Perché Sindbad il Marinaio è un personaggio senza tempo
8 min readIl nome di Sindbad il Marinaio è in grado di suscitare reminiscenze del passato, risalenti con ogni probabilità all’età infantile. Si tratta infatti di un intrepido marinaio e commerciante, protagonista di sette viaggi avventurosi e fantastici.
Le sue storie costituiscono un ciclo narrativo di origine asiatica elaborato ben prima dell’anno 1000 e giunto in Europa vari secoli più tardi (grazie alla celebre traduzione in francese di Antoine Galland fra il 1704 e il 1717), incastonato all’interno della portentosa opera Mille e una notte. Da quel momento, la conoscenza dei sette viaggi di Sindbad non è più tramontata; anzi, si è rafforzata attraverso riadattamenti cinematografici e retelling.
Uomo dalle mille risorse, astuto e generoso, la vita di Sindbad è costantemente in pericolo ma egli, in ogni circostanza, riesce a salvarsi grazie alle sue doti personali ma anche, e soprattutto, grazie ad una buona stella.
Egli è equiparabile ad un eroe omerico. Specialmente in uno dei sette viaggi, il terzo, la sua scaltrezza nel fuggire da un gigante nero mangia-uomini ricorda molto la strategia impiegata da Ulisse per salvarsi dalle fauci di Polifemo.
Tuttavia, la sua figura trascende quella dell’eroe tout court. Sindbad sembra presentare infatti talune complessità psicologiche, impregnate di contraddizioni e desideri contrastanti, che lo avvicinano parecchio alla sensibilità moderna.
Sindbad l’eroe
Sindbad è arabo, essendo nato e cresciuto a Bagdad, ed ha una profonda fede islamica, come dimostrano i ripetuti riferimenti ad Allah alla cui volontà si affida totalmente nei momenti più bui. Tuttavia, dal racconto delle sue avventure emergono influssi culturali variegati, di origine persiana, indiana e greca, che trovano manifestazione sul piano geografico e su quello sociale.
Gli itinerari delle sue peregrinazioni riflettono l’insieme delle conoscenze geografiche messe insieme dai viaggiatori e dai geografi dell’epoca. Seppur incerta, l’origine del ciclo di Sindbad si può infatti collocare in un’area racchiusa fra l’attuale Iran, la penisola indiana e la Cina (estremità orientale del mondo allora conosciuto). Le isole dei suoi naufragi sono quelle ubicate nell’Oceano indiano (come Ceylon, le Comore o le Maldive), mentre la terraferma corrisponde con molta probabilità alla costa occidentale dell’Africa.
Al tempo stesso, dal modo di fare e di comunicare di Sindbad emergono tratti delle usanze tipiche della società di riferimento.
A tal proposito, va detto che le avventure di Sindbad si inseriscono in una cornice narrativa ben orchestrata in cui Sindbad il Marinaio è egli stesso il narratore. In particolare, l’occasione di raccontare in prima persona la sua vita passata nasce dall’arrivo fortuito di un povero facchino nei pressi della sua abitazione.
Il facchino, dinnanzi alla sontuosità del palazzo, inizia a compiangere ad alta voce la sua misera condizione finché, colto nell’atto, viene invitato dal proprietario ad entrare. Dispiegando tutta la cortesia accordata di consueto agli ospiti, il proprietario Sindbad lo mette a proprio agio offrendogli da bere e da mangiare e si propone di raccontare al facchino tutti i suoi viaggi affinché quest’ultimo comprenda i sacrifici e i pericoli connessi al suo arricchimento.
La dimensione eroica di Sindbad è poi fortemente connessa alla sovrapposizione fra il piano reale e il piano fantastico. Da una parte, la realtà è costituita dalla città di Bagdad (punto di partenza e di arrivo di ogni viaggio), dal porto di Bassora (luogo di snodo fra la terra e il mare) e dai territori in cui egli naufraga popolati da comunità indigene variegate, musulmane e non musulmane.
Dall’altra parte, la dimensione fantastica proviene dalla descrizione di luoghi surreali: un’isola che si rivela essere il dorso di una balena (primo viaggio), una cupola bianca che si rivela essere il guscio d’uovo di un uccello gigante (secondo viaggio); così come da personaggi leggendari: il rukh, un uccello di dimensioni abnormi e il karkadan, una bestia dal doppio corno, entrambi capaci di ingerire un elefante.
