Oltre la comprensione umana
6 min readAppare ragionevole che esistano delle lingue antiche di cui ancora oggi non si riesce a comprendere le forme e le espressioni, mentre appare molto strano che nel ventunesimo secolo esistano forme di scrittura e linguaggi contemporanei che sono indecifrabili per la quasi totalità degli esseri umani.
Presso la galleria d’arte moderna di Verona, dinnanzi al testo originale della divina commedia, ho sentito esclamare da un visitatore: «Guardi come si legge bene dopo cinque secoli. Oggi bastano dieci anni perché un dischetto non funzioni».
Il visitatore ha detto una cosa vera ed una falsa insieme. La verità si riferisce al fatto che un disco magnetico o ottico per computer si rompe o si deteriora molto più velocemente e ha una durata molto più breve rispetto alla pagina di un testo antico. La parte non vera di quella affermazione è legata al fatto che spesso il non funzionamento del dischetto non dipende dal materiale con cui è stato costruito. Spesso ciò è legato alla veloce obsolescenza dei computer, dei loro dispositivi, dei formati di memorizzazione e dei programmi che li fanno funzionare.
L’accelerazione digitale fa sì che alcuni o tutti questi “oggetti digitali” vengano sostituiti molto velocemente, facendoli diventare obsoleti soltanto dopo pochi anni. Altro che i secoli delle pagine della divina commedia.
Questa tendenza all’innovazione tecnologica molto spinta è la causa del fatto che, anche avendo un dischetto di dieci anni fa ancora funzionante, sarà difficile trovare il giusto computer al quale collegarlo e il giusto programma che lo sappia leggere.
Quella breve conversazione tra i visitatori del museo nasconde una questione molto importante che è alla base di come oggi si rappresentano e si conservano l’informazione e la conoscenza. La scrittura, e in seguito i libri, sono stati inventanti dagli uomini per gli uomini, rendendo accessibili e chiari i loro contenuti a tutti quelli che sanno leggere.
La rappresentazione delle informazioni nei computer, invece, è ottimizzata per le macchine e quindi è illeggibile per gli umani se non sono assistiti da un sistema software che la conosce, la decifra e la mostra in un formato letterale che le persone sanno comprendere. In altre parole, nei libri l’informazione non ha una codifica interna, tutto è esplicito e decifrabile direttamente da tutti quelli che hanno imparato a leggere e conoscono la lingua in cui il testo è scritto.
Al contrario, nei computer ogni informazione è codificata in formati che solo i computer e i loro software conoscono. Senza di loro perderemmo tutta quella informazione memorizzata su supporti digitali tramite infinite sequenze di bit: zeri e uni impacchettati secondo codifiche e formati tra i più vari.
Si era iniziato nell’immediato dopoguerra con il codice a barre inventato per automatizzare le operazioni di cassa in un’azienda americana del settore alimentare. Oggi questo vecchio idioma fatto di linee bianche e nere, semplice da leggere per un lettore laser collegato a un computer che ne analizza i segnali, è in disuso e un nuovo linguaggio rudimentale fatto di altri segni geometrici lo sta sostituendo.
Il suo nome è QR code, anch’esso è bicolore ma è organizzato in una matrice bidimensionale. Questa nuova codifica è stata introdotta dalla Toyota alla fine degli anni novanta e le iniziali QR indicano le parole inglesi quick response (risposta veloce).
Il crittogramma nascosto in un QR code contiene informazioni che possiamo leggere con la telecamera dello smartphone e che automaticamente ci portano in un sito Web, fanno partire una telefonata, inviano un messaggio, lanciano un’app, rivelandosi sistemi con altissima capacità di archiviazione e di tracciabilità dei dati.
Il codice a barre e il QR code sono esempi di scritture semplici costruite per i computer che noi non comprendiamo. Dove noi vediamo soltanto una macchia fatta di punti quadrati bianchi o neri, le telecamere dei cellulari attivano algoritmi che sanno leggere e capire quei punti.
I computer pertanto parlano sempre più tra loro lingue che noi non comprendiamo e questi loro linguaggi sono per noi comunque essenziali perché è tramite il loro uso intensivo che possiamo sfruttare le capacità computazionali, i dati e i servizi dei nostri dispositivi digitali. Non sono quindi soltanto i big data a costituire un enigma per gli umani che non riescono a leggerli e a capirli se non attraverso le macchine digitali, ma anche gli small data stanno diventando criptici per noi.
