L’invenzione del tempo. Il tempo esiste o è solamente una convenzione sociale?
3 min readPuò sembrare una di quelle domande poste in un corso di filosofia, che alle orecchie di uomini di scienza risultano banali e costituite di concetti estremamente rarefatti. Ma Albert Einstein ci dimostra che non è così. Sia lo spazio, sia il tempo sono concetti vincolati alla nostra percezione:
Lo spazio non è una realtà oggettiva, ma solo un ordine o una disposizione degli oggetti che percepiamo in esso, il tempo non ha un’esistenza indipendentemente avulsa dall’ordine di eventi attraverso cui noi lo misuriamo.
Albert Eistein
Noi occidentali inoltre tendiamo a generalizzare il concetto di tempo, mentre sarebbe più opportuno parlare di percezione del tempo, in quanto essa varia per cultura, epoca e tradizione.https://www.antropia.it/lantropologia-e-il-suo-valore-in-epoca-moderna/
Questo concetto è dunque inevitabilmente legato ad esigenze sociali, dobbiamo, perciò, prendere atto che è una convenzione indispensabile per le relazioni umane (uomo-natura, uomo-società).
Per quanto riguarda la classificazione generale del tempo possiamo operare una divisione tra due macrocategorie:
- categorie informali: approssimative e non definitive (es. tra un poco, tempo fa ecc)
- categorie formali: unità di misura specifiche come minuto, ora, mese, anno ecc.
Su cosa si basa il concetto di tempo?
Come spesso accade quando gli uomini si trovano a doversi dare delle regole, la natura rappresenta sempre il principale punto di riferimento. Il ripetersi ciclicamente di determinati fenomeni, come l’alternarsi del giorno e della notte o delle stagioni, ci ha infatti permesso di concepire il tempo come qualcosa di ripetitivo.
Allo stesso tempo però si è fatta sempre più presente la necessità di organizzare il tempo anche in maniera lineare, ancorandolo alla storia.
Queste due concezioni coesistono in diversa misura tra i popoli, anche a seconda del loro contatto e della loro accettazione della cosiddetta “civiltà”.
I calendari
Vari fattori hanno determinato la presenza attuale di molti calendari diversi nel mondo; tra questi i più rilevanti sono i commerci, le espansioni e i viaggi.
Anche se si è soliti considerare i popoli primitivi come vincolati all’imminente, ciò non è da reputarsi del tutto corretto. Infatti, molte tribù africane, per esempio, mettono in atto riti dalle tempistiche pluriennali, e oltre a questo la concezione è comunque legata anche ad eventi storici come epidemie o catastrofi.
Inoltre, quello della ciclicità del tempo non è però l’unico punto di riferimento per un calendario. Per esempio, gli eschimesi fondavano la loro concezione e gestione del tempo anche su eventi sociali, ovvero si disperdevano d’estate e si adunavano d’inverno.
A volte, e in determinati contesti, può essere anche il lavoro a determinare lo scandirsi del tempo, come nel caso dei calendari contadini. Ad esempio, i nuer improntano tutti e dodici i mesi del loro calendario a particolari attività, quindi sono queste ultime a determinarne la durata effettiva.
Per saperne di più:
Marco Aime, 2008, “Il mio primo libro di antropologia”, Einaudi, Torino.
Ho conseguito la laurea di primo livello in lettere moderne e contemporanee presso l’università di Macerata e la laurea magistrale in Italianistica presso l’Almamater Studiorum di Bologna. Attualmente frequento un master sui DSA presso l’università di Urbino Carlo Bo. Credo nella necessità della trasmissione della cultura e del sapere come forma di riscatto sociale e come unica arma valida contro l’egoismo dell’essere umano.