Ai luoghi e alla gente si accompagnano poi situazioni ed usanze surreali: nel quinto viaggio, Sindbad scopre che, in un regno imprecisato delle Indie, il coniuge ancora in vita viene seppellito insieme al coniuge defunto in un atto estremo di eterno accompagnamento. Lo stesso Sindbad, unito in matrimonio con la figlia del re, alla morte prematura di questa, viene calato vivo in una caverna per morirne, motivo che lo spingerà ad escogitare le soluzioni più estreme per salvarsi.
Inoltre, Sindbad presenta caratteristiche tipiche dell’eroe classico come il coraggio, l’astuzia e l’intraprendenza. Nel secondo viaggio, egli si trova intrappolato in una valle di diamanti ahimè abitata, durante la notte, da temibili serpenti. Come reagisce? Si aggrappa ad una pecora scuoiata prevedendo che prima o poi un avvoltoio avrebbe afferrato la preda e lui sarebbe almeno riuscito a salire sulla cima del monte dove, presumeva, avrebbe certamente incontrato e chiesto soccorso ai cercatori di diamanti.
Nel terzo viaggio, scampa alla morte di un serpente mangia-uomini (che ingoia uno per uno tutti i suoi compagni) legando al proprio corpo cinque assi di legno resistente, che nei fatti lo rendono immangiabile.
Oppure ancora, nel quinto viaggio, viene schiavizzato da un uomo anziano che si avvinghia con le gambe al suo collo, quasi fino a strozzarlo. A quel punto, Sindbad si libera dalla morsa convincendo il vecchio a bere una bevanda inebriante che finisce con l’ubriacarlo. E così via.
Al coraggio si unisce infine la solidarietà e la generosità tipica dell’eroe classico. Quando, al termine di ogni viaggio, Sindbad riesce miracolosamente a ritornare a Bagdad, egli è felice di rivedere la famiglia e gli amici offrendo loro da mangiare e da bere senza limiti e condividendo la felicità del suo arricchimento morale e materiale. Analogamente, all’interno della cornice narrativa, dopo aver terminato il racconto di ogni viaggio, Sindbad il Marinaio congeda Sindbad il Facchino donandogli cento monete d’oro come forma di carità e di affetto.
Sindbad l’uomo
Molto altro si potrebbe dire della veste eroica di Sindbad il Marinaio ma qui si vuole anche scoprire il volto più moderno di questo celebre personaggio, forse meno meraviglioso, ma molto più vicino alla dimensione umana. L’intimità di Sindbad è infatti animata da un dissidio che si esprime in maniera esplicita attraverso le sue parole.
Egli dichiara a più riprese il suo desiderio per il nido d’origine, Bagdad, e la mancanza delle persone care. Ogni qualvolta cade nella sventura, rimpiange di essersi messo in viaggio e di aver lasciato l’agiatezza della sua condizione precedente. Spesso si sente solo e, a tratti, rivela persino di voler ricorrere al suicidio.
Non è la sventura l’unico caso in cui egli pensa alla ‘casa’. Anche quando riesce ad ottenere la stima e il rispetto delle comunità che lo ospitano durante le sue peregrinazioni, entrando nelle grazie dei re e accumulando discreti patrimoni, un senso di vuoto per la mancanza della sua Bagdad lo turba nel profondo. Così, il senso di nostalgia prevarica sulla stabilità ritrovata e lo convince a sfruttare la posizione sociale conquistatasi per farsi accordare il ritorno in patria.
È allora che Sindbad si gode la più grande felicità e spensieratezza circondato da affetto e ammirazione e provvisto di ogni bene. Questa condizione, però, che si direbbe la migliore a cui egli potrebbe aspirare, non resiste a lungo. Al contrario, cede ben presto il passo ad una rinnovata curiosità per l’ignoto ed esaltazione del pericolo.
“…essendo nel fiore degli anni, mi annoiai di vivere nell’inerzia, e, stordendomi con i nuovi pericoli che volevo affrontare, partii…”. Queste le parole di Sindbad nel raccontare al suo uditorio le motivazioni soggiacenti le ripetute partenze; così come “Mi lasciai trascinare ancora dalla mia passione di trafficare e di vedere cose nuove.”
