca per trasmettere un segnale positivo e piacevole. Nei gelada in particolare, questi suoni sono accompagnati da “mormorii” chiamati wobble. Alzando e abbassando questi suoni, secondo uno studio condotto da Bergman nel 2013, sembra quasi di poter percepire una persona che mormora, ma non finisce qui.
In un’analisi a raggi x del lip-smacking, durante il quale vengono prodotti suoni senza che le corde della laringe vibrino, è stati dimostrato che il gesto richiede movimenti rapidi e coordinati, che avvengono con una frequenza simile al parlato umano. Utilizzando un agente di contrasto a base di bario è stato ricostruito un modello computerizzato dell’apparato vocale di un macaco, in modo da poter stabilire quali suoni sia in grado di produrre la specie. Il risultato è stato che, in termini anatomici, i macachi sarebbero in grado di produrre suoni articolati sulle cinque vocali, ossia di formulare frasi di senso compiuto. La loro incapacità di parlare pertanto non ha cause anatomiche, ma altri tipi di limitazioni che, a oggi, non sono ancora ben chiare.
Un altro caso interessante è quello dell’elefante indiano Koshik, tenuto in cattività in un parco a tema in Corea del Sud. Posizionando la proboscide nella bocca era in grado di modulare il tratto vocale e così facendo riusciva a “parlare coreano”, ossia imitare alcune parole in modo perfettamente comprensibile. La cosa curiosa è che, se fatto ascoltare ad uditori inconsapevoli, questi riconoscevano le parole senza alcuna difficoltà, e non potevano immaginare minimamente che a produrre questi suoni fosse un elefante! Un’analisi acustica di tali versi, tramite spettrografia, ha rivelato che l’animale emulava le parole del suo addestratore. Oggigiorno non risulta tuttavia che vi siano animali capaci di padroneggiare il linguaggio a proprio piacimento e ad usarlo consapevolmente.
Un’ultima curiosità relativa alle scimmie risiede in una questione di influenza del genere nel gioco. Secondo alcuni studi condotti da Alexander e Hines nel 2002, i cercopitechi verdi, se resi liberi di scegliere di approcciare giochi tipicamente “maschili” o “femminili”, sceglieranno in base al proprio genere. La scelta dei macachi Rhesus è invece stereotipata per i maschi, mentre le femmine non mostreranno preferenze significative. E’ lo stesso atteggiamento adottato dagli esseri umani (Brenda Todd, 2016) i quali, se privati dell’influenza dei genitori, fin dai nove mesi di età, faranno scelte stereotipate se sono maschi e scelte “generiche” se sono femmine. A dettare queste decisioni sono i diversi livelli specifici di ormoni e differenze cerebrali relative. Inoltre gli elementi caratteristici del gioco maschile consentono di scuotere, sbattere a terra, fare rumore e rappresentano, evolutivamente parlando, gli stessi elementi che troviamo in un display di dominanza, ossia tutte quelle “esibizioni” che un maschio fa per dimostrare la sua superiorità e intimidire gli avversari. Secondo un ulteriore studio realizzato da Wallen nel 2015, alti livelli prenatali di androgeni influenzano la mascolinità nel comportamento, mentre nelle femmine, condizioni patologiche come l’iperplasia surrenale congenita comporta l’esposizione a inusuali livelli di testosterone, che modulano la preferenza verso i giochi maschili.
Fonti:
L’animale consapevole, Donald R. Griffin
Animali, abilità uniche e condivise tra le specie – Cinzia Chiandetti – Eleonora Degano
Studio biotecnologie mediche. Sono un appassionato di scienze e filosofia e amo l’arte in tutte le sue forme. Sono profondamente convinto che la Bellezza debba essere il baluardo che guida ed emoziona il mondo, pertanto è necessario conoscerne le declinazioni culturali e inebriarsene. Membro del Cicap e del circolo scacchistico estense