Il mito di Arianna, da ieri a oggi
5 min readTutti quanti conoscono il mito di Arianna, del Minotauro e di Teseo, del labirinto e del gomitolo, e sappiamo tutti la sua origine greca; ma in ambito latino la tradizione del Mito di Arianna è continuata a lungo, creando anche quelli che oggi chiameremmo spin-off degni di nota.
Il Mito ha un proprio antefatto: iniziò tutto a Creta, dall’unione tra Zeus ed Europa, da cui nacquero tre figli, tra cui Minosse, che in seguito al matrimonio della madre con Asterione, re di Creta, diventò primo erede al trono, essendo le nozze tra i due sterili. Per rivendicare il trono di Creta e dimostrare come questo fosse il volere degli Dei, Minosse pregò Poseidone di inviargli un toro, animale sacro ai cretesi, come simbolo di apprezzamento, promettendo di sacrificarlo in seguito.
Dopo aver ottenuto il trono, Minosse rimase talmente estasiato da questo toro, che decise di non ucciderlo, sacrificandone un altro al suo posto. Poseidone allora, per l’affronto subito, punì Minosse facendo innamorare la moglie, Pasifae, del toro, in modo tale che lei si facesse costruire una struttura in legno da Dedalo (sì, proprio quello del labirinto!) affinché potesse avere un rapporto completo col toro. Da questo rapporto nacque il Minotauro. Sempre Dedalo, fu incaricato, quindi, di costruire un labirinto per nascondere il frutto mostruoso di quell’unione zoofila.
Allora, quando arriva Teseo?
Bisogna tornare indietro di qualche anno quando, presso Atene, nel periodo in cui venivano tenuti i giochi panatenaici (simili alle Olimpiadi, ma riguardanti feste panatenee), dove, da molto tempo, continuavano a vincere i cretesi, in virtù di un loro atleta straordinario: Androgeo, figlio di Minosse (e quindi fratello di Arianna). Il re di Atene, Egeo, livido di rabbia per la bravura dell’atleta cretese, fece in modo che gli fosse portata una coppa piena di veleno e che questi venisse così ucciso. Gli Dei, che avevano molto caro Androgeo, si arrabbiarono molto e decisero di punire la città di Atene, con tempeste di dardi velenosi e malattie e piaghe.
Gli ateniesi, chiedendo all’oracolo, scoprirono di dover scendere a patti con Minosse per fare in modo che tutto quel disastro finisse: da qui, ogni anno, nel giorno della morte di Androgeo, gli ateniesi avrebbero dovuto mandare sette giovinetti e sette giovinette in sacrificio a Creta, perché fossero dati in pasto al Minotauro. Proprio a questo punto, arriva finalmente Teseo, figlio di Egeo: un giorno decise di partire anche lui assieme ai giovinetti, ma non per essere sacrificato, quanto per tornare vittorioso.
Il resto della storia, la conosciamo tutti.
Ci sono opinioni contrastanti sul perché, dopo la fuga da Creta, Teseo abbia lasciato Arianna sull’isola di Nasso (oggi diciamo piantare in asso, quando lasciamo qualcuno “a piedi” senza dirgli niente: questo modo di dire viene proprio dal mito di Arianna che è stata lasciata “in (N)asso!”): alcuni pensano che Teseo avesse già un’altra amante, tale Egle; altri pensano che sarebbe stato uno scandalo per il figlio del re di Atene portarvi la figlia di colui che aveva causato tutto questo dolore per molti anni; altri dicono che Dioniso fosse apparso in sogno a Teseo e gli avesse detto di andarsene. Comunque sia la questione, Arianna si trovò sola e pianse lacrime amare, invocando le arpie contro Teseo.
Per lei ci fu comunque il lieto fine, con il matrimonio con Dioniso, mentre per Teseo andò molto peggio: all’andata il padre aveva dato a un nocchiero delle vele da esporre se Teseo fosse tornato vivo; purtroppo sfuggì di mente al giovane e si presentò senza quelle vele: il padre, vedendo dalla torre la nave tornare senza quelle vele, si suicidò (si narra che così nacque il mar Egeo).
Nella letteratura latina, Catullo riprese questo mito nei suoi carmina docta, precisamente nel carme 64, forse perché legato dalla stessa condizione d’abbandono alla protagonista del mito, egli riuscì a farne una descrizione patetica e dolorosissima del suo lamento. Dopo di lui, Arianna diventerà quasi topos letterario della donna sedotta e abbandonata. Da qui infatti nasceranno figure come Didone, nell’Eneide di Virgilio, dove nel ruolo di Teseo abbiamo Enea.
Anche Properzio continuò con questo tema, ponendo Arianna come modello della donna elegiaca per eccellenza, paragonandola alla sua amante, Cinzia.
Il potenziale di Arianna come modello si vede però, principalmente, in Ovidio: nelle Eroidi, una immaginaria raccolta di lettere di eroine abbandonate, Arianna prende direttamente la parola e scrive a Teseo, si lamenta e dimostra il proprio dolore con un tocco psicologico profondissimo. Ovidio ritornerà su questa figura anche nell’Ars Amatoria, manuale che insegna agli uomini a sedurre le donne, dove si sofferma però sull’arrivo di Dioniso, più che sul lamento di Arianna. Nei Fasti, però, ritorna sul Mito mostrando una Arianna inedita: la si vede gelosa, perché dubita della fedeltà di Dioniso, credendo che questi cercasse di conquistare una principessa indiana, e qui replica il lamento fatto per Teseo, con la differenza che Dioniso viene a tranquillizzarla.
Andando avanti nel tempo, anche Petrarca parlerà di Arianna, ma sarà Boccaccio a darne una immagine interessante: la definisce alcolizzata e ninfomane, affermando che Teseo fosse fuggito da Nasso con la sorella di Arianna, Fedra, lasciando lei in un sonno indotto dal vino.
Durante tutto il Rinascimento e fino al Settecento, il mito di Arianna gode di molta fortuna a livello della pittura, spesso per le raffigurazioni riguardanti l’arrivo di Dioniso.
Nel Novecento, invece, si rivaluta una figura che fino ad ora era stata ignorata: il Minotauro. Assieme a questo si dà molta importanza anche al concetto di labirinto, come nell’Aleph di Borges.
Le suggestioni del mito continuano ad essere forti ancora oggi, forse per la forza con cui si è descritta, da subito, una figura femminile come Arianna, forse perché da sempre il concetto di labirinto crea timore e contemporaneamente interesse. Comunque sia, è interessante notare come questo mito possa considerarsi uno dei possibili fili rossi fra il passato latino e la modernità.
Dopo aver conseguito il diploma in scienze umane, un atto di follia mi ha spinto a proseguire con un percorso di laurea in scienze biologiche che, rivelatosi fallimentare, ha spinto lo Zeno Cosini che c’è in me ad iscrivermi al corso triennale di Lettere Moderne, per poi fuggire dalla realtà caotica di Milano, per trasferirmi nella ridente Perugia, dove attualmente studio Insegnamento dell’Italiano agli stranieri, per portare qualcosa dell’Italia anche fuori dalla Penisola.