MARIO BERGAMO, POLITICO DEL ‘900 TRA FASCISMO, ANTIFASCISMO, EUROPEISMO, RIGORE MORALE E POESIA
21 min readPaola Bergamo, la nipote di Mario Bergamo, è un’imprenditrice veneta che si occupa di turismo, di sport e di cultura. Di formazione classica e giuridica, l’autrice è opinionista per alcune note testate dedite a temi di attualità e di politica. È Presidente del “Centro Studi MB2, Monte Bianco-Mario Bergamo, per dare un tetto all’Europa”, con cui favorisce il dialogo dei popoli attraverso la cultura.
Paola Bergamo è co-animatrice del circolo culturale “La Caduta”, con il quale si occupa di analisi politica nazionale e internazionale.
Nel maggio 2022 ha pubblicato il suo “I Sentieri Interrotti dell’Europa, sulla Via Tracciata da Mario Bergamo”, edito da Futura Libri e scritto insieme al filosofo Angelo Giubileo.
(di Paola Bergamo)
LA STORIA DI UN GRANDE LAICO DIMENTICATO
Prima di addentrarmi nella figura del politico e filosofo del ‘900 Mario Bergamo, attraverso i passaggi di una narrazione sia storico-sociale sia politico-filosofica, non posso non proporre al lettore e a me stessa una domanda sulla Vita e sul valore della “Sua Vita”. È una domanda che formulo retoricamente, poiché in parte ne conosco già la risposta: è proprio Mario Bergamo, infatti, che ci offre il miglior responso, e lo fa con il suo esempio, con il suo impegno politico, con la sua filosofia, con la sua poesia.
La Vita stessa, intesa con la “V” maiuscola, è una grande opera. Come tale essa va vissuta, seguendo con fedeltà le proprie inclinazioni, le proprie aspirazioni, i propri ideali. Occorre farlo con coerenza, anche a costo della propria vita o dell’oblio.
La regola di Mario Bergamo fu sempre la stessa: “Opera come se tutto dipendesse da Te”! È l’idea della vita come missione laica.
Le conclusioni alle quali Mario Bergamo giunge con la sua missione di vita laica, si esprimono in perfetta armonia con le premesse tracciate dal suo pensiero politico e filosofico, le cui radici risiedono nella classicità greco-romana. Egli affermava che: “se la Natura è ingiusta, l’Uomo non dovrebbe aggiungere altra ingiustizia al natural dolore”[1].
Lo spazio politico diventa allora il luogo dove sperimentare pratiche di vita e di giustizia sociale, vissute all’impronta del più autentico Laicismo Integrale applicato alla dimensione statuale. Una forma di laicismo che non è affatto, secondo Bergamo, negazione della spiritualità, e neppure religiosa inerzia nell’esercizio dell’individualità, poiché la vita deve rifulgere di splendore: “La morte è un premio ch’è follia sperar, se tu non giunga al tramite splendendo” (Mario Bergamo, L’Evasione 1946 – Parigi). Sono versi che spiccano, quasi fuoriuscendovi, dalla tomba spoglia e imponente di colui che fu considerato il decano degli esuli italiani in Francia nel controverso e difficilissimo periodo del fascismo. Sulla lapide, a decoro di quell’essenza, non una foto, non la data di nascita, ma solo vi si trovano, a definirlo nella dimora finale, il nome, il cognome e la data in cui si spense: 24 maggio 1963. A tenergli compagnia, vi è una scultura in bronzo di San Francesco che nella sua solida fattezza abbraccia tutta la tomba, con essa anche l’esule e il mondo intero. Con l’atto di devozione il Santo di Assisi rivolge al cielo lo sguardo.
“Invicto, Victi Victuri” è la scritta che il figlio Giorgio Mario, anche lui vittima dell’esilio francese dall’età di quattro anni, volle apporre in aggiunta a quei versi. A quelle parole scolpite sulla lapide si accora, etereo e forte, il grido dei fedeli seguaci repubblicani affluiti numerosi alla tumulazione della salma: “Noi ti vendicheremo”!