Stiamo inventando tanti codici digitali dai quali rimangono fuori le persone, anche quelle che conoscono Dante e Platone, anche quelle che comprendono la teoria della Relatività ristretta o sanno eseguire i contrappunti di Bach. Secondo questa tendenza, avremo sempre più linguaggi che le macchine digitali useranno per comunicare tra loro tenendo fuori le persone. Considerando scenari simili a questo, in un articolo del 2018, Henry Kissinger si chiedeva:
«Che ne sarà della consapevolezza umana se la sua capacità esplicativa verrà superata da quella dell’intelligenza artificiale, e le società non saranno più in grado di interpretare il mondo in cui vivono in termini ad esse comprensibili?».
Nell’estate del 2017 due bot conversazionali (chatbot) attivati da Facebook e poi disattivati rapidamente avviarono una conversazione in una lingua sconosciuta. I due bot programmati dai ricercatori dell’azienda di Menlo Park sono stati messi in comunicazione tra loro per creare uno scenario di collaborazione nel quale occorreva decidere la suddivisione di alcuni oggetti da realizzare con una contrattazione “uno a uno”.
Nel corso dell’esperimento il dialogo era iniziato in inglese fino al momento in cui i due bot, chiamati Bob e Alice, non hanno iniziato a discutere dei loro scambi in una lingua incomprensibile che non rispettava nessuna sintassi nota.
Successivamente si è capito che non c’era stato alcun intento autonomo di creare un nuovo idioma da parte di Bob e Alice, ma soltanto un errore di programmazione da parte dei ricercatori che, anziché vincolare i bot a usate un inglese comprensibile agli umani, si sono limitati a implementare questa collaborazione come una strategia di comunicazione preferibile ma facoltativa. I bot così hanno trovato più semplice abbandonare il lessico umano per usate un gergo alternativo per loro più efficiente. Facebook ha spiegato che:
«Lo scopo finale era ottenere bot in grado di contrattare con esseri umani».
Era quindi necessario che le interazioni avvenissero in lingua inglese. I bot sono stati dunque riprogrammati con la clausola del linguaggio comprensibile inserita nel codice e le operazioni si sono concluse come inizialmente desiderato. Questo episodio ha comunque mostrato come due algoritmi siano in grado di sviluppare un linguaggio incomprensibile ai loro creatori.
Dhruv Batra è un professore associato alla School of Interactive Computing di Georgia Tech e ricercatore di Facebook AI Research dove si occupa di intelligenza artificiale conversazionale. Le sue dichiarazioni in proposito sono molto chiare:
«Se l’idea che delle macchine possano inventare una loro lingua può sembrare allarmante per chi non è addetto ai lavori, è una circostanza già osservata in passato negli studi sull’intelligenza artificiale».
La possibilità che due macchine possano entrare in contatto tra loro e comunicare per collaborare escludendo la componente umana non è qualcosa di singolare. Questo non è l’unico caso di idiomi nati per le macchine che non sono interpretabili dagli esseri umani. Kevin Slavin, un ricercatore che collabora con il Media Lab del MIT di Boston ha dichiarato:
«Oggi stiamo scrivendo algoritmi che non possiamo leggere. Ciò rende questo un momento unico nella storia, in quanto siamo soggetti a idee, azioni e sforzi da parte di un insieme di elementi che hanno origini umane ma che vanno oltre la comprensione umana».
LINK UTILI:
Facebook scraps A.I. chatbots after they created their own language
Deal or no deal? Training AI bots to negotiate
Super modules-based active QR codes for smart trackability and IoT
Sono un ricercatore presso Co.Mac – CFT, un importante gruppo italiano che opera nell’ambito degli impianti industriali. Laureato in ingegneria Meccanica con specializzazione in Meccatronica al Polimi. Attualmente studio automazione con particolare focus verso gli algoritmi di intelligenza artificiale e le sue applicazioni nel mondo reale.
Comunicare significa donare parte di noi stessi, ed è questo il motivo per cui la divulgazione scientifica è una delle mie più grandi passioni.