Mindfulness: cos’è, come funziona e come può migliorarci la vita
8 min readMeditazione e Salute. Gli ultimi 30 anni di ricerca scientifica sono stati testimoni dell’associazione sempre più frequente di queste due parole, che solitamente ci si potrebbe aspettare di trovare più in un magazine new-age che in una rivista scientifica del calibro di Nature. Gli anni ‘90 hanno decretato il boom di una nuova branca di ricerca neuropsicologica e medicale che ha preso il nome di “Scienze della contemplazione”: in questo specifico ambito si studiano gli effetti di pratiche che fino a 50 anni si pensava fossero relegate solamente ai lontani monasteri himalayani . La meditazione è diventata progressivamente oggetto delle più approfondite ricerche in ambito psicologico , medico e addirittura socio-culturale, dimostrando che una pratica così apparentemente lontana dalla cultura scientifica occidentale possieda un enorme potenziale per la salute umana: nasce così in una clinica americana in quegli stessi anni la meditazione Mindfulness.
Mindfulness: un approccio occidentale alla meditazione
Alla fine degli anni ‘70 in un un edificio universitario della Massachusetts Medical School, il biologo statunitense Jon Kabat-Zinn, ispirato dalla meditazione zen e dalle pratiche yoga, fondò la prima clinica di riduzione dello stress conosciuta dal mondo occidentale. Kabat Zinn durante i suoi anni di ricerca si rese conto che le terapie farmacologiche per gestire e modulare lo stress psicofisiologico avevano numerosi effetti collaterali per la persona, erano economicamente dispendiose e richiedevano un monitoraggio medico costante. L’obiettivo della clinica era quello di individuare un metodo efficace, facilmente praticabile ed economicamente vantaggioso per raggiungere risultati simili nell’arco di qualche mese. Venne così sviluppato il primo programma scientifico di riduzione dello stress basato su pratiche meditative : nasce così la Mindfulness, letteralmente “pienezza mentale”, una forma di meditazione ispirata dalle pratiche buddhiste facilmente comprensibile anche per le menti più laiche e occidentali, scientificamente efficace e che richiedeva solamente una stanza tranquilla e una seduta comoda.
Con la parola Mindfulness la letteratura scientifica indica due aspetti complementari dell’esperienza: da un parte si parla di tecniche Mindfulness, ovvero di tutti questi esercizi meditativi che promuovono una consapevolezza non giudicante delle proprie esperienze nel momento presente (Kabat Zinn e colleghi, 1992); dall’altra si parla di Mindfulness come stato di pienezza mentale completa, a tutti gli effetti uno stato di coscienza alterato, che viene indotto e raggiunto grazie alle tecniche stesse. Più questo stato viene coltivato durante le sessioni meditative, più diventa semplice per la persona portarlo all’esterno della pratica, beneficiandone durante la vita quotidiana. Esistono molti esercizi che rientrano all’interno delle pratiche Mindfulness, e riguardano sempre l’impiego della respirazione per focalizzare l’attenzione sulle proprie sensazioni fisiche e sui propri stati emotivi e mentali lasciando che questi scorrano dentro di noi.
I benefici per la salute
Ma perché secondo la scienza potrebbe essere utile dedicare del tempo a questi esercizi di meditazione? In questi 30 anni di ricerca è stato dimostrato che una pratica meditativa abituale di soli 15 minuti al giorno promuove numerosi effetti positivi sulla salute dell’essere umano. Dal punto di vista fisico, è stato dimostrato che una pratica costante riduce lo stress e l’infiammazione dell’organismo, migliorando la salute cardiovascolare e il sistema immunitario. Dal punto di vista psicologico inoltre, riduce sintomi ansiosi e depressivi, migliorando il benessere e la resilienza dei praticanti. Gli ultimi progressi nello studio della genetica ed epigenetica infine hanno dimostrato che le persone che si impegnano nella pratica sperimentano un più lento invecchiamento cellulare e un minore stress ossidativo, vivendo di fatto una vita più lunga e meno costellata da patologie degenerative e neoplastiche. (Chambers e colleghi, 2008)
Una pratica Mindfulness consiste in uno specifico esercizio che abbraccia tre aspetti distinti: il momento presente, l’attenzione intenzionale, e l’atteggiamento non giudicante. Andiamo ora ad analizzarle singolarmente per comprendere come questa forma di meditazione agisca a livello psicologico e fisiologico migliorando la nostra salute.