Mi soffermo sulla Tomba perché anche l’ubicazione prescelta per tumulare la salma di Mario Bergamo non è casuale. Si trova all’ingresso del Cimitero di Montebelluna, ridente paese della marca trevigiana alle pendici del Montello, terra natia dei Bergamo. Come ad accogliere i visitatori, all’entrata di quel luogo di preghiera e di ricordo, vi si trovano da una parte Mario e dall’altra il fratello Guido, altro illustre e indomito Repubblicano. Fratelli d’Italia, li si definiva allora; naturalmente niente a che fare con le formazioni politiche della nostra contemporaneità. Erano tempi diversi, nei quali l’impegno politico si misurava anche con il proprio personale sacrificio, fisico e morale. Ancora oggi c’è chi si reca a rendere omaggio all’Esule laico italiano a Montebelluna, soffermandosi sulla pietra sacra. Tra questi, taluni sono solo curiosi, altri sono pensatori, qualcuno prega.
Fu l’amore per la Patria la molla di ogni sua scelta politica e di vita. Scrisse di lui il filantropo ed editore Italiano Cino del Duca: “La figura di Mario Bergamo merita di essere ricordata per la sua dirittura morale, per la sua lealtà ad una fede politica, per la sua coerenza indiscutibile, e per il suo ancor più indiscutibile amore per l’Italia, quell’Italia che abbandonò “per amore” nel lontano 1926 e che “per amore” non ha più voluto rivedere, non considerandola del tutto libera ancorché liberata. Un uomo che ha pagato ogni sua scelta, un uomo che ha amato la Patria più della sua stessa vita, forse l’ultimo degli Italiani nel quale si continuino i più genuini ideali del nostro Risorgimento”[2].
Del Duca è stato un grande editore italiano che fece grande fortuna anche in Francia e che fu espressione di eccellenza e d’ingegno italici riversati con successo nell’editoria nazionale e internazionale. Per chi si recasse a Parigi è piuttosto interessante far visita alla prestigiosa Fondazione Simone et Cino del Duca.
C’è tanta Italia in quel di Francia, le due Nazioni che Mario Bergamo non aveva esitato a definire “sorelle”. Una sorellanza che da grande europeista e teorico dell’Europa unita Bergamo definì: “essenziale fondamento sulla via della costruzione degli Stati Uniti d’Europa”.
Durante l’esilio a Parigi, all’indomani dell’occupazione nazista della capitale francese, mettendo a repentaglio la propria stessa vita, Mario si adoperò per salvare molti ebrei e perseguitati politici che senza quell’aiuto sarebbero stati deportati in Germania.
TRATTI BIOGRAFICI, MEMENTI DI STORIA D’ITALIA
Mario Bergamo nacque a Montebelluna l’8 febbraio 1892 e spirò a Parigi il 24 maggio 1963. Dopo aver studiato agli Scolopi del Cavanis di Possagno, proseguì la sua formazione scolastica al liceo classico Canova di Treviso, divenendo discepolo dell’Abate Bailo. Al liceo, Mario eccelleva negli studi ed era già nell’adolescenza impegnato nei campi della politica e del sociale. Nelle aule del liceo incontrò Linda Garatti, una giovane dotata di una splendida voce da mezzo soprano, peraltro unica donna del liceo, piuttosto avvenente e molto corteggiata. Era quello il tempo in cui alle donne era in molti casi precluso l’accesso all’istruzione, a prescindere dalle doti intellettive possedute e dalle inclinazioni personali allo studio. Ma Linda proveniva da una famiglia progressista, attiva politicamente, dal fermo credo repubblicano, agiata a sufficienza da permettere alla figlia di dedicarsi allo studio.
Mario Bergamo si invaghì subito di quella giovane intraprendente, coraggiosa e impegnata, e Linda, che corrispose le attenzioni che Mario le dedicò, divenne presto non solo moglie e madre dei suoi figli, Giorgio Mario e Maria Maddalena, ma anche fedele compagna di lotta politica contro la dittatura, in Patria e durante l’esilio.
Trasferitosi per gli studi universitari a Bologna, nel capoluogo emiliano Mario si laureò in Giurisprudenza. Era il 1914.
Due anni prima, nel 1912, aveva fondato con Natale Mazzolà l’Alleanza Repubblicana, e nel 1913, con il fratello Guido, la Scuola Mazziniana. Nell’istituto didattico intitolato al padre storico del repubblicanesimo, gli studenti universitari sodali di Mario e di Guido si dedicavano volontariamente all’istruzione degli operai, trasmettendo loro gli ideali di emancipazione dalle classi padronali.