Sono la giovinezza e la passione le due spinte, in qualche modo collegate che, fra le altre, muovono il nostro personaggio. È per questo motivo che la frenesia del movimento si placherà solamente con l’avanzare dell’età, quando alla passione del viaggio si sostituirà gradualmente il bisogno di quiete.
In questo contesto, il settimo viaggio rappresenta un’eccezione rispetto ai precedenti. Infatti, l’ultimo viaggio non nasce dalla volontà autonoma di Sindbad, quanto da una precisa richiesta del califfo, Harun ar-Rashid, il quale manda Sindbad a compiere una missione: portare ad un imprecisato re delle Indie preziosi omaggi per sdebitarsi da un precedente favore.
Il dissidio viene quindi superato, in un certo senso, grazie allo scorrere del tempo. Sindbad dà ascolto alle sue pulsioni irrefrenabili, a costo di rischiare la vita, fino ad un certo punto. Dopo di che, cambiano le sue priorità e la ricerca impellente di riposo prende il sopravvento già a partire dal settimo viaggio e, presumibilmente, per tutto il tempo a seguire.
Quale connessione dunque con noi, oggi? Qualche giovane lettore può forse identificarsi a proprio modo in Sindbad. In giovane età, la curiosità è padrona. Ognuno, in base ai proprio mezzi, cerca di indagare ciò che è fuori dal proprio contesto di riferimento.
Come nel caso di Sindbad, però, uscire dalla comfort zone rischia di generare disperazione e pentimenti più o meno insostenibili. È allora che si apprezza la facilità del quieto vivere laddove si stava bene in precedenza. La ‘casa’ a quel punto funge da rigeneratore dove è possibile, nei migliori dei casi, rifocillarsi di sicurezze.
Dopo di che, emerge inconsapevolmente un senso di irrequietezza, vuoi da una percezione di sofferente staticità, noia o nullità, vuoi dall’intima e inspiegabile curiosità di mettersi in gioco e rischiare, vuoi dall’urgenza di un ‘salto’ sociale o economico (anche in Sindbad sono presenti pulsioni puramente materialistiche).
Così, l’irrequietezza che caratterizza i primi sei viaggi dell’eroe è facilmente assimilabile alla vitalità che anima una fase più o meno lunga del percorso di ciascuno, un moto perenne che manifesta tutta la difficoltà di raggiungere una condizione di piena soddisfazione duratura.
Il racconto salvifico
Che fare allora nel mare magnum di arrivi e partenze, slanci d’azione e nostalgie, corse e momenti di pausa? Si può fare la cosa che meglio riesce all’essere umano, raccontare.
Nelle peggiori disgrazie e nei maggiori momenti di felicità, Sindbad ricorre alla parola. Egli si trova spesso a vagabondare in solitudine, avendo perso la ciurma e i fidati compagni con cui si era imbarcato al principio, fino ad incontrare nuovi e sorprendenti personaggi. A quel punto, Sindbad fa dell’arte del racconto lo strumento privilegiato per guadagnarsi la benevolenza altrui. Tutte le volte, ricompone il filo delle avventure che lo hanno preceduto fino a quel momento, e, così facendo, guadagna la simpatia e la fiducia che gli salveranno la vita.
Sindbad ben testimonia la funzione creatrice della parola. La parola crea la realtà e, mentre lo fa, genera o rinsalda i rapporti umani. Solo così ogni ostacolo viene superato e la salvezza diventa possibile nei momenti più drammatici.
La condivisione del racconto, per concludere, suscita comprensione e richiama quella disinteressata ma necessaria solidarietà che permette a Sindbad di uscire dai guai volta per volta. Nulla di più naturale e necessario, oggi come in ogni epoca.
Fonte dell’immagine in copertina: https://it.wikipedia.org/wiki/Sindbad_il_marinaio.
Sono una laureanda magistrale in lingue, istituzioni ed economie dei paesi arabi, con una forte propensione per le lingue e le culture straniere. Ho conseguito una precedente laurea triennale in mediazione linguistica, vivendo per un semestre ad Edimburgo, e ho completato un tirocinio presso la rivista accademica “The International Spectator” di Roma, assistendo la social media manager e svolgendo attività di editing. Il mio interesse per i paesi arabi nasce sia dal fascino per l’elegante calligrafia della lingua scritta che dalla curiosità di conoscere la storia e le peculiarità di questa vasta e variegata regione del mondo.