Il momento presente
La pratica Mindfulness consente alla persona di concentrare l’attenzione sul hic et nunc, il qui e ora, concentrando l’attenzione sul respiro: in questo modo la persona sarà in grado di osservare le esperienze che emergono dentro e fuori di sè ( come pensieri, emozioni e sensazioni), e di scegliere attivamente di lasciarli andare. Ognuno di noi trascorre la maggior parte del suo tempo in quella che viene definita modalità “pilota automatico”, una dimensione di non consapevolezza che ci permette passivamente di filtrare gli stimoli dall’ambiente interno ed esterno e di reagire ad essi in modo euristico ed economico. In questa situazione il nostro cervello attiva un network specifico di aree cerebrali che gestiscono tutte le attività “passive” o a basso costo energetico, il Default Mode Network (DMN). In questo stato emozioni, pensieri e sensazioni vengono comunque elaborati e assumono significati, che guidano il nostro pattern di esperienza al di fuori della nostra consapevolezza: ecco spiegato perché in alcuni casi ci troviamo a combattere con pensieri opprimenti e crisi emotive senza essere in grado di riconoscerne l’origine (Tang e colleghi, 2009). La pratica permette di disattivare temporaneamente il Default Mode Network, insegnando a prendere possesso del momento presente scoprendo che tra lo stimolo e la risposta esiste sempre uno spazio di interpretazione e scelta: la meditazione mira ad allargare questo momento di scelta nel presente per liberarsi dalle orme del passato e dalle pressioni del futuro. Il respiro è lo strumento principe che ci permette di ancorare la nostra esperienza al momento presente: essendo un’azione contemporaneamente automatica e controllabile, possiamo seguirlo nel suo ciclo di inspirazioni ed espirazioni come fa il musicista con il metronomo o guadagnarne il governo per raggiungere stati psicofisiologici particolari. In una metafora marinaresca, il respiro è sia l’ancora di una nave che il suo timone, e ci permette di navigare l’oceano della vita momento dopo momento.
La consapevolezza intenzionale
Il secondo aspetto fondamentale è la capacità di rivolgere intenzionalmente il focus attentivo andando ad abbracciare in modo consapevole le esperienze che si susseguono dentro e fuori di noi. In ogni istante siamo invasi da un numero imprecisato di stimoli provenienti dal mondo esterno che aggrediscono i nostri cinque sensi tra miriadi di colori, sfumature eterogenee di suoni, aromi e sensazioni tattili di vario tipo. Dall’altra parte, il nostro mondo interiore è a volte ancora più caotico e vivido e ci intrattiene con un flusso costante di pensieri, emozioni, e sensazioni fisiche. Diversi studi dimostrano che il cervello dei meditatori sviluppa una maggior numero di connessioni in diverse aree del cervello deputate proprio alla consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri pensieri (corteccia pre-frontale), alla consapevolezza del proprio corpo (corteccia sensoriale e insula), e alla regolazione delle emozioni (corteccia orbitofrontale), promuovendo una maggiore consapevolezza delle proprie esperienze e una maggiore capacità di gestione emotiva (Chambers, 2008). Nella filosofia buddhista esiste un’importante metafora che ci può aiutare a comprendere meglio come funziona la nostra mente e la nostra attenzione: la mente è come una scimmia, che salta freneticamente da un ramo all’altro seguendo ogni stimolo proveniente dal mondo esterno o interno, in una rincorsa estenuante. La nostra attenzione, anche da un punto di vista neurobiologico, ha il gravoso compito di cogliere questa cascata di esperienze balzando da una all’altra per filtrarle e permetterci di interpretare il mondo che ci circonda. Meditando si impara a prendere consapevolezza dei vari percorsi che la nostra attenzione fa seguendo i vari stimoli e con un po’ di esercizio si apprende l’arte di calmare la scimmia dentro di noi rallentando la sua corsa. Da un punto di vista neurobiologico infatti la meditazione promuove una maggiore attivazione del sistema nervoso parasimpatico, che determina un gran numero di risposte di rilassamento corporeo e mentale, abbassando il metabolismo e generando un maggior senso di calma (Tang e colleghi, 2009).