Mario studiò anche Filosofia e Lettere divenendo presto allievo del Carducci. La poesia lo accompagnerà intensamente nella vita, consentendogli di diventare, a emulazione del Vate bolognese, egli stesso poeta. I versi che scrisse, con strutture armoniche spesso struggenti, divennero per lui e per i suoi seguaci un vero strumento di lotta politica.
La poesia ritratta nell’immagine a lato, indirizzata al Presidente della Repubblica Enrico De Nicola, è conservata alla Biblioteca Comunale di Montebelluna e fu spedita a Roma da Parigi il 29 giugno 1946, all’indomani della Conferenza di Pace nella capitale francese. La nostra Repubblica, che Mario Bergamo definiva essere “concepita nel dolore”, era nata da pochi giorni.
Durante la Conferenza di Pace parigina, Mario fece pervenire al potente Ministro degli Esteri d’oltralpe Georges Bidault una lettera con cui perorava le cause dell’Italia. L’intento di quella missiva era quello di edulcorare, rendendole meno ostili, le severe opinioni della Francia vincitrice sul nostro Paese sconfitto. Molto intenso fu tra quelle righe l’appello rivolto alla questione di Trieste.
Con lo strumento della poesia, Mario Bergamo rispose anche all’offerta di De Gasperi di fare rientro in Italia, e non fu la prima volta che non accettò l’invito di abbandonare la sofferta libertà dell’esilio in cambio di facili prebende politiche. Con il diniego alla proposta rivoltagli dal primo Presidente del Consiglio italiano dell’era post fascista e repubblicana, Mario Bergamo rifiutò la carica di Senatore del nuovo Parlamento Italiano. Quella elezione gli sarebbe spettata di diritto come ex aventiniano e antifascista.
Fin dalla giovinezza, Mario fu molto impegnato sul piano civile, sociale e politico. Con il fratello Guido e con il padre Luigi, diede vita alla Repubblica di Montebelluna. Quell’esperimento politico di libertà venne chiamato, proprio per l’attivismo della famiglia Bergamo, “Repubblica Bergamina”. L’atto di resistenza di quel giovane presidio all’insorgere della deriva fascista fu breve, solo dal 1919 al 1921, ma presto esso divenne un importante e riconosciuto laboratorio politico e sociale di stampo repubblicano. In terra veneta e in piena monarchia, la repubblica bergamina fu definita “un’isola verde in un mare bianco”. All’iniziativa sociopolitica della Repubblica Bergamina si consorziarono, insieme alla municipalità di Montebelluna, altri otto comuni, formando una lega con più di tremila iscritti e con quarantatré cooperative di consumo per beni di prima necessità. Ne nacque un vero movimento sindacale e si aprirono scuole per l’istruzione del proletariato fondate sull’idea del bene comune e della giusta pace per tutti. Una Repubblica, dunque, di ampio respiro sociale che nel porre fine ai conflitti di classe suscitò presto nei fascisti, una volta che questi avevano raggiunto il potere, sentimenti avversi e ostili.
Nel 1919, con Luigi Arpinati, Pietro Nenni e il fratello Guido, Mario Bergamo aderì al primo Fascio di Combattimento a Bologna dal quale, dopo pochi mesi, prese le distanze, ritenendo che con quell’iniziativa consociativa si tradisse la pregiudiziale repubblicana.
Fu eletto alla Camera del Regno nelle elezioni politiche del 1924, e in questa fase sostenne la riforma del Partito Repubblicano in opposizione alle correnti tradizionaliste. Nel 1925 con il suo “Lineamenti di Programma Repubblicano”, propugnò l’idea di un Repubblicanesimo basato su Giustizia Sociale e su Laicismo Integrale. Con questo programma fu eletto Segretario Nazionale del Partito Repubblicano.
L’Italia si stava però addentrando nel periodo più buio della storia del Novecento, e quello divenne presto tempo di negazione delle libertà di opinione e di manifestazione del pensiero politico.
Mario Bergamo, da speranza politica di giustizia sociale, venne perseguitato per le sue idee, manganellato dagli squadristi fascisti, picchiato a sangue. Fu persino esposto nudo ed emaciato per le percosse subite in una vetrina del ristorante Diana (ancora oggi noto locale bolognese sotto i portici di via Indipendenza), affinché tutti sapessero cosa sarebbe successo a chi avesse osato manifestare contro la dittatura fascista.
