Lovecraft: uno sguardo nell’abisso
4 min readPerché ci sentiamo così attratti dai racconti o film horror? Cos’è quel sentimento indescrivibile che non ci fa distogliere lo sguardo nonostante la paura? Perché l’ignoto suscita, al tempo stesso, fascino ed inquietudine? È risaputo: la mente umana cede da sempre alla seduzione di ciò che non conosce, di ciò che non può essere spiegato razionalmente o anche semplicemente raffigurato. Molti scrittori hanno cercato di dare forma a questa paradossale attrazione, da Edgar Alan Poe a Stephen King, ma nessuno quanto Howard Phillips Lovecraft ha saputo concretizzare sulla pagina gli inimmaginabili orrori della mente umana e del Cosmo.
Ma per quale motivo le opere di Lovecraft esercitano, da più di un secolo, un simile fascino? Dopotutto, Lovecraft non fu l’unico scrittore ad addentrarsi nell’horror, genere che proprio in quell’epoca stabiliva le basi di un successo destinato a divenire spropositato. Una delle ragioni che rende questo scrittore affascinante per ogni generazione è la sua capacità di descrivere gli orrori servendosi di una sorta di costante velo a coprirne, al contempo, la vista: quando sembra sul punto di rivelare le più indicibili mostruosità, l’autore si fa da parte per lasciar spazio all’immaginazione del lettore.
Lovecraft è lo scrittore dell’inespresso, ed è proprio questa sua tendenza nel creare inquietudine lasciando che l’immaginazione del lettore partecipi alla narrazione stessa a renderlo uno dei più grandi portavoce dell’ignoto. Quel che ci spaventa dell’ignoto è non sapere cosa si celi al di là delle oscurità, al di là della conoscenza, e Lovecraft gioca esattamente su quest’ambiguità, ponendosi in bilico tra la lampante consapevolezza e l’incognita del buio e della notte, alimentando di continuo quel misto di curiosità e timore che caratterizzano l’essere umano dinanzi ciò che gli è sconosciuto.
Vi è un ulteriore elemento che rende così interessanti i racconti dello scrittore americano: i suoi personaggi. Il tipico protagonista lovecraftiano altro non è se non il riflesso di Lovecraft stesso: un uomo isolato, inadatto alla società, diverso, il cui tormento spesso sfocia in follia. La scrittura è stata, per Lovecraft, l’unico mezzo per esorcizzare i demoni della sua mente, per potervi convivere assoggettandoli alla propria penna, convertendosi così, attraverso l’arte, a loro padrone. Per tale motivo, le creature mostruose dei suoi racconti sono spesso frutto di menti tormentate, prodotti delle più recondite oscurità della mente umana.
Tra gli innumerevoli racconti scritti da Lovecraft ce n’è uno in particolare che racchiude entrambi gli aspetti menzionati in precedenza, sebbene sia tra i meno conosciuti: Deaf, Dumb and Blind (1925). Come intuibile dal titolo, il protagonista è un veterano di guerra affetto da sordità, mutismo e cecità, nonché invalido. Costretto in una bolla priva di suoni ed immagini, incapace di muoversi e parlare, vive le sue giornate unicamente all’interno della propria mente, una mente ferita dalla guerra tanto quanto il corpo, vittima probabilmente del disturbo da stress post-traumatico che all’epoca colpiva molti reduci della Grande Guerra. La sua unica attività è la scrittura, incessante pure nel momento in cui comincia a percepire qualcosa di sinistro nella sua stanza.
Ma come può un uomo privo di ogni percezione del mondo esterno sentire qualcosa? Sebbene parte del racconto sia in prima persona, è impossibile stabilire quali atrocità si siano abbattute sull’inerme reduce, dato l’uso di quell’ambiguità narrativa tipica di Lovecraft. Ad incrementare il senso di sconosciuto orrore, lo scrittore si avvale dell’espediente letterario del “manoscritto ritrovato” (usato anche da Manzoni, come forse ricorderete) in cui, come riporta l’autore stesso, “Abbiamo omesso alcune parti, segnalate da asterischi, per il bene dei lettori […] in punti in cui la battitura dello scrivente sembra minacciata dall’irrazionalità e dalla confusione.”.
Tali espedienti testimoniano il talento di Lovecraft nel condurre i propri lettori oltre i confini della consapevolezza, ove echi di luoghi e cose mai descritte prima giungono finalmente fino al genere umano. Avendo vissuto in prima persona le conseguenze di una mente disturbata, quali incubi ed esaurimenti nervosi, Lovecraft ha trovato la fuga nella lettura e nella scrittura, fin dalla prima infanzia. Immergendosi nella sua stessa mente, ha saputo portare alla superficie le proprie ombre, osservandole ed analizzandole scrupolosamente fino a renderle personaggi o vicende capaci di lasciare il segno anche nei lettori meno suscettibili.
La sua immaginazione ha oltrepassato non solo le soglie della mente, ma anche le oscurità del Cosmo, unendo le due dimensioni a testimonianza di quell’invisibile filo che lega uomo e Natura, tanto nell’armonia quanto nel Caos. Per tale motivo i racconti di Lovecraft ci incantano nonostante il terrore che suscitano, perché sembrano provenire da mondi lontani, paralleli, fantastici, mentre sono semplicemente frutto dell’immaginazione di un uomo come tutti noi. “L’immaginazione è il grande rifugio” scrisse Lovecraft in Azathoth, confessando così, a schiere di futuri scrittori dell’ignoto, il suo grande potere.
Sono laureata in Lingue e Letterature Straniere a Venezia, città da cui ho imparato l’attenzione ai dettagli nascosti dell’esistenza, nonché l’elogio della lentezza (come direbbe Kundera). Ho sempre visto la letteratura, l’arte, la musica e il cinema come i cardini fondamentali della mia vita, le cui correnti mi hanno reso la persona che sono oggi.