Il non giudizio
Il terzo aspetto fondante è il non-giudizio, che è direttamente collegato alla capacità di fare spazio tra lo stimolo e la risposta: durante la pratica Mindfulness si imparano a notare i legami tra gli stimoli ambientali, le sensazioni interne, le emozioni e i pensieri, senza aggrapparsi a nessuno di essi. La nostra mente è abituata ad apporre giudizi su qualsiasi cosa, attribuendo un valore positivo o negativo alle esperienze in modo quasi sempre automatico e poco consapevole. Allenare il non-giudizio significa accettare che gli eventi che si susseguono nella nostra esperienza non sono intrinsecamente positivi o negativi: siamo noi a creare legami tra queste esperienze e di conseguenza a trasformarle in qualcosa di piacevole o di profondamente spiacevole. In questo senso grazie alla meditazione Mindfulness possiamo imparare a relazionarci in modo diverso ai nostri giudizi automatici, creando uno spazio di osservazione e sospensione. E’ stato provato da numerose ricerche come attraverso la meditazione sia possibile ridurre l’attività del Default Mode Network, che si occupa della produzione costante di giudizi automatizzati, favorendo in questo modo una maggiore consapevolezza dei processi mentali e una migliore regolazione emotiva (Garrison e colleghi, 2015).
In conclusione, la ricerca scientifica contemporanea ha scelto di dedicare sempre più attenzione a un fenomeno che era stato per secoli etichettato come “non di interesse scientifico” poichè interpretato come pratica esoterica o religiosa. La maggior parte delle forme di meditazione tradizionali condividono con la Mindfulness gli aspetti fondamentali della pratica, anche se quest’ultima è stata adattata e studiata appositamente per poter essere utile ad un pubblico occidentali e laico. La Mindfulness, considerando gli incredibili risultati, viene oggi utilizzata in molti ambiti sanitari, dalla psicoterapia, alla riabilitazione fino ad arrivare alla terapia oncologica, fornendo ai professionisti sanitari uno strumento efficace e scientificamente dimostrato per promuovere un maggior benessere, modificare la struttura e l’attivazione cerebrale e interferire con gli automatismi mentali che portano sofferenza. Inoltre, la ricerca ha dimostrato che è possibile apprendere i principi della Mindfulness e praticarla nella propria vita anche al di fuori di protocolli clinici standardizzati, per potersi avvicinare ai medesimi risultati ma in un contesto più informale e quotidiano.
Bibliografia:
– Kabat-Zinn J, Massion AO, Kristeller J, Peterson LG, Fletcher KE, Pbert L, Lenderking WR, Santorelli SF. Effectiveness of a meditation-based stress reduction program in the treatment of anxiety disorders. Am J Psychiatry. (1992) Jul;149(7):936-43. doi: 10.1176/ajp.149.7.936. PMID: 1609875.
-Chambers, R., Lo, B. C. Y., & Allen, N. B. (2008). The impact of intensive mindfulness training on attentional control, cognitive style, and affect. Cognitive Therapy and Research, 32(3), 303–322.
-Tang Y, et al. (2009) Central and autonomic nervous system interaction is altered by short-term meditation. PNAS June 2, 106 (22) 8865-8870.
-Garrison, Kathleen & Zeffiro, Thomas & Scheinost, Dustin & Constable, Robert & Brewer, Judson. (2015). Meditation leads to reduced default mode network activity beyond an active task. Cognitive, affective & behavioral neuroscience. 15. 10.3758/s13415-015-0358-3.
Sono Andrea Craighero e sono Psicologo, Psicoterapeuta in formazione e insegnante di tecniche Mindfulness. Attualmente lavoro nell’ambito della migrazione e della salute mentale, ma sono anche un avido lettore, uno scomodo viaggiatore e un apprendista tatuatore. Tante cose in testa, tanta fame nel petto. Ho studiato all’Università di Padova e alla Tilburg University (Paesi Bassi) e mi sto specializzando come psicoterapeuta all’ Institute of Constructivist Psychology (ICP). Ho sempre cercato di lavorare nell’ambito della marginalità e dell’interculturalità sia come clinico che in un progetto di photoreportage che nel 2019 mi ha portato a vivere per un mese nelle montagne nel Nord dell’Albania.