Nonostante i molti agguati, le violenze e le angherie subìte, Mario Bergamo continuò instancabilmente la propria lotta, senza mai lasciarsi intimidire. Nel suo studio legale a Bologna, in via Foscherari, convenivano segretamente, sfrontatamente secondo l’opinione della polizia politica del regime, avventori provenienti da ogni luogo e da ogni formazione politica libertaria, per condividere in semi-clandestinità uno scambio di idee aperto e per ascoltare le opinioni e i suggerimenti di Mario Bergamo.
I Fascisti tenevano d’occhio questo continuo via vai e di tanto in tanto capitava che lo studio diventasse destinatario di qualche attentato dinamitardo o di qualche incendio doloso. Nessuna compagnia assicuratrice volle più garantire copertura ai danni subiti dall’Avvocato Bergamo.
Il padrone della casa in cui Mario e la sua sposa abitavano, in via XII Giugno a Bologna, gli lesinò persino la corda per saltar giù dalla finestra e per mettersi in salvo dagli assalti che le camicie nere conducevano contro la sua abitazione. Tutti oramai temevano la furia degli squadristi e nessuno si accollava più l’impegno di difendere i valori di libertà.
La famiglia Bergamo mai sottostò, tuttavia, alla protervia di quegli atti, come quando, all’imposizione di bere una quantità di olio di ricino che avrebbe potuto rivelarsi fatale, la moglie Linda intervenne con un atto di coraggio e di amore: strappò il bicchiere dalle mani dei fascisti e lo bevve lei tutto d’un fiato. Scappò in bagno, prese a pugni il ventre fino a procurarsi un vomito liberatorio, espulse dal corpo il contenuto letale e salvò in tal modo non solo la sua vita, ma anche quella del suo Mario.
Le percosse diventavano sempre più frequenti. Mario ne prese tante e non ne diede mai (!); “con le mani”, però disse, “non me ne darete mai tante quante ne merito”.
A fine ottobre del 1926, la dittatura aveva avviato nei suoi confronti un’efferata caccia all’uomo, ritenendolo, si dimostrò poi infondatamente, il mandante dell’attentato di Bologna a Mussolini. Il giovane autore del gesto, Anteo Zamboni, fu ucciso per ritorsione e il suo corpo straziato.
Mario Bergamo, nel frangente di quell’attentato non riuscito, si trovava in rientro da Roma, dove aveva partecipato a una seduta dalla Camera del Regno. In quelle ore, Italo Balbo, uno dei più noti gerarchi fascisti, aveva fatto affiggere sui muri della città imponenti manifesti con la dicitura “Ora bisogna fare giustizia del responsabile morale Mario Bergamo, la più grande carogna antifascista d’Italia”. Quello stesso Italo Balbo che solo tre anni più tardi lo avrebbe sollecitato, per il tramite del fratello Guido, a rientrare in Italia. Mario rispose che sarebbe rientrato solo se la stessa proposta fosse stata estesa a tutti i fuoriusciti italiani.
Parole che non lasciavano a Mario alcuna via di scampo. Fu così che la strada dell’esilio rimase l’unica possibilità per la salvezza personale e della sua famiglia e per continuare ad avversare, seppur da lontano, la dittatura.
La fuga fu organizzata dall’intraprendente moglie Linda, e a lui si unì l’amico di sempre, Pietro Nenni. Accompagnati anche da Ferruccio Parri, i fuggitivi vennero affidati ad alcuni contrabbandieri in prossimità del valico d’oltralpe prescelto per l’attraversamento, proprio nella regione in cui, diciannove anni più tardi, Benito Mussolini sarebbe stato definitivamente arrestato.
La traversata tra le montagne fu drammatica, Nenni era sfinito per una caviglia dolorante che non gli permetteva di proseguire e implorava di essere lasciato a bordo strada per non intralciare la fuga dei compagni. Mario però non ebbe cuore di ascoltare l’amico, lo caricò su di sé e alla fine, insieme agli altri amici, raggiunse la Svizzera e infine la Francia.
Dall’esilio di Parigi, Mario Bergamo ricostituì il Partito Repubblicano che la dittatura aveva nel frattempo disciolto, al pari di tutte le altre formazioni politiche .
