Dicembre 21, 2024

Pensare al suicidio: l’ideazione suicidaria e il valore delle relazioni

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Un recente studio ha dimostrato che il 45% degli adolescenti italiani ha pensato almeno una volta nella vita al suicidio, quasi un adolescente su due. Le relazioni sociali sembrano essere il nucleo della questione: più sono compromesse, maggiore sarà il rischio di valutare il suicidio. Allo stesso modo esse sono anche la possibile forma di terapia all'ideazione suicidaria.

Pensare al suicidio: un fenomeno più diffuso di quanto si pensi.

Riflettere, considerare, valutare le possibilità e scoprire che non ci sono alternative: come si arriva a pensare di farla finita? Il suicidio rappresenta ad oggi nel mondo la terza causa di morte negli adolescenti tra i 15 e i 19 anni: per questo motivo la ricerca scientifica si spende da decenni per comprendere le cause di un fenomeno così complesso e drammatico. Un recente studio italiano del CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma, ha cercato di comprendere i motivi che portano gli adolescenti a valutare il suicidio [1]. La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, si è proposta di indagare le cause socio-demografiche del fenomeno arrivando ad importanti risultati. Sono stati intervistati con dei questionari anonimi quasi 5000 adolescenti tra i 14 e i 19 anni provenienti da ogni parte d’Italia, con l’obiettivo di comprendere come possano influire sul fenomeno le differenze sociali, demografiche e culturali dei diversi gruppi. Il dato più significativo e particolarmente allarmante emerso dalla ricerca è che il 45% degli adolescenti che hanno partecipato alla ricerca hanno pensato almeno una volta nella vita al suicidio, quasi un adolescente su due. Inoltre, quasi la metà di questi (1 adolescente su 4), ha valutato la possibilità di mettere fine alla propria vita più e più volte. Questo risultato così incisivo mette in luce in modo brutale una porzione di realtà troppo spesso dimenticata dal mondo adulto: l’adolescenza non è solo un periodo di grande bellezza e scoperta, ma è soprattutto un momento di turbolenta ricerca che a volte può naufragare in lidi sconosciuti e terrificanti. Lorenzo de’ Medici affermava “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: del doman non v’è certezza”: qual è quindi il destino di coloro che non riescono ad esser lieti e che non hanno certezza del domani?

L’ideazione suicidaria: l’idea che prende forma

Con il termine “ideazione suicidaria” ci si riferisce in letteratura al processo che implica lo sperimentare pensieri, sentimenti e sensazioni connesse al valutare il suicidio [2]. Le esperienze connesse all’ideazione suicidaria riguardano in particolare: le preoccupazioni e il senso di colpa derivanti dal pensare al suicidio, la valutazione del suicidio come possibilità, il desiderio di mettere fine alla propria vita e l’effettiva pianificazione delle strategie per arrivare al suicidio. Come si può notare, questo è un costrutto psicologico ombrello, che racchiude dentro di sé numerosi fenomeni e aspetti distinti e che non ha ancora trovato una definizione univoca nel panorama scientifico. Il dato rassicurante che arriva dalla ricerca scientifica è che solo un terzo delle persone che sperimentano l’ideazione suicidaria arrivano a valutare concretamente il tentativo di suicidio. Questo significa che la maggior parte delle persone che fanno esperienza di questi vissuti riescono a ritrovare nuova speranza nella vita, emancipandosi dalle esperienze precedenti di ideazione suicidaria.

Il rapporto tra ideazione suicidaria e distress

Un importante risultato dello studio del CNR riguarda il legame tra distress psicologico e ideazione suicidaria: la probabilità di valutare il suicidio non è determinata in primis dalla cosiddetta “forza d’animo” della persona o da presunte variabili genetiche, quanto piuttosto dalla ripetuta e intensa esposizione a una  sofferenza fisica o psicologica vissuta come ingestibile. Lo studio infatti riporta che coltivare un elevato livello di benessere individuale, dimensione legata più alla capacità appresa di gestire le proprie emozioni e relazioni che a presunte caratteristiche personologiche, riduce il rischio di sperimentare ideazione suicidaria del 70% [1]. Una conferma di questo dato proviene dagli studi condotti sugli effetti dei lock-down connessi alla pandemia da Covid-19: l’improvvisa interruzione delle relazioni sociali faccia a faccia, l’isolamento progressivo e i conseguenti vissuti di solitudine hanno avuto profonde ripercussioni sul benessere degli adolescenti italiani, portando ad un aumento esponenziale di vissuti emotivi negativi e di forme di psicopatologia. Diversi studi riportano che nel 2021 si è registrato un incremento del 400% delle richieste di aiuto connesse all’ideazione suicidaria da parte degli adolescenti, rispetto alla situazione pre-pandemica del 2019.