Dalla capitale francese, Mario riprese la strenue lotta contro la dittatura. Lo fece con molte pubblicazioni tra le quali il quindicinale “I Novissimi Annunci” che Mussolini, definendolo “giornale francobollo”, leggeva con molta attenzione, palesando in tal modo una non dichiarata ammirazione per le idee di Mario Bergamo. Camillo Berneri scrisse: “ Il fascismo cerca di avvicinarsi al programma propugnato da Bergamo? Bergamo è coerente con sé stesso […]Le sue tesi sono quelle sostenute sia quando era esponente del PRI che di quando copriva le cariche nella Concentrazione Antifascista. Le ha sostenute quando la Concentrazione sperava nel re, nel papa, e nel fascismo dissidente...”[3].
Numerose furono le pubblicazioni di Bergamo su L’Oeuvre di Parigi, su La Dépéche di Tolosa e su Le Barrage, il giornale della Lega Internazionale per la Pace di cui Mario era entrato a far parte. Scrisse anche su L’Italia del Popolo, periodico dei repubblicani in esilio al quale Mussolini replicò con la fondazione de Il Popolo d’Italia, un’inversione di termini eloquente della diversità dei postulati ispiratori delle due politiche. Scrisse anche per L’Iniziativa di Alberto Jacometti e per Il Pungolo di Giuseppe Donati.
Ma se molti dei suoi compagni nella lotta erano ispirati per lo più dall’odio contro il Fascismo, Mario Bergamo era guidato “da un sentimento d’amore per il mio paese”, queste le sue parole, e dalla necessità di esercitare un’“Opposizione Storica”. “Qui la nostra differenza, di qui la nostra discordia”. Ne seguì la pubblicazione di un volumetto dal titolo “Elogio della discordia” che, denunciando la litigiosità improduttiva della Concentrazione Antifascista, procurò a Mario l’astio di taluni compagni d’esilio.
La sua bibliografia resta una fonte di documenti storici della storia nazionale d’Italia. Tra le opere maggiori spiccano: “L’Italia che resta”, “Laicismo Integrale”, “Nazionalcomunismo”, “L’Arbitraire comme conception Juridique”, “Donati o dell’Esilio”, “Saturnia e l’Elogio della Discordia”, “Lineamenti di Programma Repubblicano”, “Un Italienne rèvoltè”, “Novissimo Annuncio di Mussolini”. Si aggiungono le opere di poesia come “L’Evasione”, “L’Evasione e la Fuga” e “Giunco Pensatore”.
Il suo manifesto europeista è contenuto nel libro “La France et l’Italie sous le Signe du Latran ou la République Fédérale Franco-Italienne sous le Signe du Laicisme Intégral”, dato alle stampe a Parigi nel 1931. Un manifesto federalista antesignano del concetto di Europa unita, ancor prima della pubblicazione del Manifesto di Ventotene e delle visioni di Jeanne Monnet dalle quali scaturì la dichiarazione Schuman e la nascita della CECA (Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio), precorritrice dell’odierna Unione Europea.
Ma quella preconizzata e sognata da Mario Bergamo era un’Europa diversa: era l’unione dei popoli e delle Nazioni Europee sulla scorta del più autentico Europeismo Mazziniano. L’idea primigenia, quindi, di un patto federativo franco-italiano come “polo di irresistibile attrazione sulla via della costruzione degli Stati Uniti d’Europa.”
MARIO BERGAMO SOLDATO
Durante la Prima Guerra Mondiale, sebbene per fatto consustanziale egli fosse fervente antimilitarista e contrario all’ingresso dell’Italia nel conflitto, Mario Bergamo partì volontario al grido “Guerra alla Guerra”. L’idea diffusa era che il conflitto che stava iniziando sarebbe stata l’ultima guerra da combattere per ottenere la dissoluzione degli Imperi e che con essa sarebbero cessate le grandi ingiustizie sociali subite dai Popoli. Una guerra quindi da affrontare per la giustizia e che avrebbe portato alla nascita di nuove Nazioni in Europa. Mario, a guerra conclusa, denunciò l’insostenibilità delle condizioni imposte dal Trattato di Versailles, irragionevoli nei confronti della Germania e tali da divenire, a vent’anni di distanza, una concausa della deflagrazione del Secondo Conflitto Mondiale. Durante la Grande Guerra, Mario fu Ufficiale di fanteria nelle trincee di Monte Piana sulle Dolomiti. Venne decorato con medaglia di bronzo al valor militare; questa ne è la motivazione: “Caduti in combattimento il comandante e tutti i graduati del plotone, assumeva il comando del reparto, comportandosi con calma ed energia, specialmente durante il ripiegamento, che fece seguire al suo reparto in perfetto ordine, sotto il vivo fuoco dell’artiglieria nemica” (Monte Piana, 20 luglio 1915).
Per ben comprendere il suo valore umano, è significativo ricordare come egli, prima di ogni assalto, pulisse e disinfettasse la propria baionetta. Un gesto che ne dichiarava l’irrinunciabile riconoscimento del valore della vita. Un atto simbolico con il quale Mario Bergamo intendeva dire che se il nemico fosse stato ferito dal taglio della baionetta, mai sarebbe dovuto morire per le sofferenze (atroci) dell’infezione.
Durante la guerra, Mario continuò a studiare anche al fronte sostenendo diversi esami universitari durante le brevi licenze. Sulle vette dolomitiche, teatro dello scontro bellico, di tanto in tanto saliva a trovarlo Linda, all’epoca sua fidanzata, divenuta durante la Guerra infermiera del corpo ausiliario delle Crocerossine.
Finita la Prima Guerra Mondiale, Mario continuò a esercitare l’avvocatura a Bologna fino al giorno dell’espatrio verso l’esilio francese. La Dittatura Fascista lo degradò e gli tolse medaglie e cittadinanza Italiana, né lui accettò mai di acquisire quella francese. A Parigi visse il suo esilio e lì vi morì da apolide.
MARIO BERGAMO, UN “FEMMINISTA”
È del 1913 il suo primo libro dedicato interamente alla questione femminile, dal titolo “Parola alle donne”. La dedica, contenuta all’interno è “A Te che sai…”: una dichiarazione piuttosto eloquente!
“La donna non è un essere inferiore ma inferiorato” e dalla prigione in cui si trova può liberarsi solo con l’educazione, con lo studio e con una vera battaglia di libertà per l’emancipazione. Anche in questo caso, Mario affrontava una disputa di principi, una questione sociale, un’espressione di lotta nel nome della giustizia. La mancanza di parità tra uomo e donna era all’epoca, ed è ancora in parte oggi, un vera ingiustizia.
MARIO BERGAMO POLITICO
Mario Bergamo è stato, come si è detto, l’ultimo Segretario del Partito Repubblicano nell’Italia monarchica. Approdò alla Direzione del Partito nel 1924, divenendone Segretario Nazionale nel 1925 e imponendosi con la corrente “Repubblicanesimo Sociale, detta anche “Repubblica Bergamina” o “Bergamiana”. “Bergamini” vennero definiti i suoi seguaci. Se non avesse deciso per l’esilio nel 1926, Mario sarebbe stato ucciso dagli Squadristi Fascisti. Riparò in Francia, dopo una fuga rocambolesca, e raggiunta la destinazione finale ricostruì a Parigi il Partito Repubblicano. Dall’estero diede vita ad un’incessante campagna contro la Dittatura Fascista.
Repubblicano Mazziniano, profondo europeista, promotore di un totale laicismo integrale inteso come principio basilare della costruzione nazionale ed europea, Mario lottò “contro chi si occupava delle condizioni di pace e non si preoccupava delle condizioni della pace”[4]!
Repubblicano, quindi contro la Monarchia, a favore di un Bene Comune che si fondasse su una compiuta Giustizia Sociale, definita da lui stesso “madre della Libertà”, Mario fu sempre sostenuto nella lotta sociopolitica dal suo Amore per la Patria. Fu quindi vero “Patriota”, termine oggi spesso abusato dai temi della contemporaneità politica.
Mario Bergamo fu Mazziniano, e quindi orientato al riscatto dell’Italia attraverso la costruzione di una Nazione Repubblicana secondo la “religione laica” della Patria, in piena conformità con principi di giustizia e di libertà. Propugnò l’idea di Nazione come elemento essenziale; lo fece non nell’accezione nazional-sovranistica oggi molto in voga, ma per l’idea della convivenza pacifica tra i popoli, della Fratellanza o, ancor meglio, dell’Umanità.
Affinché la sua visione si realizzasse, Mario Bergamo insistette sul concetto per lui irrinunciabile di Giustizia Sociale. Giustizia non solo tra le classi di una Nazione, ma anche nel rapporto tra gli Stati, essi stessi intesi come “classi”: un concetto di “Giustizia Sociale” europea molto più incisivo di quanto oggi si proclami con la dizione di “solidarietà tra gli Stati dell’Unione Europea”.