L'ideazione suicidaria è aumentata del 400% rispetto al periodo pre-pandemico

L’influenza delle variabili socio-demografiche

Il contributo della ricerca del CNR riguarda la capacità di leggere un fenomeno così complesso non solo con un punto di vista clinico ma anche sociale e demografico. Dallo studio si delinea un metaforico “atlante” che ci permette di comprendere quali variabili partecipano nell’alimentare e estinguere il fenomeno dell’ideazione suicidaria. I risultati indicano che l’esperienza risulta essere più comune nella popolazione femminile rispetto a quella maschile, e riguarda maggiormente i giovani provenienti da famiglie di status socio-economico medio-basso, probabilmente per una minore capacità di accesso a risorse di supporto psicologico ed educativo. Questo fenomeno inoltre interessa maggiormente la popolazione del Nord Italia, con la minore presenza del fenomeno registrata nelle regioni del Sud Italia. Questo risultato potrebbe essere spiegato dalla tendenza della popolazione del Sud Italia a vivere le relazioni sociali in modo più stretto rispetto al Nord Italia. Rispetto al lato della cittadinanza, l’ideazione suicidaria sembra essere più probabile nella popolazione straniera, probabilmente in connessione ai problemi di acculturazione e alla condizione socio-economica tendenzialmente più svantaggiata. Il credo religioso sembra rappresentare un fattore protettivo rispetto all’ideazione suicidaria probabilmente in relazione alla possibilità di essere maggiormente coinvolti in una rete di relazioni di supporto e di cura garantite dalla comunità religiosa di appartenenza. L’insieme di questi risultati mette in luce non tanto le caratteristiche individuali della persona che sperimenta l’ideazione suicidaria ma piuttosto il mondo relazionale che circonda la persona e che la connette o disconnette dalla propria rete di supporto sociale.

Le relazioni interpersonali e la società contemporanea

Ci stiamo avvicinando alle considerazioni più importanti che emergono da questa ricerca. Il focus del lavoro dei ricercatori italiani, come ormai è stato evidenziato in più passaggi in questo articolo, è il rapporto tra la dimensione delle relazioni interpersonali degli adolescenti all’interno della società italiana e la possibilità di sviluppare vissuti connessi al valutare il suicidio. Decenni di ricerche hanno cercato di evidenziare come le idee suicidarie e i tentativi di suicidio portavano le persone progressivamente a perdere le proprie relazioni sociali: questo studio dimostra però che per molto tempo si è confuso l’effetto con la causa, non riconoscendo la caratteristica ciclica e processuale del fenomeno. Non sono i pensieri rivolti al suicidio a spingere verso un deterioramento delle relazioni sociali della persona, ma piuttosto il contrario: un progressivo sgretolamento della rete di supporto sociale e il conseguente isolamento sociale involontario che ne consegue possono compromettere il benessere psicologico individuale della persona portando ad un elevato distress, una minore autostima, un atteggiamento negativo verso il futuro e un aumento di emozioni primarie negative [1]. Questo può portare verso un progressivo sentimento di disperazione, dove le possibili traiettorie di vita sembrano ridursi fino ad arrivare a considerare la possibilità di terminare la propria sofferenza terminando la propria vita.
Risulta chiaro che i risultati della ricerca del CNR rappresentano la cartina tornasole non solo della società italiana nel suo insieme ma anche della società europea costantemente scissa in due dimensioni apparentemente opposte: il mondo sempre più individualistico che caratterizza il Nord Italia e il Nord Europa, dove il singolo tenta di emanciparsi dalla sua relazione collettiva, e il mondo più collettivistico caratteristico del Centro e Sud Italia e dell’Europa Meridionale e Orientale dove i singoli esistono solo nella collettività e nella dimensione di interdipendenza che ne scaturisce. Il panorama socio-politico europeo attuale, identificato dal celebre sociologo Zygmunt Bauman come “la società liquida”, dove i confini e la struttura sociale sembrano progressivamente liquefarsi in nome di un individualismo sfrenato, ci obbliga a fare i conti con la dimensione più essenziale della vita umana: l’interdipendenza. Siamo animali sociali e come tali qualsiasi sforzo che ci porterà ad allontanarci da questa dimensione rischierà irrimediabilmente di portare la persona a sperimentare vissuti di sofferenza lacerante. Il mondo sociale diventa così il principale oggetto di ricerca ai fini della comprensione e del trattamento delle esperienze di ideazione suicidaria [2]: la letteratura evidenza che le relazioni sociali e le relazioni professionali di supporto psicologico e di psicoterapia possono concretamente aiutare la persona a deviare la propria traiettoria di sofferenza decostruendo le forme di isolamento sociale e di perdita di speranza. Queste dinamiche potranno favorire nella persona un nuovo movimento verso traiettorie di maggiore benessere psicologico individuale e sociale che le permetteranno di sperimentare una rinnovata fiducia in sé stessa, nelle proprie relazioni e fondamentalmente nella propria vita.

Fonti:

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