Egli fu anche precursore dell’intuizione tecnologica, il “macchinismo” così come lo definiva, rilevando che se la tecnologia avrebbe permesso di rendere meno gravosa la produzione dei beni, risolvendone le esigenze, la redistribuzione della ricchezza sarebbe divenuto, ancor più, il tema centrale delle società moderne.
Fu un antimperialista e un antimilitarista, fu contro la plutocrazia, fu anticlericale.
Anche Gabriele D’Annunzio lo incoraggiò nel suo “alto fervore”, parole che il Vate gli scriveva. Tra i due vi era assonanza, rispondenza e corrispondenza. Mario Bergamo fu infatti anche sostenitore dei gruppi dannunziano-deambrisiani nel periodico “La Riscossa dei legionari fiumani”. Difese la libertà della persona e la giustizia tra gli esseri umani. I fascisti consideravano il suo contegno una quotidiana provocazione al regime.
Comprendere Mario Bergamo implica approfondirne Pensiero e Azione e comporta la scoperta della modernità anti-ideologica del suo pensiero politico. Significa anche superare i dogmatismi disseminati lungo il sentiero della libertà della persona e della Nazione. Significa operare in accordo a un principio di Necessità. Mario Bergamo propugnò la fusione tra Partito Repubblicano e Partito Socialista, biasimando quest’ultimo per non avere preso a sufficienza le distanze dalla Monarchia. Egli scrisse: “S’impone una sintesi nuova. Il Bolscevismo è una sintesi, il Fascismo è l’aspetto del tentativo di una sintesi… fenomeno di transizione”. La Sintesi nuova sarà tra il sociale e il politico, e in qualche modo tra Bolscevismo e Fascismo”[5].
Del “Magistero Bergamo”, il giornalista Marcello Veneziani su “L’Italia Settimanale” del 25 gennaio 1995 ha cercato di fornirne una interpretazione, forse un po’ strumentale ma corretta. Egli lo definì l’”Inventore di Fascio e Martello”, poiché Mario coniò il termine Nazionalcomunismo (termine “difficile” che dispiacque a destra e a sinistra) che altro non era che l’emblema provocatorio della sua idea di Repubblicanesimo Sociale.
Sebbene fosse “il più irriducibile ma inappuntabile avversario”, come ebbe a dire di lui Benito Mussolini, Mario fu la persona alla quale il Duce si rivolse dopo la caduta del governo fascista pregandolo affinché facesse ritorno in Patria. Mussolini avrebbe voluto infatti affidargli la stesura della Costituzione della Repubblica Sociale Italiana: “in fondo l’espressione Repubblica Sociale è vostra!”, queste le parole di Mussolini. Mario Bergamo rifiutò anche quell’invito, non poteva fare altrimenti, e gli rispose: “troppo tardi! Ci rivedremo a Sant’Elena”. Sappiamo che Mussolini a “Sant’Elena” non giunse mai.
Mario Bergamo fu protagonista della Storia d’Italia che passò ai posteri con il nome di “Ventennio”, un periodo su cui ancora oggi s’indaga per capire le ragioni che tengono in vita, nonostante il paradosso drammatico di quella tragica epopea, gli echi del Fascismo .
Certo è che quello di Mario Bergamo non fu un antifascismo dettato da odio o da livore, nonostante la persecuzione subita, ma da sentimento di “Opposizione Storica”. Un’opposizione leale, com’era nel suo spirito, per individuare e per denunciare le cause e le origini del movimento. Com’egli disse riguardo alle origini e alle cause: “simulate o dissimulate, prossime o lontane, dirette o indirette… l’opposizione storica non strilla, riflette… secondo illuminata coscienza”!
MARIO BERGAMO L’EUROPEISTA
“La France et l’Italie sous le signe du Latrano u la Rèpublique Fèdèrale Franco-Italienne sous le Signe du Laicisme Integral”, edito da SEPI a Parigi nel 1931, è il titolo dell’opera che racchiude la visione europeista di Mario Bergamo. Il manoscritto è stato ripubblicato in Italia a un lustro dalla sua morte dall’Associazione Mazziniana con il titolo “Laicismo Integrale”, a cura del figlio Giorgio Mario Bergamo.
“Gli Stati Uniti d’Europa sono stati, e da sempre, nel Programma Repubblicano […] come non ho atteso, per scoprire e amare la Francia, d’esservi spinto dal Fascismo, così non ho atteso l’immensa guerra civile che è stato il 1914-1918 per scoprire l’Europa. È stata talmente una guerra civile che, dopo Versaglia, si pone non tanto il problema della pace militare, quanto quella della pace civile europea.”
Mario Bergamo prospettava una federazione franco-italiana come centro di attrazione degli altri stati nazionali per la costruzione degli “Stati Uniti d’Europa”. Francia e Italia “sorelle” in un polo aperto a ogni altro popolo che volesse federarvisi. Egli non intendeva preferire un’intesa per così dire regionale, ma un sentiero verso l’organizzazione concertata di tutte le Nazioni Europee.
“Il concetto d’Unione rischia di restare un’espressione vuota, così come quella di Stati Uniti d’Europa sembra voler dire tutto per non fare e non cominciare nulla. Con l’Unione Europea succede quello che succede con il disarmo, nessuno vuol cominciare. Poiché si teme l’ingiustizia degli altri o quella di cui gli altri sono vittime.”
La questione che s’impone in seno alle nazioni europee è insieme, e per non parlar d’altro, una questione politica e una questione sociale. Come questione politica essa concerne l’organizzazione amministrativa dell’Europa; come questione sociale, attiene ai rapporti tra i popoli tra loro, ogni popolo considerato come una classe”. “La Pace internazionale si edifica sulla giustizia internazionale”. Ecco quindi l’applicazione del Repubblicanesimo Sociale anche nella sua visione politico-sociale europeista, non priva della parte filosofica: “una federazione tra Francia e Italia è conforme al principio cristiano e kantiano che reclama valore universale […] sarebbe cosa feconda […] ad ogni modo il contrario di Parigi o Roma non sarebbe Berlino. Berlino è la capitale di un grande popolo, malgrado la sua mania di kolossal, sintomo, talvolta, di squilibrio intellettuale […]. Come gli armamenti non garantiscono la sicurezza, il disarmo materiale non assicurerebbe, da solo, la pace […]. La coscienza degli uomini ha tanto progredito e solo la giustizia è garanzia della pace”.
La nostra odierna contemporaneità è ancora scossa da tante guerra, anche vicine. Riflettere sui concetti espressi da Mario Bergamo un secolo fa, ancora ricchi di attualità, potrebbero essere d’impulso alla vera costruzione degli Stati Uniti d’Europa. Un’idea di confederazione politica che non trovi nel bellicismo il proprio collante e alla quale non possano di certo bastare l’economia e la finanza, poiché esse riflettono realtà proprie del mercato e non sentimenti di popolo.
Anche grazie alla via tracciata da Mario Bergamo, è oggi auspicabile che l’Europa riesca finalmente a percepirsi come “Comunità di destino”, uscendo dallo stallo burocratico, superando la dimensione precipuamente mercantile e guardando a un federalismo che, se fosse applicato, le permetterebbe di assurgere a ruolo di potenza internazionale equilibratrice, in pieno accordo ai principi di equità e di giustizia nati proprio nel continente europeo.
CONCLUSIONI
Rivolgendomi soprattutto ai giovani, voglio riaffermare alcuni passaggi della visione ideale di Mario Bergamo.
Il “Magistero Bergamo” suggerisce di vivere secondo coscienza più che secondo convenienza. Egli afferma che la libertà va difesa, anche a costo di gravi sacrifici e di rinunce personali, poiché solo la Giustizia e il vivere secondo giustizia sono i fondamenti della pace individuale, sociale e internazionale. Non si può accettare che l’uomo sia inteso solo come un consumatore, e occorre propugnare una tecnologia e una scienza come mezzi per la riduzione e non per l’ampliamento del gap sociale. Quanto accade oggi è solo la conseguenza di errate premesse e di vane promesse.
Paola Bergamo, Cortina d’Ampezzo, 11 marzo 2024
[1] Mario Bergamo, Laicismo Integrale, Associazione Mazziniana Editore – 1968
[2] Cino Del Duca (25 luglio 1899- 24 maggio 1967
[3] L’Italia che resta, pag. 10 – Cino Del Duca Editore
[4] Mario Bergamo- L’Italia che resta, Cino del Duca Editore
[5] Mario Bergamo, Nazionalcomunismo – Edizioni Cino Del Duca – Edizioni Mondiali – 1965
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